Ed eccomi di nuovo nel bosco. Il buio che mi circondava mi fece ricordare quando da piccola mia madre spegneva la luce in corridoio. Tutta la casa assumeva un aspetto spaventoso ma, allo stesso tempo, rilassante. Un po' come il buio dicesse: "ok, ora puoi rilassarti. Lasciati cullare dal silenzio. ODDIO SVEGLIA C'È UN DEMONE DI FIANCO A TE! Ahah scherzavo rilassati, dai".
Ho sempre odiato il buio.
Camminavo a piedi scalzi e mi sentivo in un corpo diverso dal mio. Ero molto più alta, più muscolosa, più sicura di me. Camminavo come in trans, non pensavo veramente a dove stessi andando, andavo e basta. Mi sentivo calda e appesantita come se stessi portando un peso.
Ero come una spettatrice da dentro il mio corpo: sentivo i sensi funzionare, i muscoli lavorare, ma non riuscivo a influenzare questi ultimi; ero in balìa di me stessa.
Dopo aver studiato a lungo il soggetto che tenevo in braccio capii che era una persona e mi spaventai. Cosa ci facevo con una persona in braccio a camminare in mezzo al bosco di notte senza possibilità di decidere come muovere il mio corpo? Il panico mi pervase e pur sentendomi terrorizzata il battito regolare e il mio respiro tranquillo suggeriva tutt'altro. Non riuscivo a capire. Poi lo vidi: il nemeton giaceva a pochi metri da me. Come al solito bellissimo e... ricoperto da corpi? Oddio. Come stavo facendo? Perché cercano tutti quei corpi? Il mio corpo si abbassò per appoggiare il corpo che fino a poco prima tenevo tra le braccia e mi spaventai notando, riuscendo a vederlo di striscio, che ero io. Avevo appena appoggiato me stessa insieme ad altre persone apparentemente morte. Poi il mio 'nuovo' corpo si sedette sul nemeton. Un classico. Poi una luce. Un bruciore improvviso, devastante, incontrollabile. Tutto intorno a me era diventato fuoco e capii. Ero io che avevo preso fuoco.
Parrish.
Io.
Ero.
Parrish.
Volevo andarmene, sentivo un dolore lancinante. Sarò anche stata nel corpo di Parrish per qualche strano motivo a me sconosciuto, ma sicuramente non avevo la sua stessa sopportazione del dolore. Iniziai a lacrimare e poi urlai. Sempre più forte. Chiusi gli occhi e li riaprii. Mi ritrovai in un'ambientazione completamente diversa. Ero tornata a casa mia, di nuovo capace di influenzare le mie azioni. Era tutto tornato normale; meno il dolore. Un dolore straziante al fianco sinistro mi impedì di alzarmi. Era come se avessi davvero preso fuoco, sensazione che era ormai familiare, ma mai così forte. Sapevo da dove veniva quel dolore. Il mio tatuaggio mi stava facendo urlare come mai prima d'ora. Cercavo di calmarlo rotolandomi sul divano, ma niente. Invece di cessare, cresceva. Voleva dire solo una cosa: Derek. Con le poche forze che non stavo usando per combattere il dolore, presi il telefono e chiamai l'ultimo numero a cui avevo telefonato: Scott.
"Scott - presi un respiro cercando di sembrare meno sofferente di quanto non fossi - devi andare a controllare Derek". All'improvviso seppi cosa dovevo fare per cessare la sofferenza. "Che cosa succede? Cos'hai?" Non considerai la sua domanda. "Scott. Manda qualcuno a prendermi. È decisamente molto urgente." Chiusi la chiamata.
L'attesa fu snervante. Soffrivo talmente tanto che quasi sembrava sopportabile; come quando ti rompi il braccio: senti dolore, si, ma non quanto dovresti perché il dolore è talmente forte che è sopra i limiti della sopportazione umana. Il mio era più come se mi stessero lacerando il fianco scavandomi con un cucchiaio. Come se qualcuno mi stesse spegnendo una sigaretta su una ferita aperta.
L'udito sviluppato era attento a sentire il rumore di un auto che venisse verso di me. Avevo bisogno di andare da Derek il prima possibile e se avessi avuto le forze, sarei anche andata da me. Dopo circa un quarto d'ora sentii delle ruote frenare sulla ghiaia e dei passi avvicinarsi. Aperta la porta, vidi l'uomo che poco prima mi era sembrato di impersonificare avvicinarsi a me. Parrish mi guardò e, notando le lacrime e il mio dolore dipinto in faccia, si mosse velocemente verso di me. "Che cos.." lo interruppi "Non ti preoccupare per me, J. Ti prego portami da Derek. Non riesco a camminare, quando sarà tutto finito ti spiegherò" con un po' di esitazione si avvicinò a me e mi prese in braccio. Proprio come nel mio sogno. Mi portò in macchina, mise in moto e, in un batter d'occhi, arrivammo all'ospedale.
Il dover dipendere da lui per muovermi mi faceva sentire a disagio, ma il dolore mi impediva proprio di stare eretta e di camminare. Entrati ci accolse Melissa accompagnata da Stiles. "Come sta?" Chiesi rivolgendomi alla madre di Scott ignorando i loro sguardi preoccupati. "Non riusciamo a farlo stare fermo. Da una parte è una cosa buona perché vuol dire che è uscito dal coma, ma non capiamo da dove viene il suo dolore." I miei sensi mi fecero sentire le urla di Derek e delle persone che cercavano di tenerlo farmo. Sapevo quanto stava soffrendo e quanto stava reprimendo involontariamente il bisogno di trasformarsi. Il tempo che passammo in ascensore sembrò non finire mai; sembrava l'ascensore più lento nella storia dell'umanità. Arrivammo finalmente al terzo piano e mi sentivo il cuore in gola. Il presentimento che mi suggeriva ciò che dovevo fare avevo paura fosse sbagliato. Era una manovra che avevo letto su un libro, ma non è che mi fidassi troppo. Arrivati davanti alla porta ebbi un attimo di esitazione; forse anche un po' di paura, ma poi aprii la porta e, sempre in braccio a mio cugino, mi rivolsi a
Melissa: "devo avvicinarmi a lui. Se riesci a farli allontanare dal suo letto Parrish si avvicina". So che lei aveva molta più autorità in quell'ambiente e le mie supposizioni si rivelarono veritiere quando, in pochi secondi, la voce di Melissa aveva fatto liberare un passaggio permettendoci di arrivare a Derek.
Aveva una cera terribile; pallido e sofferente cercava di divincolarsi dai laccetti con cui l'avevano legato al letto. Il dolore stava devastando entrambi e la nostra vicinanza l'aveva reso anche più forte. Chiesi a Parrish di mettermi giù e con cautela mi chinai su Derek, non riuscendo a stare in piedi. Rimanere chinata mi dava un enorme sollievo ed era ciò di cui avevo bisogno per fare quello che stavo per fare. Tutta la stanza era immersa nel silenzio di venti respiri irregolari e curiosi e la luce a neon illuminava i nostri visi rendendoli ancora più pallidi. "Ok Der; devi collaborare. So che fa male, lo so bene, ma l'unico modo per farlo passare e rimanere tranquilli". Gli sussurrai queste parole e sorprendemente lui smise di divincolarsi rimanendo sul lettino ansimante. Tagliai la fascetta che gli legava il polso destro e, dopo aver appoggiato la mia mano sul suo petto, con l'altra avvicinai piano la sua al mio. Quando presi abbaastanza coraggio, ruppi i pochi centimentri che distanziavano la sua mano dal mio cuore. All'istante sentii una scossa percuotermi tutti il corpo. La mia mano destra spinse contro il suo petto cercando di contrastare il dolore lancinante che mi stava percorrendo ogni vena del mio corpo. Non potei fare a meno di urlare. La voce mi usciva roca e tremante mentre rivolgevo tutte le preghiere che conoscevo in un qualsiasi Dio, chiedendogli di far andare tutto liscio. Il mio sforzo era tale che iniziò ad uscirmi sangue dal naso. Sentivo il dolore di Derek sommarsi al mio e il mio dolore sommarsi al suo. Eravamo una cosa unica, unita da un potere che non credevo di avere. Mentre cercavo di trattenere l'impulso di trasformarmi trasferendo tutta la mia sofferenza nelle grida che emettevo, capii che non sarebbe bastato se fossi rimasta umana, non ero abbastanza forte nella mia forma normale. "Uscite. TUTTI!" Tra le grida riuscii a creare due parole che bastarono a gar capire a chi di dovere che doveva far uscire chiunque fosse estraneo alla parte sovrannaturale di Beacon Hills. In un battito di ciglia le grida acute si trasformarono in ringhi, le unghie in artigli e gli occhi mi divennero brillanti. Per la prima volta mi ero solo semitrasformata e rimasi sorpresa di scoprire che potevo avere la stessa forza anche da bipede. Finalmente riuscii ad abbassare il collo guardando Derek. Ero esausta, il naso sanguinavaa copiosamente e le vene delle nostre braccia erano nere dal dolore. Vidi che entrambi avevamo una chiazza nera sul cuore, il che voleva dire che aveva funzionato. Il braccio ancora appoggiato al suo petto cedette e io mi ritrovai stremata addosso a lui incapace di alzarmi. La sua mano che poco prima era posizionata sul mio petto, ora era tra i nostri due corpi. Sentivo che anche Derek aveva il fiatone. Con la consapevolezza di aver fatto una cosa incredibile, ma con la paura che il giorno dopo non si sarebbe svegliato, mi addormentai beata su quel lettino d'ospedale; sul corpo di colui a cui avevo appena donato la forza del mio cuore, letteralmente.
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Il girasole che girava al contrario. #Wattys2019
Hombres Lobo"Cosa sono io, Leila? Dimmelo." Non riuscivo a ragionare. 'Sei l'amore che non credevo di poter trovare.' Pensai ricacciando subito il pensiero indietro, io non potevo amarlo: lui era il mio φαρμαχον (farmacon), veleno per il cuore ma antidoto per l...