Capitolo 28 (Confusione superata)

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Il giorno dopo ancora
Becky

Mi svegliai avvolta da una nebbia densa, pesante. La luce del mattino filtrava dalla finestra con una timida delicatezza, quasi esitasse a colpire la stanza. Nonostante il tepore che mi circondava, il mio corpo era rigido, quasi fosse in attesa di un colpo imminente. Il mal di testa pulsava implacabile, come un richiamo incessante alla realtà, costringendomi a fare i conti con me stessa.

Rimasi ferma per qualche secondo, lasciando che i ricordi della notte precedente emergessero, lenti e implacabili. Ricordai il vino, il calore alcolico che mi aveva avvolta e il telefono tra le mie mani tremanti. E Theo. Ricordai le sue parole, piene di una comprensione che sembrava quasi irreale, come se fosse disposto a vedermi nei miei momenti peggiori e a restare comunque.

Mi girai di lato e vidi il bicchiere d'acqua sul comodino, un piccolo gesto di premura che mi colpì nel profondo. Lo presi e bevvi, sentendo l'acqua che scendeva fresca e tagliente, come a voler lavare via il peso che mi opprimeva. Ma l'acqua non era abbastanza per cancellare il senso di colpa che mi bruciava dentro. Dovevo uscire da questa spirale di incertezza, smettere di nascondermi.

Mi alzai dal letto, ogni movimento lento, misurato, come se stessi rieducando il mio corpo dopo una caduta. Andai in cucina, sperando che una tazza di caffè potesse restituirmi un po' di lucidità. Mentre aspettavo, fissai il tavolo vuoto davanti a me, la mente che vagava in un intreccio di pensieri.

Theo e Kai, due presenze opposte nella mia vita, due polarità che avevo cercato disperatamente di conciliare, senza mai riuscirci davvero. Avevo tentato di aggrapparmi a entrambe, come se in ciascuno di loro ci fosse una metà che potesse completarmi, ma ogni tentativo di equilibrio si era rivelato un fragile castello di carte.

Un suono dal telefono interruppe il flusso dei miei pensieri. Un messaggio da Theo.
«Ehi, come ti senti stamattina? Spero che l'acqua ti abbia aiutato... Se hai bisogno, sono qui».

Quelle parole mi colpirono come un'onda. Il suo essere sempre disponibile, sempre presente, mi fece sentire vulnerabile e grata al tempo stesso. Ma non potevo rispondergli subito. Avevo bisogno di mettere ordine nei pensieri, di trovare una direzione chiara prima di coinvolgerlo di nuovo nelle mie indecisioni.

Presi una giacca e uscii, il bisogno di aria fresca era urgente, quasi fisico. La città era ancora silenziosa, i suoi rumori appena sussurrati, e per un momento mi sentii libera, sgombra. Ogni passo mi sembrava un piccolo atto di liberazione, un distacco dal dolore e dalla confusione della notte precedente. Non avevo una meta, e non mi importava di averne. Camminai, lasciando che l'aria fredda e tagliente mi svegliasse del tutto.

Quando i miei passi mi condussero a Central Park, trovai una panchina isolata e mi sedetti. Era il momento di mettere ordine nel caos. Chiusi gli occhi e inspirai a fondo, cercando di far riemergere ciò che avevo cercato di ignorare: i sentimenti confusi per Theo, il dolore ancora fresco per Kai, il senso di vuoto e fallimento che mi tormentava.

Theo era sempre stato la mia costante, il mio rifugio. Ma era questo che volevo davvero da lui? E Kai, con la sua energia impetuosa e il suo bisogno di conferme, mi aveva dato qualcosa che pensavo fosse stabilità, ma forse non era altro che una zona sicura in cui nascondermi. Ora non potevo più permettermelo.

Aprii gli occhi e guardai la gente che iniziava a riempire il parco. Tutti sembravano assorti nelle proprie vite, e per la prima volta da tempo, provai una sensazione di appartenenza. Anche io, come loro, stavo cercando di navigare in mezzo a dubbi e paure, a trovare un equilibrio tra quello che avevo perso e quello che volevo costruire.

Il caffè e l'aria del mattino avevano fatto il loro effetto. E con quella chiarezza ritrovata, sentii che era arrivato il momento di smettere di fuggire. Dovevo parlare con Theo, essere finalmente onesta, anche se ciò significava rischiare di perdere quella sicurezza su cui avevo sempre contato. Ma non potevo più rimanere bloccata in una storia fatta di mezze verità e sentimenti irrisolti.

Con mani ferme, presi il telefono e mandai un messaggio:
«Theo, grazie per ieri. Ci vediamo oggi? Devo parlarti».

Sentii una calma insolita mentre chiudevo il telefono e mi alzavo dalla panchina. Sapevo che la conversazione che mi aspettava non sarebbe stata semplice, ma per la prima volta mi sentivo pronta. Pronta a essere vulnerabile, a prendere decisioni autentiche. Non sapevo come sarebbe finita, ma ero certa di una cosa: era ora di prendere in mano la mia vita.

E mentre tornavo verso casa, mi sentii pervasa da una sensazione di leggerezza. Non avevo più paura di ciò che il futuro mi riservava.

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