Giovedì, 26 Dicembre
TheoIl giorno dopo Natale mi svegliai tardi, intrappolato in un torpore pesante, come se i pensieri della giornata precedente avessero scavato in me un vuoto. La casa era silenziosa e fredda, diversa dal giorno prima, quando le voci dei miei nonni e dei miei zii avevano riempito ogni angolo. Ora, come ogni anno, erano già partiti, lasciandomi solo le loro risate vagamente risuonanti nei ricordi.
Sapevo che mio padre era lì, da qualche parte, forse in cucina, forse già uscito senza dire nulla. Ma sedermi a colazione di fronte a lui, ripetere lo stesso rituale di silenzi, mi sembrava insopportabile. Infilai una felpa, presi il cappotto e me ne uscii senza una meta, chiudendo piano la porta alle spalle.
Fuori, l'aria era tagliente, e il cielo prometteva neve. Con le mani affondate nelle tasche, mi misi a camminare per le strade deserte del quartiere, lasciando che i miei piedi mi portassero dove volevano. Avevo bisogno di respirare, di allontanarmi da quel silenzio che mi soffocava, da quella casa che sembrava stringersi attorno a me, trasformandosi ogni giorno di più in una prigione.
Camminai senza sosta per un'ora, finché mi ritrovai davanti alla scuola. Anche lei era deserta, le finestre buie, l'entrata sbarrata. Eppure, persino vuota, aveva qualcosa di familiare. Mi avvicinai al cancello e da lì vidi il campo da football, immobile sotto una coperta sottile di neve. Le gradinate e il prato sembravano in attesa, come se stessero trattenendo il respiro, e io mi sentii stranamente attratto da quello spazio, come se fosse l'unico posto al mondo dove potessi ancora riconoscermi. Sul campo ero qualcuno: un ruolo, un obiettivo, qualcosa che mi definiva.
Sospirai, appoggiandomi con una mano alla rete del cancello. Ma ero da solo anche lì, e quella sensazione, ormai familiare, si avvolse attorno a me.
«Theo?»
Sobbalzai e mi voltai di scatto. Davanti a me, con una sciarpa avvolta intorno al collo e le mani guantate strette su una borsa, c'era Becky. Il cuore mi batté nel petto, un colpo che non mi aspettavo.
«Cosa ci fai qui?» chiesi, puntando a un tono distaccato, sperando che lei non si accorgesse della sorpresa.
«Ero venuta a prendere un libro che avevo dimenticato in biblioteca,» rispose, facendo qualche passo verso di me.
«La scuola è chiusa,» commentai, forse un po' troppo bruscamente.
Becky annuì senza dire nulla, mantenendo su di me uno sguardo attento, come se cercasse di scorgere qualcosa dietro la mia maschera. Poi, dopo qualche istante di silenzio, mi chiese, «Tutto bene?»
Rimasi in silenzio, preso alla sprovvista. Mi scoprivo impreparato a quella semplice domanda. Nessuno me l'aveva chiesto, nemmeno ieri, nemmeno a Natale. E davanti a Becky, lì e in quel momento, sentii un'impulso di dire la verità, confessarle che mi sentivo un peso addosso, che il Natale era stato una tortura, che non riuscivo a smettere di pensare a lei.
Invece, dissi solo: «Sto bene.» Mentii. Forse una parte di me si aspettava che lei avrebbe visto attraverso quella bugia. Ma Becky si limitò a guardarmi in silenzio, poi annuì e, dopo qualche istante, fece un passo indietro.
«Se hai bisogno di parlare, sai dove trovarmi,» disse, con un sorriso gentile, prima di voltarsi e andarsene.
Rimasi lì, guardandola mentre si allontanava lungo la strada. Un'onda di amarezza mi attraversò, una sensazione di vuoto che conoscevo bene. Avevo perso un'occasione, forse l'unica in cui mi ero sentito sul punto di aprirmi davvero con qualcuno. Ma, come sempre, avevo scelto la via più semplice: il silenzio, il muro.
Dopo qualche minuto, quando il freddo mi arrivò fino alle ossa, decisi che era il momento di tornare a casa.
La casa era ancora vuota quando rientrai, immersa in quel silenzio opprimente. Mio padre non c'era, probabilmente era uscito per una delle sue passeggiate solitarie. Tolsi la giacca e mi avvicinai al camino spento. Dopo aver acceso il fuoco, mi sedetti davanti alle fiamme, guardando le braci che lentamente cominciavano a illuminare la stanza con un calore tenue.
E il mio pensiero tornò a Becky, al modo in cui mi aveva guardato, alla delicatezza con cui mi aveva offerto la sua compagnia. Avrei dovuto dirle qualcosa di più, lo sapevo. Ma il peso di quell'errore, come tutti gli altri, mi sembrava ora insostenibile.
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L'Anima dei Libri
ChickLitBecky, una giovane con una pressione profonda per i libri, sogni di aprire una libreria accogliente, dove storie e caffè si mescolano, creando un rifugio per chi cerca un momento di pace. Alla soglia dei diciotto anni, determinata a realizzare ques...