Di quella sera non ricordo molto. So per certo che tornai a casa da lavoro a piedi. Erano tanti i pensieri che si intrecciavano nella mia mente, uno fra tutti continuava a perseverare. Cercavo di non pensarci, ma non mi usciva dalla testa. Aveva mandato lei. Non aveva avuto il coraggio di guardarmi in faccia e dirmi che era tutto finito. Come aveva potuto farmi una cosa del genere? Con che coraggio mi aveva lasciata ad affrontare lei? Io gli aveva donato il mio cuore e lui cosa ne aveva fatto?
La rabbia iniziale si trasformò in sconfitta e poi dilagò nell'indifferenza. Il mio sorriso si spense, la vitalità mi abbandonò. Avevo solo voglia di dormire, al buio e in silenzio.
I giorni successivi non andai a lavoro. Mi rinchiusi in casa e passavo le giornate a letto cercando di dormire. Se dormivo non avrei pensato a lui, ai suoi occhi verdi. Ma la mia mente non si spegneva nel sonno e non mi dava pace, continuavo a vedere il suo viso.
Il quarto giorno mia madre mi alzò di forza dal letto e mi obbligò a fare una doccia. Fu quando mi chiese chi era stato a ridurmi in questo modo, che crollai. Finalmente crollai ed uscirono tutte le emozioni. Non ho memoria di aver mai pianto in quel modo profondamente disperato. Alla fine mi sentii svuotata da un grosso peso. Raccontai qualcosa a mia madre, evitai di dirle che con lui avevo perso la verginità. Rimase in silenzio ad ascoltarmi e alla fine mi abbracciò e mi strinse forte. Poi mi disse: qualsiasi cosa succeda, non perdere te stessa per niente al mondo! Forse è arrivato il momento di trovare una nuova strada, la tua. Infine mi sorrise e mi obbligò a mangiare.
Ed io la cercai quella strada.
Due giorni dopo tornai a lavoro. Mia madre aveva ragione, era arrivato il momento di vivere per davvero. Andai dal direttore e dopo un ora e mezza di colloquio, uscì dal suo ufficio vittoriosa.
Quando tornai a casa quel pomeriggio, accesi il computer e prenotai un volo sola andata per Dublino. Poi aprii la valigia e inizia a infilarci dentro vari cambi.
Ero arrivata ad una scelta, per me stessa. Qualsiasi cosa in quella casa mi ricordavano lui. I suoi occhi, i suoi respiri. Lo stomaco mi si contrasse e sentii quell'ormai familiare senso di acidità nascermi in gola. Chiusi gli occhi e cercai di non pensarci. Che cosa mi aveva fatto?
Raccolsi le lacrime di mio padre quando comunicai ai miei genitori la mia decisione. Decisi di non avvisare nessun altro, a parte Aurora che chiamai quella stessa sera.
«Dopo domani parto!» esclamai.
«Fai bene, un bel viaggetto ci sta! Vedrai che tornerai rigenerata... dove vai di bello? A proposito a saperlo prima mi sarei imbucata!»
Sorrisi istericamente.
«Che hai da ridere? Selene mi nascondi qualcosa?» domandò sarcastica.
«Non tornerò...» sussurrai.
«Scherzi?» domandò lei.
«Sono serissima!»
Passarono vari istanti di silenzio.
«Arrivo!» esclamò infine chiudendo la telefonata.
Aurora arrivò circa dieci minuti dopo a casa mia e quella notte dormì con me. Ero la sua migliore amica e la stavo per lasciare per un tempo indefinito, aveva bisogno di sentirmi accanto ed io avrei sempre avuto bisogno di lei.
La mattina dopo quando ci svegliammo le diedi in mano le chiavi della mia macchina. Mi guardò stupita. Non avrei avuto il tempo e il coraggio di vendere la mia fidata macchina e mi sarebbe spiaciuto lasciarla in garage per il tempo indefinito che sarei stata via. Aurora non aveva una macchina, prendeva sempre in prestito quella di suo padre per uscire quindi decisi di prestargliela. Fece un po' di storie, ma alla fine accettò.
Quando arrivò il momento dei saluti, scoppiammo entrambe a piangere come due bambine. Le volevo un gran bene, anche se non sempre ero riuscita a dimostrarglielo come volevo. Eppure lei sapeva quanto era stata importante per me.
I miei genitori insistettero per accompagnarmi in aeroporto il giorno della partenza, ma io non volevo. Odiavo gli addii e per quanto amassi viaggiare, quella volta sapevo che era diverso. Non avrei salutato i miei genitori in aeroporto sapendo che li avrei rivisti pochi giorni dopo. Quindi non volevo nessuno.
Ed eccomi qua in aeroporto, seduta su questa sedia di ferro scomoda in attesa dell'uscita del check in. Osservo le persone passarmi davanti e mi immagino storie diverse per ognuna di loro. L'uomo in giacca e cravatta, con la ventiquattr'ore che starà partendo per lavoro. Una donna sulla trentina che tiene stretta per mano una bambina sui dieci anni che corre verso i controlli, probabilmente in ritardo. Mi scappa un sorriso.
Quando ho chiamato il Taxy sapevo di essere in anticipo, ma non pensavo così tanto. Ho sempre odiato aspettare. Maledetta attesa. Alzo gli occhi verso il monitor e finalmente è uscito il check in. Mi alzo prendendo il bagaglio a mano e mi metto in fila per i controlli. Ci saranno circa una quarantina di persone in fila prima di me. L'uomo che mi sta davanti ad un certo punto mormora qualcosa e se ne va verso i bagni. Sorrido.
«Non aveva una bella cera!» sussurra la signora davanti a me, che tiene in braccio un bimbo piccolo.
«Già!» rispondo cortese.
«Torni a casa?» mi domanda.
«Oh no, vado in cerca di una casa!»
La signora mi sorride calorosamente.
«Piacere io sono Cristina e lui è il piccolo Samuel...»
«Io sono Selene» mi presento.
Accarezzo la schiena del bimbo che si gira per guardarmi. Incontro i suoi occhioni verdi e sento un colpo al cuore.
D'un tratto mi ricordo perché sono qua. D'un tratto mi ricordo che sto scappando.
«Selene!» sento urlare.
E' incredibile. E' ancora nella mia testa. La sua voce è ancora così distinta dentro me.
«Selene aspetta!»
«Conosci quel ragazzo?» mi domanda Cristina.
Mi giro spaesata e quando lo vedo mi sento mancare l'aria dai polmoni. Il cuore si ferma sotto al mio respiro trattenuto e poi ricomincia a pulsare veloce.
Osservo Diego che si sbraccia poco più avanti in cerca di una mia risposta, ma io non ho parole. Non so che dire, non so che fare. Lui non dovrebbe essere qui, non è così che volevo andasse. Non doveva accompagnarmi nessuno, non doveva sapere nessuno. Merda.
Mi giro di scatto e torno a fissare i controlli.
«Selene devo parlarti! Selene!» urla di nuovo.
Stringo gli occhi, sento un nodo in gola. Fai finta di niente, non è reale. Selene lui non è qui.
«Signore non può urlare in questo modo...» sento sussurrare. Non ci credo.
«Selene!» urla di nuovo.
«Signore le ho appena detto...»
«Non me ne frega un cazzo di quello che dice! La vede quella ragazza, io le devo parlare e finché non si girerà a guardarmi continuerò ad urlare!» urla Diego.
«Che perseveranza il ragazzo...» sussurra Cristina guardandomi.
Forse è meglio così. E' meglio chiudere la questione una volta per tutte.
«Posso lasciarti il borsone? Torno subito...» domando a Cristina.
Lei mi sorride ed io scavalco le transenne che mi dividono da lui.
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Respirami
RomanceQuesta che state per leggere non è una storia come tante. Non è la solita poesia d'amore e opposti che si attraggono. La domanda che mi accompagna per l'intera storia è se si può amare qualcuno senza starci insieme. Esiste davvero quell'amore forte...