"Hai fame? Se vuoi ti porto un panino, qualcosa.."
"No grazie Hayes, sto bene così"
"Stai dimagrendo a vista d' occhio. Sicura che vada tutto ok?"
"Sicurissima."
Mento. Mento spudoratamente.
Due mesi.
Sono già passati due mesi da quando sono arrivata qui in Virginia.
La mia vita è vuota, decisamente.
Non sento più nessuno della compagnia. Nessuno si degna di scrivermi un semplice 'Come stai?' .
Ma forse è meglio così, perché detesto dire che sto bene quando in realtà è tutto uno schifo.
Mangio poco, e raramente.
E se mangio, vomito.
Esatto, due dita in gola e la mia anima finisce in un cesso.
Non mi bastava più segnarmi di rosso braccia e gambe.
Dovevo sottopormi ad ulteriori torture.
Dio, quanto vorrei farla finita.
Mi alzo dal letto, e mi spoglio.
Mi levo di dosso maglietta e skinny, rimanendo in intimo.
Mi guardo allo specchio, ma non riesco a far rimanere fisso lo sguardo per più di due o tre secondi.
Che schifo.
Scendo in fretta le scale, e capito in cucina.
Senza rivolgere la parola a nessuno, mi preparo un panino.
Lo imbottisco con qualsiasi schifezza mi capiti sotto mano. Lo mangio in modo ingordo. No. Che ho appena fatto? Devo andare in bagno. Torno al piano di sopra, e mi chiudo dentro.
Mi lego i capelli e mi inginocchio.
Ci risiamo, l' ho fatto di nuovo.
Non posso andare avanti così.
Mi porto le ginocchia al petto e ci affondo la testa. Piango.
"Mamma" urlo con tutto il fiato che ho in gola, non che ce ne sia tanto, ma ce n' è abbastanza per farmi sentire.
Entra, ed è sconvolta. Il suo sorriso smagliante, si tramuta velocemente in un' espressione triste e disgustata allo stesso tempo.
"Io.. Ho bisogno di essere curata"
"Che succede piccola mia? Che succede?"
Non le avevo mai parlato del mio problema, né dei tagli.
E lei non se ne può accorgere, visto che mi ostino a indossare felpe larghe che fortunatamente non risaltano la mia esile, troppo esile, figura.
"Mangio tanto, e poi vomito"
Si passa una mano tra i capelli.
"Rivestiti e va a dormire. Domani ti porterò all' ospedale. Buonanotte"
Non me lo dice in modo dolce, non prova pena. Sembra capirmi, oppure è rimasta troppo impressionata nel vedere che razza di persona ha cresciuto.
Faccio come mi dice, e vado a dormire. Mi addormento sulle note di Cold Hearted, la canzone dei miei ormai 'ex-amici' Jack e Jack.**
Sono in macchina, seduta dietro a mia madre che guida rimanendo impassibile senza spiaccicare parola.
Arriviamo all' ospedale, e io la seguo mentre mi trascina di piano in piano senza mai guardarmi negli occhi.
'Disturbi dell' alimentazione'
Mi vengono i brividi nel leggere quel cartello. Sono davvero finita in un reparto del genere?
Aspettiamo sedute e mute per circa una ventina di minuti, poi una signora sulla quarantina con i capelli sul castano scuro e degli eleganti orecchini a perla, dice in modo agghiacciante il mio cognome.
"Grier".
Ci facciamo avanti, ritrovandoci in uno studio bianco, con molte mensole e fotografie incorniciate su di esse.
Comincia a fare molte domande alla quali io non presto alcuna attenzione. Ho bisogno di qualcuno che mi ami, per davvero.
"Allora Elynn, credo proprio che dovrai restare qui per un bel po' di tempo"
Sbuffo, ma dopotutto me lo aspettavo.
"Okay"
Finalmente mia mamma mi rivolge la parola.
"Andrò a casa a prendere le tue cose. C' è qualcosa che desideri in particolare?"
"Mm"
Ci penso un po' su, poi mi torna in mente.
"Nel secondo cassetto del comodino, ci dovrebbe essere una memory card. Portami quella"
Non capisce il motivo, ma non si sforza di chiedermelo.
Mia mamma si congeda, lasciandomi sola con quella che prevedo sia la mia nutrizionista, o psicologa. Che ne so.
"Avremo modo di conoscerci, ora vieni. Ti accompagno nella tua stanza. Non sarai sola, la condividerai con un' altra ragazza che è qui da circa due mesi. Okay?"
Annuisco.
"Eccola, è la numero 8.
Siediti sul letto finché non arriva tua madre con la roba"
Entro, e noto subito che metà della stanza è completamente bianca e spoglia, mentre l' altra è piena di colori, accesa.
"Ehi"
È magra, è fottutamente magra.
"Elynn" dico sedendomi sul letto, controllando il cellulare. Ma che lo controllo a fare, non mi cerca più nessuno da mesi.
"Io sono Mahogany" afferma con un sorriso a 32 denti.
"Sei così magra.." dico senza peli sulla lingua.
"Vorrei vedermi come mi vedi tu. Al contrario, tu sei magra, se non perfetta"
"Vorrei vedermi come mi vedi tu, Mahogany"
Parlare con qualcuno che ha i miei stessi problemi mi aiuterà molto.
"Come ci sei caduta?"
Non afferro al volo quello mi ha chiesto.
"Caduta dove?"
"Nella malattia, Elynn. Come ci sei caduta?"
"Oh. Te ne parlerò in un altro momento. Ora non me la sento"
Si siede accanto accanto a me.
"Wow, carino. È il tuo ragazzo?"
Si riferisce a Cameron.
Già, è ancora il mio sfondo.
È ancora nella mia testa.
Mi manca terribilmente.
"No. È colui che mi ha fatto lo sgambetto"
Mi guarda confusa.
"Mi ha fatto lo sgambetto, io sono inciampata e.. sono caduta"
Ci conosciamo da circa due minuti, ma non appena mi sente dire questo, mi abbraccia.
Mi abbraccia perché mi capisce, per davvero.
Poco dopo fa irruzione in camera un ragazzo. È bellissimo.
"Ehi Lox. Hai compagnia finalmente!"
Deduco che Lox sia il cognome di Mahogany.
'Eh si, Luke"
Mi porge la mano.
"Piacere, sono Luke Hemmings"
Gliela stringo, e mi vergogno di mostrare la mia così scarna e dannatamente scheletrica.
Accenna un sorriso, e io non posso fare a meno di perdermi nei suoi meravigliosi occhi blu.
Scambia due parole con Mahogany e poi esce.
"Perché lui è qui?"
Chiedo curiosa.
"Qui in clinica, intendi?"
"Si"
Sospira.
"Ha un problema al cuore"
Fa una piccola sosta.
"Ventricolo"
Cazzo. Rischia di morire da un momento all' altro.
"Lui sorride sempre"
Sussurra sfogliando le pagine di un libro.
"Non lo ammiri per questo?"
Mahogany punta i suoi grandi occhi scuri su di me.
"Lo ammiro. Ma la paura che nasconde dentro di sé, è troppa. Ultimamente i suoi sorrisi sono spenti, i più falsi di sempre"
"Perché? Vuole arrendersi?"
Sta in silenzio per alcuni istanti, che mi sembrano un' infinità. Sembra tenere davvero a Luke.
"L' ha già fatto. Hemmings si è già arreso, Elynn".
Non so perché, ma un brivido mi percorre la spina dorsale. Non conosco la storia di quel ragazzo, ma quelle parole mi spiazzano.
Devo sapere di più. Io devo.. aiutarlo.Ma chi voglio prendere in giro? È già tanto se riesco a tenermi in piedi, figuriamoci se riesco ad aiutare gli altri.