I'll be dead before the day is done • II

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Sophie Le Orfleur


I'll be dead before the day is done • II

Conoscevo bene la planimetria e la struttura di Castel Sant'Angelo, l'avevo studiata da bambina. Una delle lezioni che mio padre mi faceva seguire giornalmente era proprio Storia dell'Architettura, un'altra forma d'arte che noi Le Orfleur non mancavamo di apprezzare.

Mi ero diretta in quell'ultima cella per un motivo specifico. Quella era la cella in cui all'inizio del Cinquecento era stato rinchiuso Benvenuto Cellini, un importante artista del Manierismo, e da cui era evaso una notte calandosi dalla latrina esterna, un piccolo vano che s'incontrava salendo quelle poche scalette per mezzo di cui io stessa volevo fuggire.

Ero rimasta lì ad aiutare Nate solo perché mi ero resa conto di essere circondata da vampiri e licantropi, pur riuscendo a scappare all'esterno qualcuno mi avrebbe ripresa sicuramente, le probabilità di riuscita della fuga erano troppo basse. Questo almeno fu ciò che mi dissi solo dopo aver donato il mio sangue al licantropo, questa fu la giustificazione che diedi a me stessa. In ritardo però.

Era andato tutto storto. Mio fratello... mi aveva trovata, ora sapeva dove ero con precisione, probabilmente aveva rivelato i dettagli alla regina o alla mia famiglia e i Sicari di Katlyn dovevano averlo battuto sul tempo.

Più le ore passavano più quella situazione diventava ingestibile. Ad ogni modo mi sorprese davvero vedere che Nate si sarebbe spinto fino a morire pur di proteggermi; probabilmente non avrei potuto dire altrettanto se solo avesse scoperto chi era veramente Vivian Le Orfleur, la truffatrice, l'illusionista, la bugiarda, ma questo al momento non aveva importanza. Continuavo a ripetermelo ma non riuscivo a convincere bene nemmeno più me stessa.

Non sapevo cosa avevo combinato. Non avevo mai sentito parlare di vampiri che avessero donato il loro sangue a un mannaro, non ne conoscevo gli effetti o le conseguenze, ero certa solo del fatto che lo avrebbe guarito più in fretta dalle ferite prodotte da armi d'argento; d'altronde con quella dannata collana che avevo al collo la mia unica forma di difesa era lui, perciò non avevo scelta.

Sì, certo. Questo e il fatto che lo avevo sentito già morire tra le mie braccia una volta, solo poco tempo prima, in quel dannato incubo così reale da riuscire a strapparmi un brivido anche ora. Continuavo a trovare spiegazioni logiche ai miei comportamenti, ma la verità era che non lo avrei lasciato morire di nuovo.

Ero impazzita.

Sentii dapprima le sue labbra premere sulla mia pelle, poi la sua lingua leccare e suggere la mia linfa; potevo percepire distintamente il suo calore corporeo aumentare e la voglia di immergermici mi fece fremere. Lo volevo, desideravo quel suo calore come un umano perso nel deserto brama un sorso d'acqua fresca. Con quella stessa intensità.

Immortal Down (Book I) [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora