Capitolo 8

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Massimo ha il viso rosso e gli occhi persi. Mi tira uno schiaffo sulla guancia. E' forte. Il viso scatta sotto la sua mano, accompagnandola. Non ho mai ricevuto uno schiaffo da nessuno, neanche dai miei genitori. Ero una bimba calma e paziente, non ce n'è mai stato bisogno.

Non mi è mai capitata una situazione del genere. I muscoli si contraggono sotto la pelle, allerta. Resto senza fiato per quel gesto. Giro la testa e sento la guancia bollente e dolorante. Inspiro ed espiro qualche secondo, poi scatto verso la porta d'ingresso, ma Massimo è troppo veloce e mi afferra da una spalla. Mi tira verso di lui e cado sul divano. La caduta è fortunatamente attutita dai cuscini.

«Dove pensavi di andare?» urla, bloccandomi le mani dietro la schiena.

«Massimo lasciami!!!» urlo stringendo i denti.

Lui per tutta risposta sorride e mi accarezza la guancia che ha appena colpito.

«Guardati, sei così bella... » si piega su di me e cerca di baciarmi, ma io mi sposto. A quel punto si libera una mano per bloccarmi la testa. E' incredibile quanta forza abbia in confronto a me. Mi tiene stretti i polsi con una mano.

Stringe la mano sulla mia mandibola, sento male. Ma non mi do per vinta. Tengo la bocca serrata, mi bacia a stampo.

«Non opporti...» mi suggerisce.

Sento il suo alito caldo vicino alla bocca e mi viene da vomitare. Gli sputo in faccia.

«Fottiti!» gli urlo.

Resta immobile qualche istante, mentre la rabbia gli cresce dentro. Poi sorride in modo malvagio.

«Sarò io a fottere te stasera...»

I suoi occhi puntano nuovamente le mie labbra e rieccolo piombarmi addosso. Quando cerca di infilarmi la lingua in bocca, io la lascio entrare. Sento il suo corpo distendersi, la mano che mi tiene i polsi si allenta. Crede di aver vinto. Crede di avercela fatta. Crede che mi sottometterò al suo volere.

Gli mordo la lingua e sento subito il sapore del suo sangue in bocca, che sputo via. Approfitto del momento in cui si alza urlando e tenendosi le mani chiuse davanti la bocca, per tirargli un calcio in mezzo alle gambe. A quel punto si piega letteralmente su se stesso. Corro verso la porta e finalmente riesco ad aprirla. Quando sbuco sul pianerottolo, assaporo la ritrovata libertà. Scendo le scale di corsa, anche se inizio a sentire le forze abbandonarmi. Tutta l'adrenalina che mi si è propagata in corpo per fuggire, sento che ora mi sta abbandonando.

Spingo la porta del portone e finalmente mi ritrovo in strada. A quel punto mi rendo conto di non avere il telefono. Merda. Di nuovo. Sono esausta e devo andarmene da qui. Cammino per qualche metro sul marciapiede, quando vedo una macchina familiare. Inchioda di colpo dopo avermi accecata con i fari. Non può essere, questo è un sogno. Sono morta e il mio angelo dagli occhi verdi è venuto a prendermi.

«Selene rispondimi, ti prego!» sento urlare.

Apro gli occhi e mi trovo tra le braccia di Diego.

«Cazzo che colpo... grazie a Dio!» esclama svelto guardandomi.

«Cosa ci fai qui?» fatico a chiedergli. Ho la mandibola dolorante.

«Non parlare! Riesci a camminare?» mi domanda.

Solo allora mi rendo conto di essere semi sdraiata a terra. Devo essere svenuta. Troppe emozioni.

«Si...»

Infila un braccio sotto al mio e mi aiuta ad alzarmi. Ha gli occhi lucidi, non so perché. Mi fa sedere in macchina ed entra a sedersi al posto di guida.

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