Capitolo 14 (Vuoto natale)

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Mercoledì, 25 Dicembre
Theo

Mi svegliai presto quel mattino di Natale, avvolto da un freddo che si insinuava in ogni angolo della stanza e da un silenzio denso, quasi innaturale. La luce grigia penetrava appena dalle finestre, illuminando debolmente le tracce di neve cadute durante la notte. A passi lenti, mi avviai in cucina, quasi a non voler disturbare quel silenzio così fuori luogo.

Trovai mio padre seduto al tavolo, una tazza di caffè fumante tra le mani. Indossava ancora il pigiama, ma sul volto portava quella sua espressione imperturbabile, seria, come se fosse un giorno qualunque e non il Natale. Nemmeno un cenno di calore, un sorriso. Per lui, questo giorno sembrava essere solo un altro da attraversare.
«C'è del pane tostato,» disse piano, senza sollevare lo sguardo. Indicò con un rapido cenno il bancone dietro di sé. Nessuna inflessione nella voce, nessuna emozione. Era una routine che si ripeteva senza variazioni, come se le parole fossero solo una parte meccanica del suo ruolo.

Mi sedetti di fronte a lui con una fetta di pane tostato, coperta di burro appena sciolto. Masticai in silenzio, mentre la stanza sembrava stringersi in un'assenza di suoni. Quel silenzio, denso e pesante, ci avvolgeva entrambi, soffocando ogni possibilità di rendere quel Natale speciale o diverso. Le decorazioni appese intorno a noi sembravano quasi fuori luogo, stonate in un contesto che non sembrava meritare festa.

Provai a rompere la tensione. «Gli allenamenti sono finiti tre giorni fa... mi manca già il campo,» dissi, sperando di accendere una conversazione. Sapevo che il football era uno dei pochi argomenti in grado di smuoverlo, ma mi illudevo.
Senza alzare lo sguardo, lui abbassò appena il giornale, lanciandomi uno sguardo impassibile. «Ogni tanto fanno bene delle pause,» rispose, ma senza traccia di interesse o entusiasmo.

Cercai di reprimere la fitta di delusione, ormai una sensazione che conoscevo bene. C'era stato un tempo in cui questo giorno, come tanti altri, aveva avuto per noi un significato. Ma dopo la morte di mia madre, era come se il mio vero padre fosse svanito con lei. Lo guardai riprendere a sfogliare il giornale, mentre nella mia mente si accendeva il ricordo di mia madre e di come, ogni Natale, riempisse la casa di risate e di calore.

Svuotato anche l'ultimo morso di pane, mi alzai dalla sedia. Mi misi la giacca e senza dire nulla uscii di casa, sperando che l'aria gelida riuscisse a spezzare quel senso di oppressione.

Per le strade, il mercato di Natale era in pieno fermento. Bancarelle di luci e colori si susseguivano, e il calore delle voci mi investiva. Da bambino, questo era il luogo dove, mano nella mano con mia madre, cercavamo le decorazioni più strane. Ora, tutto mi sembrava un teatro di cui non facevo più parte. Mi fermai alla bancarella dei libri rari. Sapevo che lì avrei trovato quella pace che non riuscivo a ottenere altrove.
Sfogliai un vecchio libro, dalle pagine ingiallite, che sembrava parlarmi, quasi offrirmi un rifugio. Decisi di comprarlo. Non sapevo nemmeno di cosa trattasse, ma l'idea di tornare a casa con qualcosa di mio, anche solo un libro, mi faceva sentire stranamente sollevato.

Rientrai a casa appena in tempo per il pranzo. L'atmosfera era cambiata, e la presenza dei miei nonni, degli zii e dei miei cuginetti aveva finalmente riempito la cucina di voci e risate. Mio padre, anche se ora parlava con mio nonno, sembrava ancora lontano. Anche io, pur cercando di sorridere e scambiare battute, mi sentivo distante, come se guardassi la scena attraverso una finestra.

Il pranzo fu abbondante, una tavola piena di piatti che arrivavano uno dopo l'altro, accompagnati dalle risate dei bambini e dai racconti dei grandi. Mi sforzai di partecipare, ma sapevo che non riuscivo a ingannare me stesso: senza mia madre, tutto sembrava essere solo una recita a cui mancava il cuore.

Infine, arrivò il momento dell'apertura dei regali. I miei cuginetti scartarono i loro pacchi con entusiasmo, gli occhi spalancati per la meraviglia. Io, invece, aprii il mio con una calma quasi meccanica. Una nuova divisa da capitano della squadra. In altre circostanze sarei stato felice. Ora, era solo un oggetto vuoto, un riconoscimento privo di significato.

Quando la giornata giunse al termine, mi ritirai nella mia stanza, stanco ma incapace di dormire subito. Mi avvicinai alla finestra, osservando le luci della città che brillavano deboli in lontananza. E poi, senza che lo volessi, un pensiero si insinuò nella mia mente: Becky.

Mi chiesi come avesse passato la giornata. Mi chiesi se fosse felice, cosa avesse ricevuto per Natale. E con una sensazione di irritazione verso me stesso, dovetti ammettere che mi mancava. Mi infastidiva l'idea di aver bisogno di lei, di avere ancora addosso quella stupida, insensata attrazione che mi portava a trattarla male, come se nascondere il sentimento fosse più semplice che ammetterlo.

Sospirai, buttandomi sul letto e chiudendo gli occhi. Il pensiero di Becky mi accompagnò lentamente verso il sonno, mescolandosi ai ricordi e ai sentimenti di una giornata che non sapevo ancora come classificare.

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