Chapter 39. Parole di ghiaccio

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Era l'8 Gennaio quando finalmente riuscii a vedere Piper. Era stata male per Capodanno e quindi non avevamo potuto passarlo insieme e qualche giorno dopo era venuta a mancare la nonna. Nonostante le avessi detto che avrei voluto andare al funerale, lei non volle. La lasciai in pace nei giorni che seguirono, perché sapevo che la perdita di un proprio caro è qualcosa che ti segna nel più profondo del cuore e senti la necessità di raccoglierti un po' con te stesso.

C'era il mercato quella mattina in città. Alle nove le vie erano tempestate di persone, un eterno via vai di madri, donne, padri, figli, lungo la fila infinita di banchi e bancarelle. Mi piaceva passare tra quel turbinio di corpi, mi piaceva sentire stralci di discorsi dei quali non avrei mai saputo la fine, scostarmi per far passare mariti che seguivano le mogli a passo veloce, fermarmi a guardare la bancarella del miele, con vasetti pieni di vari tipi di miele, acacia, castagno, pino, millefiori, e altri misti a frutta secca. Avrei impiegato il doppio del tempo a raggiungere il bar in cui avrei incontrato Piper. Quando arrivai, era seduta dentro al bar, in un tavolino nell'angolo, intenta a leggere il giornale. La potevo vedere dalla vetrata. Era bellissima, come la prima volta che la vidi al bar da Pitt, quando lei e Merida ci vennero addosso senza fermarsi. In tutto quel tempo, non le avevo mai chiesto perché andassero così di fretta quella sera. Mi aveva lanciato un'occhiata, un'occhiata che finì dritta nei miei occhi, ma lei non se ne accorse nemmeno, quella volta lei e Merida stavano letteralmente correndo fuori. Non avevo più scordato i suoi occhi da quella sera. Mi sembrava impossibile che quella ragazza, che avevo desiderato così tanto, adesso fosse lì in quel bar ad aspettare me. Rimasi un attimo lì fuori a guardarla, guardavo i suoi capelli biondi che erano diventati più lunghi dall'ultima volta che l'avevo vista, guardavo le sue piccole mani che sfogliavano le pagine. Sul suo volto c'era un'espressione triste. Si girò verso di me, mi vide e mi salutò con un gesto della mano. L'espressione non cambiò, non vidi nemmeno un accenno di sorriso. Ero davvero preoccupato. Entrai nel bar e fui assalito da una vampata di calore che mi scosse dal freddo che c'era fuori. Andai verso Piper che mi salutò in maniera molto fredda, con un bacio sulla guancia dato quasi per abitudine più che per affetto. Mi sedetti e ordinai due caffè.

"Come stai Piper?"

"Sto meglio grazie"

"E a casa?"

"Tutto abbastanza tranquillo"

"Bene"

Ci fu un silenzio che sembrava interminabile. Io non riuscivo a rompere quel ghiaccio che da fuori sembrava essersi trasferito dentro, proprio nello spazio e nell'aria che ci separavano. Arrivarono i caffè.

"Larry, ti devo parlare"

"Dimmi", anche se sapevo che le conversazioni che iniziavano così non potevano preannunciare nulla di buono.

"Sono successe delle cose in questo periodo..."

"Piper lo so, hai perso una persona alla quale tenevi molto..."

"Larry per favore non interrompermi, lasciami parlare"

"Va bene"

"Ecco, è stato un periodo strano, ho avuto di che pensare e la morte della nonna non è stata d'aiuto", si fermò, come se un qualcosa le serrasse la gola, poi fece un lungo sospiro e riprese a parlare, "Larry io non ti amo. Non ti ho mai amato in realtà. Sono stata con te solo perché cercavo di togliermi dalla mente qualcuno, qualcuno che sapevo non sarei mai riuscita a dimenticare. Qualcuno che amavo e che amo tuttora. Pensavo che tu saresti stato il giusto diversivo, un sostituto alla persona che mi aveva spezzato il cuore. Ti ho preso in giro Larry e ho preso in giro me stessa pensando di poter cancellare i sentimenti che portavo con me. Ti chiedo di perdonarmi. Ti chiedo di odiarmi se questo ti farà stare meglio. Questa è la verità, questa è l'unica cosa vera che ti dico da quando ci conosciamo. Non sono stata sincera con te, ma lo sono adesso, adesso che ti sto dicendo non che tra noi due sia finita, ma che in realtà non è mai cominciata". Dicendomi quelle cose, non aveva mai abbassato lo sguardo. I suoi occhi erano fissi nei miei. In quell'istante mi sentivo lacerato, fatto a brandelli, come se fossi stato gettato in battaglia senza un'armatura, come se fossi io la preda dei gladiatori, posto al centro dell'arena. Le sue parole mi risuonavano nella testa, chiare, confuse, forti. Mi passavano davanti agli occhi un sacco di ricordi che nello stesso istante venivano cancellati, come se non fossero mai esistiti, come se all'improvviso mi stessi svegliando da un sogno bellissimo, con l'amaro in bocca di qualcuno che sa che quella non era la realtà, ma solo una stupida, dannata illusione. Non avevo la forza di ribattere. Avrei voluto scaraventarla contro il muro, mettere a soqquadro quel posto, urlarle contro che maledicevo il giorno in cui l'avevo incontrata, che era una puttana e che non si meritava niente dalla vita. Ma non feci nulla di tutto questo. Mi alzai e me ne andai. Piper non si mosse, non provò nemmeno a fermarmi. Quando fui fuori mi resi conto di non aver pagato il caffè. Lo avrebbe pagato Piper. Per quella mattina, pensai, avevo già pagato abbastanza. Mi incamminai per tornare a casa, facendo le vie traverse, volevo evitare di mischiarmi in mezzo alla gente, in mezzo ai pensieri delle persone. Volevo evitare di condividere il mio dolore con il dolore di qualcun altro. L'aria era fredda, più fredda di come l'avevo lasciata quando ero entrato al bar, e sarebbe stata fredda ancora per un bel pezzo.

Il telefono squillò.

"Alex sei casa?"

"Sì"

"Vengo da te, devo parlarti"

"Okay, ti aspetto"

Riattaccarono.

L'aria era gelida.

Piper camminava con lo sguardo basso. Mille pensieri le occupavano la testa.

Alex guardava fuori dalla finestra.

Il ghiaccio giaceva sulle strade e sarebbe arrivato anche in quel salotto, portato dalle parole di Piper.

Just a girl in a bar || WATTYS2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora