Chapter 19. Sevenevez

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"Non ho nessuna intenzione di uscire con te, proprio nessuna", aprii il cancelletto e me lo richiusi alle spalle, lasciando fuori Alex.

"Piper!"

"No! Piper un bel corno! Adesso sono io che decido! Sì, è vero, mi merito delle spiegazioni, mi hai trattata come un pezzo di carta, ti sei comportata da vera stronza, quindi adesso non venire qui a farmi la ramanzina! Le tue spiegazioni le ascolterò quando vorrò ascoltarle!", mi voltai e andai verso l'ingresso del condominio.

"Piper!"

"E smettila di stalkerarmi! Cerca ti essere coerente con quello che dici! Invece di nasconderti ogni volta che ti avvicini a me!", entrai e non mi voltai a guardarla.

A quel punto, presi il telefono, aprii la rubrica e cercai un numero, un numero al quale pensavo di non dover mai ricorrere. Quando lo trovai, chiamai. All'altro capo, mi rispose qualcuno. "Alex", "Ho bisogno di parlarti", "Sai dove trovarmi" e riattaccò. Tornai alla macchina che avevo lasciato qualche metro più in là e cominciai a viaggiare dentro la notte.

Salita in casa trovai tutte alle prese con la cena, Nicky, Red e Norma. Red mi guardò e dal mio sguardo capì che qualcosa non andava. Stava venendo verso di me per chiedermi qualcosa, ma io sorrisi e me ne andai in camera. Alex. Sempre e solo lei. Dopo cena...oddio Larry! Presi il telefono e gli scrissi un messaggio. "Ciao Larry! Grazie per il pranzo di oggi! Scusami ma stasera ho un impegno, ma scrivi pure a Merida, che magari lei esce! Ciao, buona serata!", lo spedii e andai a farmi una doccia. Finita la doccia mi precipitai a prepararmi qualcosa di veloce per cena, avevo fame ma non avevo nessuna voglia cucinare, quindi mi feci un'insalata che finii nel giro di qualche forchettata. Lavai i piatti e poi restai un po' in cucina con Red, e mentre lei preparava i muffin, io leggevo. Dopo un po', però, la stanchezza mi vinse, salutai Red ed andai a letto. Trovai un messaggio di Larry che mi diceva che sarebbe stato per un'altra volta e poi un messaggio di Merida, che mi ero dimenticata di chiamare, che mi domandava se andasse tutto bene. Le risposi che le avrei spiegato il giorno seguente e che probabilmente l'avrei chiamata quando fossi stata in treno perché quel week-end sarei tornata a casa. Dopodiché, non appena mi stesi a letto, caddi in un sonno profondo.

La notte mi aveva sempre rassicurata. Quando dovevo prendere delle decisioni o quando qualcosa mi turbava, aspettavo la notte, per poter decidere e perché riuscivo a ragionare meglio. Quello che mi aveva detto Silvye mi aveva particolarmente scosso. Quando ci eravamo fidanzate, lei non aveva amici, così decisi di farla conoscere alle persone della mia compagnia, i miei amici andavano d'accordo con tutti, quindi pensai che non ci sarebbero stati problemi con lei, ma di lì a poco, si scoprì la vera natura di Silvye, ossia il fatto che non sapesse tenere la bocca chiusa, che non nascondeva mai quello che pensava anche se erano cose inopportune e che non esitava a lanciare cattiverie gratuite. I miei amici cominciarono a darle contro, a lamentarsi di lei, ma io, accecata, non li ascoltavo quando cercavano di farmi capire che razza di persona fosse, quindi la difendevo e giustificavo sempre, per ogni cosa. Decisi di staccarmi da loro, non avrei mai lasciato andare Silvye che, anche se litigavamo, riusciva sempre a riprendermi. Il tempo passava, finii la triennale ed iniziai la specialistica, così come Silvye. Non avevo più nessun amico, da una parte perché non riuscivo più a fidarmi di nessuno, dall'altra perché pensavo che non mi servisse nessun altro oltre a Silvye. Ad un certo punto, le liti cominciarono ad essere molto forti, arrivammo alle mani in alcuni momenti. Litigavamo, ma io, nonostante tutto, tornavo, ogni volta. Era una cosa estenuante quel tira e molla continuo. In quel periodo mi scolpii la corazza più forte di sempre, volevo mostrarmi fredda, non solo con lei, ma anche con gli altri, volevo qualcosa che mi proteggesse. Poi, una sera, dopo l'ennesima litigata, dissi a Silvye che era tutto finito e lei scoppiò in lacrime, dicendomi che avremo passato anche quel brutto momento. Le ripetei più e più volte che no, quella sarebbe stata l'ultima delle nostre litigate e che io, stavolta, non sarei tornata indietro. Le tenni testa, non abbassai la guardia nemmeno un attimo, nonostante le sue lacrime fossero diventate una vera e propria supplica, così, alla fine, distrutta, le dissi quelle che voleva sentirsi dire : prendiamoci una pausa. Mi ringraziò in tutti i modi, il suo pianto isterico divenne un pianto di gioia, accompagnato da parole come "Cambierò, vedrai, andrà tutto bene" e altre parole alle quali non avevo nessuna intenzione di credere. Andammo a letto e quando mi svegliai, lei non c'era più. Al suo posto c'era una lettera che diceva che aveva bisogno di stare da sola, che tornava a casa sua e che non sapeva quando sarebbe tornata. In quel momento, respirai la libertà. Era la fine di Agosto e quello stesso giorno, mi arrivò una mail dal professore dell'università con il quale avevo scelto di fare il dottorato, dicendomi che a causa di un'improvvisa chiamata da Harvard, avrei dovuto tenere io il suo corso di Geometria Differenziale agli studenti del terzo anno. Sembrava che il mondo avesse cominciato a sorridermi. La sera di quel primo giorno di libertà decisi di festeggiare. Andai nel bar davanti alla facoltà di Matematica e fu lì che, per la terza volta in quella giornata, mi sentii vibrare il cuore. Avevo visto al bancone una ragazza, che non spiccava per nulla tra tutta quella gente. Non aveva nulla di più di altre donne che avevo visto. Ma la sua semplicità mi aveva rapito. Non so cosa avesse, ma dovevo assolutamente parlarle, guardarla negli occhi, senza però perdere la mia inseparabile corazza. Bastò uno sguardo, poi, per farla crollare. Quando Piper mi guardò la prima volta, con quello sguardo innocente, tutto crollò, tutto quello che avevo costruito in anni ed anni di litigi e di solitudine se ne andò via. Mi sentii scoperta. Così, sfoderai le mie pessime battute, pur di allontanarmi da quegli occhi, ma appena fui fuori da quel bar, era immensa la voglia di poterli rivedere. Quello che avvenne poi fu tutto molto confuso. Scoprire che era una mia studentessa mi aveva ulteriormente mandato in confusione. Come ogni volta che le sue labbra toccavano le mie. Possibile che una ragazza fosse in grado di mandarmi così tanto in tilt? E' vero quello che mi aveva detto Piper poco prima. Io non sono quell'Alex e soprattutto non lo voglio essere. Dovevo in qualche modo rimettermi in carreggiata. A mali estremi, estremi rimedi, ed io, un rimedio estremo, ce l'avevo. Dopo un paio d'ore, arrivai davanti al cancello di una villa. Suonai.

"Sì?"

"Sono Alex"

"Parola d'ordine?", oddio, dopo tutto quel tempo?

"Sevenevez"

Il cancello si aprì. Proseguii per tutto il vialetto e quando giunsi allo spiazzo davanti all'ingresso della villa, spensi la macchina. Scesi e vidi che c'era qualcuno ad aspettarmi.

"Sono anni che aspetto una tua chiamata, Vause. Avevo perso le speranze"

"Ciao Xavier"


Just a girl in a bar || WATTYS2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora