Capitolo 25

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Il nostro primo bacio fu una promessa di quello che sarebbe avvenuto.

JACKSON'S POV

Nessuno avrebbe mai capito quello che provavo. Si, era vero, andai in camera sua per vedere se avesse tenuto almeno un nostro ricordo. Ma niente, allora le lasciai quel messaggio, almeno avrebbe saputo che ero stato lì e magari farla tornare nel mondo reale, il nostro mondo. Quel mondo perfetto che esisteva solo con noi due al centro, quel mondo che poteva esplodere da un momento all'altro, almeno lei era accanto a me e avrei cercato di proteggerla da ogni male. I suoi occhi verdi erano stupendi, molte persone si innamorano degli occhi azzurri come i miei, ma i suoi occhi verdi erano i più belli che avessi mai visto. Decisi di restare un'altra settimana, volevo vedere come se la sarebbe cavata nella sua nuova vita. Il messaggio che mi aveva inviato pensavo fosse uno scherzo, invece no; ma sapevo che niente e nessuno poteva separarci, nemmeno la morte. So che se mi avrebbe visto sarebbe corsa da me, me lo sentivo nel sangue. Quando il cuore batte forte quando una persona ti sta accanto non è per l'eccitazione o altro, ma perché la ami davvero e saresti disposto a tutto per lei, anche camminare sui carboni ardenti o peggio nuotare in mezzo agli squali oppure fare il soldato. Insomma sacrificare la tua vita per quella persona. Ma quando non hai nessuno che ti aspetta è tutto più complicato, molto complicato. Mi avrebbero preso per pazzo ma spiarla era l'unico modo per vederla, l'unico modo per essere la sua ombra, l'unico modo per vederla sorridere. Era fragile, ma quest'esperienza l'avrebbe cambiata in meglio, me lo sentivo dentro. Di notte mi arrampicavo in un albero vicino il suo dormitorio e la spiavo dalla finestra, non si vedeva molto, ma sempre meglio di niente. Aveva preso qualche chilo, la vedevo più grossa, ma di poco. Una notte mi venne l'idea di farle capire che io ero lì così con le foglie di un albero feci una grande J, sperando che lei la mattina dopo la notasse. Non mi restava che pregare per fare in modo di farle tornare i nostri ricordi insieme.

KATY'S POV

Quanto mi sarebbe piaciuto rivedere Jackson anche solo per un secondo, ma era impossibile. Conoscendolo sarà andato in qualche bar a bere oppure incazzato avrebbe fatto a pugni con qualcuno. Feci uno strano sogno la notte, un sogno magnifico. Io e Jackson che in mano avevamo il nostro bambino. Sarebbe stato stupendo, ma era solo un sogno. Mi alzai come tutte le mattine per andare a scuola. Indossai dei jeans con una canotta a fiori, mi lasciai i capelli ondulati. Presi la borsa con i libri e scesi, stavo per andare a scuola quando la mia attenzione cadde su una specie di accumulo di foglie; così tornai indietro, non capivo bene di cosa si trattasse e mi allontanai per vedere meglio. Mi sembrava una specie di T strana, ma poi notai la curva alla fine e capii subito che si trattava di una J. All'inizio rimasi perplessa.
"Che ci faceva Jackson nella mia scuola?" Pensai.
Cioè non credevo fosse stato lui, oppure era stato realmente lui e voleva farmi capire qualcosa? Con il dubbio andai in classe dove non facevo altro che pensare se fosse stato realmente Jackson.
"Signorina Rizzi!" Gridò il mio insegnante facendomi tornare in quel mondo.
"Si!" Esclamai facendo cadere il mio libro a terra.
"Vedo che si è svegliata! Stia più attenta in futuro!"
"Scusi..."
Le mie solite figure a scuola, una merda, neanche i miei compagni di classe mi chiamavano facendomi tornare nel mondo reale.
Finita la lezione andai a pranzo con Matthew come sempre del resto.
Ci sedemmo e iniziammo a parlare.
"Come è andata oggi?"
"Tutto bene tu?" Certo non potevo dirgli che Jackson aveva frugato tra la mia roba.
"Tutto ok. Più tardi usciamo?"
"No Matthew, non mi va."
"Allora vengo da te?"
"Ho un impegno con Jessie..."
"Non puoi rinviarlo?"
"No..."
Gli avevo inventato una scusa per non uscire, volevo stare da sola quella sera, non volevo nessuno fra i piedi.
"Va bene."
Finito andai a lezione di ballo, almeno sarei stata felice per un pò. Andai negli spogliatoi e mi cambiai, non ero la ben voluta dagli altri, avevano paura di me, paura che io possa vincere perché tutti avevano un'occhio di riguardo per me. Non dicevo di essere la migliore, ma me la cavavo. Mi feci il tuppo ed andai in sala prove. Dopo mezz'ora di ritardo venne la prof Brown e si scusò.
"Dovete iniziare a pensare ai pezzi per il saggio; manca un mese. Ho parlato con il preside e da quest'anno c'è la possibilità di fare un'esibizioni doppia."
"In che senso?" Disse un mio compagno.
"Ballo e canto, oppure ballo e accompagnato da uno strumento come il violino."
La cosa mi piaceva molto, forse avrei potuto fare l'esibizione con Matthew.
"D'ora in poi dovrete lavorare da soli, io vi ho già insegnanto tutto quello che dovete sapere."
"Ma se abbiamo qualche dubbio la possiamo consultare?" Chiesi.
"Ovvio Katy! Per oggi non ci sarà lezione, ma da domani in poi vi dovrete allenare per i fatti vostri."
Finito di parlare andai a cambiarmi e mi rinchiusi in camera. Avevo una voglia matta di gelato sette veli, così mandai Jessie a comparlo. Quando rientrò mi armai di cucchiaio e iniziai a mangiarlo guardando un film divertente.
"Io esco." Disse Jessie.
"Divertiti."
"Se hai bisogno di qualcosa sai dove trovarmi."
"Va bene."
Uscì e appena finito il gelato avevo una fame terribile così chiamai il fattorino della pizza per farmela portare al dormitorio. La mia pancia stava iniziando ad aumentare e la cosa un pò mi preoccupava. Quando il fattorino suonò il campanello scesi per aprire la porta. Gli diedi i soldi dicendo che poteva tenersi la mancia. Stavo per entrare quando sentii qualcosa che si muoveva nei cespugli così gridai se c'era qualcuno ma niente. Stavo per entrare quando sentii di nuovo rumore e mi avvicinai per vedere se c'era qualcuno.
"So che sei tu Jackson, fatti vedere al posto di nasconderti!"
Ma nessuna risposta così aprii la porta quando sentii una voce, allora le lacrime iniziarono a scendere da sole e il cuore iniziò a battere fortissimo.
"So che hai bisogno di me."
Quella voce che avrei riconosciuto anche in mezzo a un milione di persone, quella voce che mi trasmetteva gioia. Mi girai subito di scatto e feci cadere la pizza, era lui... Jackson.
"Jackson... Jackson!"
Presa dall'esaltazione gli andai all'incontro abbracciandolo. Era normale che gli saltai addosso?
"Quanto tempo che non toccavo le tue guancie." Disse accarezzandole.
"Jackson perché sei qui?"
"Ho fatto un viaggio di 8 ore e l'unica cosa che sai dire è perché sei qui piccola?"
"Ma Glenda..."
"Non roviniamo questo momento. Mi sei mancata tantissimo."
"Anche tu." Dissi stringendolo fortissimo.
Gli scesero le lacrime anche a lui. Era più di un mese che non lo vedevo e non avevo sue notizie.
"Ti amo!" Disse baciandomi.
Mi mancavano quelle labbra, quelle soffici labbra rosee, mi mancavano i suoi occhi, il suo sorriso, la sua sicurezza, lui insomma.
"Lo sai che siamo dei pazzi?"
"Io non sono pazzo, sto cercando la felicità."
"La tua felicità è Glenda e tuo figlio..."
"Ti sbagli, la mia felicità sei tu!"
"Oh Jackson!"
"Nulla potrà mai separarci okay?"
"Okay!"
"Promettilo!"
"Lo prometto."
Mi mise le mani tra i capelli e mi baciò di nuovo, ora ero realmente in paradiso. Le emozioni che provavo per Jackson nemmeno Matthew me le aveva fatte provare da un mese. Mi bastava solo lui, Jackson.
"Vieni con me!" Gli dissi portandolo sopra nell'appartamento. Non avevo nemmeno la forza di staccarmi da lui. Mi prese in braccio come si fa con le spose e mi portò di sopra. Appena aperta la porta ci buttammo nel divano, mi mancavano i suoi baci, le sue carezze. Cominciammo a baciarci di nuovo e gli tolsi la maglietta, stava per togliersi i pantaloni quando qualcuno aprì la porta.
"Cazzo!" Pensai.
Era Jessie che vedendoci si scusò ed io e Jackson tornammo alla normalità. Sembravamo estranei.
"No Jessie..."
"Non mi presenti il tuo amico?"
"Lui è Jackson..."
"Ciao..."
Le feci cenno di andarsene via e lei capì subito.
"Scusate ma io devo andare."
Quando uscì Jackson si mise a ridere.
"Allora dove eravamo rimasti?"
"Non mi ricordo, forse dovremmo iniziare daccapo."
"Mi sa che è la cosa migliore." Disse sorridendo.
Per la prima volta mi sentivo di nuovo felice grazie a lui, lui che mi aveva fatta soffrire. Era mto che non lo sentivo MIO nel vero senso della parola, completamente mio. Il mattino dopo mi svegliai e vidi che Jackson non era accanto a me così gridai il suo nome ma niente. Mi alzai con solo un lenzuolo addosso e trovai un biglietto.
"Aspettami, io ci sarò -J."
Che mi dovevo aspettare in fondo, lui sarebbe tornato da Glenda e avrebbero costruito una famiglia, ma decisi di aspettarlo, anche tutta la vita. Non volevo impegnarmi con altri... o dovevo stare con lui o con nessuno. Presa da questo spirito di iniziativa mi feci una doccia e indossai una felpa leggera blu con dei jeans. Feci colazione con Jessie al bar di fronte e lei tirò fuori l'argomento di ieri sera.
"Ma quello di ieri sera era il tuo Jackson?"
"Si..."
"Quello di Milano?"
"Di quanti Jackson ti ho parlato? Solo uno."
"Oddio, ma ti rendi conto? Avete chiarito?"
"No, stamattina se ne è andato."
"Te lo aspettavi?"
"Si, non perché lui è un tipo che scappa, ma non è uno che lascia le cose in sospeso."
"Se ti ha cercata sarà perché ci tiene veramente a te."
"Lo so. È stato troppo bello ieri notte."
"L'avete fatto?"
"Si, ed è stato come la prima volta."
"Si vede che ti rende molto felice."
"Già..."
"Che hai intenzione di fare con Matthew?"
"Hai ragione, scusa devo andare."
Presi le mie cose di corsa e andai a cercarlo dappertutto. Entrai nel suo plesso e lo cercai, chiesi ad un tizio che passava che sapeva dov'era Matthew ma niente. Alla fine lo trovai che stava suonando il piano a teatro. Quando mi vitte sorrise e smise di suonare.
"Beh non mi saluti?"
"Dobbiamo parlare."
Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui.
"Dimmi."
"Non ho il coraggio di dirtelo..."
Mise la sua mano sotto il mento e alzò la mia testa per fare in modo che lo guardassi negli occhi. Ma non riuscendoci abbassai lo sguardo. Allora mi mise la mano sulla guancia ma io mi girai per fare in modo che la togliesse.
"Sai che puoi dirmi tutto."
"Matthew non posso farlo..."
Dette quelle parole uscii piangendo, non volevo vedere la sua faccia al pronunciare delle mie parole.

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