Capitolo 26

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Non potevo evitarlo perché gli volevo bene. Allora ho fatto come diceva di fare mio nonno con tutti quelli che non possono capire le cose essenziali: "Gli ho augurato buona fortuna".

Uscii da scuola ed entrai in un vicolo stretto, mi sedetti a terra piangendo.
Che cazzo dovevo fare? Perché avevo fatto una cosa del genere? Sapevo di essere un mostro, sapevo che non avrei dovuto farlo soffrire, sapevo che nonostante tutto non avrei mai dimenticato Jackson, sapevo che stare insieme a Matthew era sbagliato, so di essere un disastro. Semplicemente questo. Disastro era la parola che mi descriveva meglio. Disastro in tutto; nella vita, in amore. Disastro nell'essere me. Alcuni mi consideravano perfetta, ma non avevano capito che la perfezione non esiste. Ero l'opposto della perfezione, ero un disastro.
Ormai la cosa che facevo era questo. Deprimermi e questa mia depressione mi faceva male, mi stava uccidendo, come dire.
Altre persone invece dicevano che avevo un brutto carattere ed avevano ragione perché ero quel genere di ragazza che si affezionava subito alle persone e poi le feriva. Queste persone avevano azzeccato in pieno come ero.
La mia vita scorre lentamente e allo stesso tempo velocemente, come le gocce che escono fuori dal rubinetto, ci vuole molto tempo prima che spunti la goccia, ma quando si è formata cade così velocemente che ci dimentichiamo pure del tempo perso a guardarla. Ogni respiro perso senza fare niente quando avremmo potuto usare quel respiro per dire delle belle parole oppure per unirlo alle labbra di un'altra persona. Mi ha sempre affascinato Peter Pan, non è uguale agli altri principi o per la verità non è un principe. Non arriva con un grande cavallo bianco, ben vestito, capelli perfetti, con una grande ricchezza e una grande cavalleria. Arriva con i suoi stracci, capelli arruffati, con campanellino e la polvere. Ci sarà pur un motivo se Peter apre la finestra di Wendy, forse per salvarla da quel mondo orribile pieno di pregiudizi, gente cattiva, bastarda per meglio dire. Nel mondo reale se non sei qualcuno nessuno ti calcola. Wendy merita un mondo migliore, non vuole più soffrire, né per amore, nè per altro. Ha sempre cercato un mondo dove può essere realmente lei almeno una volta nella vita, non vuole più essere la figlia perfetta per i genitori che si comporta sempre bene, prende voti buoni. Ha sempre desiderato di fare le pazzie più assurde come andare in giro con la sua moto e non tornare mai più, scalare l'Himalaya, visitare la barriera corallina, ma non poteva esserlo se restava lì. Wendy ogni sera guardava fuori dalla finestra aspettando un segno, ma niente. Peter aprì la sua finestra e vide Wendy dormire nel suo caldo letto. Le toccò delicatamente i capelli, si mise a guardare la sua camera e nelle sue foto non notò nemmeno un sorriso. Campanellino svegliò per sbaglio Wendy che si mise a gridare vedendo Peter ma lui subito le tappò la bocca dicendo: "Sono qui per salvarti." Allora Wendy annuì affascinata dall'aria di Peter, si chiedeva perché fosse lì.
"Chi sei?"
"Peter Pan, ma puoi chiamarmi Peter."
"Perché sei qui?"
"Vuoi vivere un'avventura?"
"Nemmeno ti conosco..." Dissi toccandomi il braccio e abbassando lo sguardo.
"Vuoi rompere le regole? Vuoi venire in un posto dove le persone sono veramente se stessi e non c'è nessuno che può corrergerti? Vuoi venire nell'isola che non c'è?"
"Dove si trova quest'isola?"
"È nella tua testa. Seguimi." Disse portando la mano verso Wendy.
Wendy decise si rompere le regole.
"Come ci andiamo?"
"Ti fidi di me?"
"Si."
Wendy non era una ragazza che si fidava della gente, ma con Peter tutto era diverso, sentiva di poter rompere le regole.
Peter abbracciò Wendy e uscirono fuori dalla finestra, lei non poteva credere che stavano volando. La portò nella sua isola, dove Wendy si sentì finalmente se stessa. Indubbiamente si innamorarono, il resto della storia lo conoscono tutti...
Una lacrima dietro l'altra scendevano lentamente, la gente passava ignorandomi oppure altre mi guardano e scappavano. Non sapevo neppure cosa ci facevo lì, volevo solo che mia madre fosse lì con me, che mi abbracciasse, che mi aiutasse, che mi consolasse, ma volevo troppo. Ognuno di noi alla nascita è assegnato da un destino, ognuno di noi ha un compito, probabilmente a me era stato assegnato quello di essere triste e questa mia tristezza rovinava tutto ciò a cui tenevo.

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