21.

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Piccoli gesti


Eravamo da circa una mezz'oretta stesi sul letto in silenzio, lui mi voltava le spalle ed era in collera con me. Non pensavo che sarebbe arrivato a picchiarmi di nuovo, dopo tanto tempo. Avevo ancora negli occhi la sua immagine che colpiva a sangue l'altro ragazzo. Ogni volta che ci pensavo mi iniziava a battere forte il cuore e mi tremavano le mani. In un momento di follia l'avrebbe potuto fare anche a me forse.

-Sei... arrabbiato?

Chiesi mortificata, sussurrando sperando che mi sbagliassi. Mi aveva picchiata ma non riuscivo ad essere arrabbiata con lui. Forse perché provavo pietà, era cresciuto senza famiglia e non si regolava che non è normale picchiare tutti senza porsi problemi.


Sfilai il coltello dalla cinta e lo tenni forte nel caso mi aggredisse.

Justin non rispose e si alzò. Andò in bagno e tornò poco dopo con del ghiaccio sull'occhio. Probabilmente durante la rissa lo avevano colpito. Si sedette accanto a me e rimanemmo in silenzio per un po di minuti. Io posai l'arma, poi lui disse:

-Se ti avevo detto di rimanere in camera perché sei dovuta venire? Io non ti capisco.

Si girò verso di me. Sembrava ancora infuriato, ma nello stesso tempo anche confuso.

-Volevo aiutarlo.

-E hai visto cosa hai combinato? Ti hanno massacrata.

-Non mi ha fatto tanto male.

Mentii, mi doleva tutto il corpo, ma non potevo dargli ragione.

-Meritava di peggio.

Disse a denti stretti.

-Per quanto abbia fatto del male la vendetta non è mai la strada giusta.

Dopo aver vissuto là, l'avevo capito.

-Si, certo.

Disse freddo. Ancora sentivo dolore alla guancia e, parlando, era aumentato, così senza pensarci me la accarezzai. Fece finta di niente, pensavo che mi volesse almeno chiedere scusa, invece no, era impassibile. Dopo qualche minuto mi appoggiò una mano sul braccio, ma io lo ritrassi con un ghigno di dolore. Justin si tolse il ghiaccio dall'occhio, che ormai era quasi diventato completamente nero, e me lo posò lì dove poco prima mi aveva toccato.

Era pazzo, prima mi picchiava e poi mi aiutava.

Era un gesto gentile, credeva di essere un disastro invece quando non ci pensava troppo queste cose gli venivano spontanee.

Anche nell'anima della persona più spietata in questo mondo c'è una parte che sa aiutare gli altri.

Poi aggiunse con tono piatto:

-In questo primo periodo, in cui tutti sanno che sei qui, molti preferiscono infrangere il codice e morire pur di vederti, per questo non voglio che esca quando ricevo visite.

Non l'avevo mai visto più serio e distaccato di allora. Dopo quel giorno avevo rovinato per sempre la nostra relazione, ne ero sicura.

**

Mi svegliai e guardai l'orologio. Era sera. Credevo di essermi addormentata qualche ora, invece non avevo né pranzato né cenato. Mi guardai in torno. Justin non c'era. Mi ritornò in mente il nostro litigio e il mio cuore si agitò di nuovo. In quel momento sentii un gemito provenire dal bagno, sembrava la voce di Justin. Mi alzai e mi diressi verso la stanza, la porta era socchiusa. La spinsi senza fatica e, davanti a me, si presentò la vista terrificante di Justin in piedi davanti al lavandino e le sue mani piene di sangue.

Inizialmente mi sentii confusa, aveva forse ucciso qualcuno di nuovo? Poi mi accorsi che aveva un coltello in mano, lo stava usando contro se stesso.

These Four WallsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora