Capitolo 29 (Vulnerabilità Svelata)

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Il continuo del capitolo 28
Becky

Il giorno seguente, mi svegliai con una sensazione di pesantezza, come se il sonno non fosse riuscito a riparare davvero nulla. La notte si era trascinata in una sequenza di pensieri confusi e ripetitivi, un turbinio di immagini e frasi che continuavano a inseguirsi senza darmi tregua. Non avevo risposte, solo un oceano di domande senza forma. Il mio cuore batteva ancora forte, e ogni volta che provavo a dormire, la mente mi riportava sempre allo stesso punto: cosa stavo facendo? Dove stavo andando? E con chi?

Il sole, che entrava timidamente dalla finestra, sembrava quasi invitarmi a lasciar perdere per un momento il peso di tutte quelle domande. Ma la sensazione di ansia era ancora lì, strisciante, pronta a scivolare su di me e travolgermi. Non c'era scampo. Dovevo affrontarlo, dovevo fare i conti con tutto, con ogni pensiero che avevo evitato e con le conseguenze delle mie azioni.

Lily, fortunatamente, si era offerta di occuparsi della libreria per la giornata. Questo mi lasciava un po' di respiro. Decisi che sarebbe stato il momento giusto per staccare, fare qualcosa di fisico, per svuotare la mente, seppur temporaneamente. La corsa era diventata la mia terapia, la mia via di fuga. La mia solita tenuta da jogging mi calzava bene e, senza pensarci troppo, uscii.

L'aria fresca del mattino mi accarezzò subito il viso. Il cielo era limpido, l'azzurro intenso, come un invito alla serenità che non riuscivo a trovare dentro di me. Le mie gambe cominciarono a muoversi in automatico, e il ritmo dei passi, il battito del cuore, la fatica crescente sembravano allontanarmi per un po' dalla confusione. Un po' di sollievo. Non pensai a Theo, né a Kai. Solo la strada che scivolava sotto i miei piedi e la sensazione di una fatica che finalmente mi liberava di qualcosa, seppur per poco.

Mi fermai su una panchina, il sudore mi scorreva lungo la schiena. Respirai a fondo. Una sensazione di leggerezza incomprensibile mi attraversò. Non ero più completamente invischiata nei miei pensieri. La fatica fisica aveva in qualche modo resettato il mio stato mentale, o almeno l'aveva alleggerito. Sapevo che sarebbe stato solo un sollievo temporaneo, ma quel momento di quiete mi serviva.

Rientrata a casa, una doccia calda mi avvolse in un altro piccolo gesto di cura che mi ero concessa. In quel momento, avvertivo che c'era qualcosa di terapeutico anche nei gesti più banali. Una colazione semplice, un caffè, e qualche fetta di pane tostato.

Mi sedetti al tavolo, con il telefono davanti a me. La mia mente tornò inevitabilmente alla conversazione che avrei dovuto affrontare. Theo non aveva ancora risposto al mio messaggio. Non mi sorprese. Sapevo che avrebbe avuto bisogno di tempo, proprio come me. E forse era meglio così. La paura era ancora lì, silenziosa, ma presente. Il nervosismo mi accarezzava le ossa, facendomi sentire inquieta e indecisa.

E mentre cercavo di ingannare il tempo con compiti domestici, la tensione cresceva inesorabile. Lavare i piatti, piegare la biancheria, riordinare il soggiorno... ogni piccola azione era solo un modo per procrastinare, ma anche un tentativo di non perdermi in quella morsa che la mia mente mi stava stringendo. E poi, il telefono vibrò. Il messaggio di Theo era arrivato. "Va bene, ci vediamo alle 15:00 al caffè. Ti aspetto."

Sentii un'esplosione di sollievo mischiata a una nuova ondata di ansia. Mi alzai dalla sedia, sentendo il respiro più leggero, ma lo stomaco ancora teso. Non c'erano più scuse, non c'erano più rimandamenti. L'incontro sarebbe avvenuto. La verità che avevo tanto temuto stava per essere pronunciata. E io, nonostante tutto, non riuscivo a smettere di sentire il peso di quella decisione che ora non si poteva più ritirare.

Le ore passarono lentamente. Scelsi con cura cosa indossare. Non volevo sembrare troppo distaccata, ma nemmeno troppo emotiva. Il mio abito, semplice ma elegante, doveva trasmettere serietà, ma anche una certa apertura. Non avevo bisogno di cercare la perfezione. Solo di essere abbastanza presente per affrontare quello che avevo di fronte. Non mi importava l'aspetto, ma quello che avrei dovuto dire.

Mentre camminavo verso il caffè, il cuore mi martellava nel petto, ma la determinazione era più forte della paura. Ogni passo che facevo era come una spinta che mi avvicinava a una verità che ormai non potevo più ignorare. Il caffè era vicino. Theo era già lì, seduto, lo riconobbi subito. I suoi occhi mi cercavano. Si alzò in piedi non appena mi vide, un gesto che mi colpì, e un po' mi fece sentire meno sola.

Ci sedemmo. Il silenzio si fece pesante. Le parole che avremmo detto lì, fra quella piccola tavola e il rumore della città che ci circondava, avrebbero avuto il potere di cambiare tutto. Theo mi guardava con una serietà che non avevo mai visto prima, come se avesse intuito che qualcosa stava per scatenarsi.

"Allora, Becky," disse infine, rompendo il ghiaccio. "Di cosa volevi parlarmi?"

E fu in quel momento che capii che non avevo più scuse. Non avevo più tempo per tergiversare. Mi sedetti dritta e cominciai a parlare.

"Theo, mi sento confusa. Non so più cosa fare, cosa pensare, cosa provare. Non posso continuare a gestire tutto da sola. Non è solo il passato, ma quello che ci siamo lasciati alle spalle che mi impedisce di andare avanti." La voce mi tremava, ma avevo deciso che non sarebbe più stato il momento della paura. "C'è ancora qualcosa tra noi, non riesco a ignorarlo, ma non so cosa voglio, o meglio, non so come arrivarci. Sono ancora legata a quello che siamo stati, ma allo stesso tempo, non posso negare che ci sono cose che mi trattengono, che mi fanno paura..."

Theo ascoltò, senza interrompermi, con gli occhi fissi nei miei. Nessun giudizio, solo un silenzio che mi dava spazio per dire tutto, anche ciò che non sapevo di voler dire. Quando finii, lui parlò.

"Capisco," disse semplicemente. "Non è facile per nessuno di noi. Ma, Becky, penso che se siamo onesti l'uno con l'altro, possiamo trovare una soluzione. Non possiamo evitare ciò che sentiamo, né fingere che non esista."

Poi mi raccontò la sua verità. La confusione che provava, la fatica di convivere con la distanza che si era creata. Ma anche il desiderio di tentare di risolvere le cose, di darsi una possibilità. Fu un lungo discorso, ma alla fine entrammo in sintonia. Abbiamo capito che dovevamo lavorare su ciò che ci aveva separati, prima di pensare al futuro. Il passato, quel passato che avevamo condiviso, non si sarebbe dissolto in un colpo di bacchetta magica. Avevamo bisogno di tempo, di sincerità, di coraggio.

Quando ci alzammo dal tavolo, qualcosa era cambiato. Non avevo ancora tutte le risposte, ma avevo fatto il primo passo verso qualcosa che sentivo più vicino alla verità. Insieme, camminammo per un po', senza fretta, con la promessa che avremmo continuato a parlare, a capire, a vedere cosa sarebbe venuto dopo. Non sapevo dove mi avrebbe portato quella strada, ma per la prima volta, mi sentivo pronta ad affrontarla, qualunque fosse il suo destino.

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