25.

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Luce del sole


Mi svegliai quando sentii la mano di Justin accarezzarmi la fronte e scostarmi i capelli dal viso.

Mi girai verso di lui, era già vestito e lavato, ancora i suoi capelli erano umidi. Rimasi a contemplare la sua bellezza per qualche secondo, lui fu il primo a parlare.

-Ehy coltellina -si corresse subito- volevo dire mamma, cioè Quinn, principessa. - sorrise- scusa non mi veniva la parola giusta. Mi agito quando sono con te.

Mi misi a ridere.

-Amo il suono della tua risata.

Sorrise.

-Grazie.

Molto probabilmente arrossii, io non avevo mai sentito il rumore della sua risata, doveva essere magnifico.

-Hai dormito bene?

Aggiunse.

-Si, tu?

-Meglio di qualunque altra notte.

Mi passò una mano sul braccio che mi aveva stretto il giorno precedente, dove si era formato un grosso livido. La preoccupazione invase il suo sguardo.

-Non fa male.

Sorrisi per calmarlo ma con scarsi risultati.

-Avevo già promesso che non ti avrei mai più aggredita e invece...

-Non ti devi preoccupare, sto bene.

Smise di guardarmi preoccupato solo quando gli squillò il telefono e si alzò. Dimenticavo queste chiamate misteriose. Per la prima notte, dopo più di una settimana, non era uscito e tornato la mattina, questo era stato davvero dolce da parte sua. Mi aveva considerato più importante del lavoro e della società.

-Scusa, devo rispondere.

Sussurrò e prese il telefono. Un momento prima aveva sorriso con me, ma al cellulare era tornato duro e spietato, come un vero e proprio capo. Scostai le coperte e, ancora nuda, mi sedetti sul letto, mi sentivo indolenzita per la notte precedente, ma cercai di non farlo notare. Mi alzai per andare in bagno facendo piccoli passi e tenendomi dal letto, vidi Justin osservarmi per tutto il tragitto. Sembrava meravigliato dalla mia figura, riusciva però a mantenere la conversazione con il tipo al telefono. Quasi arrivata alla porta del bagno gli lanciai uno sguardo perché mi accorsi che aveva smesso di parlare, nonostante il telefono fosse ancora al suo orecchio e qualcuno continuava a porgergli, insistentemente, delle domande dall'altro capo del telefono. Lo guardai dubbiosa. Mentre ancora camminavo, cominciò a spostarsi verso di me. Sembrava quasi in trans e, non facendo attenzione a dove metteva i piedi, prese uno scaffale pieno di libri dritto in un occhio. Si piegò in due imprecando e gli cadde il telefono a terra, spegnendosi.

Corsi verso di lui, trattenendo le risate, la botta sembrava grave.

-Stai bene?

Gli misi una mano sull'occhio per guardarlo, ma lui lo copriva con la sua.

-Si, dannazione. Lo scaffale mi è venuto addosso.

Si tolse la mano e sbatté velocemente le ciglia per mettere a fuoco la stanza.

-Che avevi intenzione di fare?

Chiesi osservando l'occhio che sarebbe diventato presto nero.

These Four WallsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora