Capitolo 8 (Attesa vuota)

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Sabato, 21 Settembre
Becky

Quando aprii gli occhi, il sabato mattina si srotolava lento e spento. Non era un risveglio qualunque; sentivo un vuoto, come se qualcuno avesse portato via un pezzo di me senza che me ne accorgessi. Mi rigirai nel letto, cercando invano un senso di pienezza. Senza quasi rendermene conto, allungai la mano verso il telefono: era diventato un gesto istintivo, come un riflesso involontario. Speravo, in modo quasi ridicolo, di trovare un messaggio da Theo. Ma niente. Nessuna notifica, nessuna spiegazione a quel silenzio che sembrava soffocarmi sempre più.

E così, due giorni erano passati senza una parola da lui. Dopo il nostro pomeriggio insieme, non avevo smesso di ripensare a noi due nel parco, ai sorrisi, alle frasi leggere che sembravano aggirare un vuoto profondo. Speravo che fosse stato un momento di connessione, che forse avesse abbattuto quella distanza tra di noi. Ma guardando lo schermo vuoto del telefono, mi chiesi se non fosse stato solo un'illusione, una di quelle che costruisci per aggrapparti a qualcosa che non c'è.

Provai a ignorare quel peso, a convincermi che fosse solo questione di tempo. Ma ogni volta che sentivo il telefono vibrare, una scintilla di speranza si accendeva, subito spenta dalla delusione: nessun messaggio da Theo. Mi chiesi cosa fosse successo, perché non mi avesse più cercata. Era stato lui a voler costruire quel ponte, quella sottile possibilità di intesa, e ora sembrava essersi ritirato senza spiegazioni.

Il resto della giornata si trascinò. Provai a leggere, a riempire il tempo con una storia che mi allontanasse dai miei pensieri, ma le parole scivolavano senza lasciare traccia. Alla fine chiamai Lily; era l'unico modo che conoscevo per sviare la mente. Mentre passeggiavamo tra le vie del centro e sfogliavamo vestiti senza reale interesse, sentivo che anche Lily percepiva il mio stato d'animo. Alla fine, non aspettò oltre.

«Hai sentito Theo?» chiese, come se stesse toccando una ferita.
Abbassai lo sguardo. «No, niente.»

Lily annuì piano, tentando di nascondere la preoccupazione con un sorriso. «Magari è preso dalla partita.» Un tentativo gentile di sminuire la cosa, ma sapevamo entrambe che il problema era un altro. Un silenzio, tra me e Theo, che non riuscivo a decifrare. Una distanza incolmabile che lui sembrava aver tracciato tra noi.

Per tutto il pomeriggio tentai di distrarmi, di concentrarmi sulle risate di Lily, sulle vetrine, ma Theo non lasciava i miei pensieri. Mentre tornavo a casa con il tramonto, riflettei sul fatto che forse stavo solo perdendo il mio tempo. Eppure, sentivo che dentro di me qualcosa si ostinava a tenerlo stretto. Il mio orgoglio mi diceva di lasciar perdere, di non investire più energie in una persona che si nascondeva dietro ai silenzi, ma il cuore non riusciva a dargli retta.

Giunta a casa, mi gettai sul letto, con la consapevolezza che non potevo passare il mio tempo a inseguire una possibilità fragile come un soffio di vento. Aprii la finestra, cercando di respirare aria fresca, di svuotare la mente. Ripensai a tutte le volte in cui avevo tentato di avvicinarmi, a ogni sorriso e parola detta e non detta. Theo mi dava tanto quanto mi toglieva, e io non riuscivo a capire se fosse per paura o per disinteresse.

Mi infilai sotto le coperte, lasciando che il calore del letto mi avvolgesse. Decisi che avrei aspettato, ancora per un po'. Ma mentre fissavo il soffitto, compresi che quella pazienza non sarebbe durata per sempre. Un giorno, avrei dovuto voltare pagina, anche se dentro di me speravo che quel giorno non arrivasse mai.

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