8 Capitolo

239 11 0
                                    

Il lunedì pomeriggio dopo lezione chiamai Chad e gli chiesi se potevo andare al garage e lui rispose che era già lì.
Mi diede le informazioni per arrivare all'edificio e con l'aiuto dei trasporti pubblici arrivai a destinazione.
Il garage si trovava nella zona industriale della città, ma con la crisi erano poche le fabbriche ancora aperte e quindi era tutto molto silenzioso, tranne per della musica che proveniva dall'edificio dove mi dovevo recare.
Il giorno prima, quando mi ero svegliata, e avevo guardato verso le chiavi mi ero dimenticata che Chad aveva il doppione così lo avevo chiamato e lui ridendo (non per prendermi in giro) mi ricordò che aveva l'altro paio di chiavi e potevo stare tranquilla.
Entrai nel garage e non mi sarei mai aspettata un ambiente così grande.
C'erano molte postazioni dove dei ragazzi lavoravano alle loro auto e quando mi videro smisero di lavorare. Mi sentivo a disagio con i loro occhi addosso che mi esaminavano attentamente e sono sicura che si stavano chiedendo perché ero lì e su chi fossi.
«Asa!» disse Chad facendo tornare gli altri ragazzi al loro lavoro.
Doveva esserci qualche regola non scritta che parlava delle ragazze che entravano in quel garage, ma non volevo pensarci.
Lo salutai e lui mi disse di seguirlo. Nella postazione più lontana c'era la Camaro di Chad e accanto c'era la Mustang.
Stava lavorando alla sua auto e alla Mustang non c'era nessuno che se ne occupasse.
«Ciao» dissi un po' imbarazzata, mentre mi avvicinavo a lui.
Colton era accanto a lui e quando mi vide sospirò e scosse la testa.
Non capivo proprio quel ragazzo e mi accorsi che non volevo farlo.
«Pronta?» mi chiese Chad.
Io annuii e lui aprì il cofano della Mustang.
Da come lo guardava era la prima volta che lo esaminava per bene.
«Iniziamo a guardare cosa si può cambiare per farla rendere di più》disse lui smuovendo cavi e pezzi di cui non sapevo l'esistenza.
Mentre mi chiedeva di passargli delle chiavi osservai la sua Camaro. Non aveva più né la bozza né gli sfrigi.
«Hai sistemato la tua auto, vedo» dissi per parlare di qualcosa.
Lui si passò il braccio sulla fronte e si sporcò la faccia di grasso. Era carino anche così sporco.
«Sì, non potevo fare a meno di aggiustarla» disse lui pulendosi le mani su uno strofinaccio.
«Capito》dissi facendo tornare il silenzio.
«Quando sarà finirà sarà meglio di prima» disse orgoglioso.
Non sapevo cosa aspettarmi, ma il suo entusiasmo contagiò anche me e non vedevo l'ora che fosse pronta.
Di lavoro ce n'era tanto, ma lui dice che in due ci saremo riusciti.
«Che ne dici di fare una pausa?» chiese lui dopo essersi fatto aiutare da Colton per togliere il motore della Mustang.
Io accettai l'invito e lo seguì fuori dal garage. L'Hummer era sempre lucido come la prima volta che l'avevo visto, ma questa volta per salirci non mi ci era voluta un'eternità.
Mi portò a prendere un panino e lo mangiammo in un piazzale dove di vedeva tutta la città.
«Allora, sabato prossimo ci sarà una nuova corsa. Vuoi essere il mio portafortuna?» mi chiese lui dopo aver finito di mangiare il suo panino e appallottolava l'involucro.
Non sapevo cosa rispondere e lui lo capì.
«Se vuoi pensarci va bene» disse infine.
Volevo andarci, ma senza portarmi dietro i miei amici. Dovevo trovare un modo di andarci da sola.
«Voglio venirci» risposi.
Ero sicura della mia risposta, ma dovevo escogitare un piano per arrivare alla gara.
«Sono sicuro che ti servirà un passaggio. Ti vengo a prendere io, ma farò in modo che i tuoi non mi vedano》disse lui facendomi l'occhiolino.
Uscire di casa di soppiatto ed incontrarsi con il figlio del capo di mio padre.
Mmm, eccitante!
Avevo accettato il suo invito ed ora stavo accettando un passaggio.
Come cambiano velocemente le cose.
«Vuoi imparare a guidare?» mi disse spiazzandomi.
«Cosa?».
Volevo imparare a guidare da quando ero piccola e ora lui mi chiedeva se volevo provarci.
Non sembrava tutto un po' troppo?
«Ti insegno a guidare. Vuoi?» domandò di nuovo.
Non glielo feci dire tre volte. «Sì!».
Mi aprì la portiera del guidatore dell'Hummer e mi fece segno di accomodarmi.
«Aspetta!» dissi preoccupata. «Devo guidare L'Hummer?» domandai.
Era troppo grosso quell'affare ed avevo paura di fare qualche guaio.
«Stai tranquilla. Non succederà nulla. Ci sono io accanto a te» mi disse cercando di tranquillizzarmi.
Salì sul mezzo e l'emozione di trovarmi il volante davanti era immensa.
Chad entrò nel lato passeggero e mi disse che potevo accendere.
Girai la chiave e il grosso e potente motore prese vita.
Piano piano riuscì a far muovere il gigante e ne ero felice. Chad non diceva niente, segno che stavo facendo le cose per bene.
Dopo aver fatto qualche giro nella piazzola mi fermai.
«Perché ti sei fermata?» chiese lui.
Io mi sganciai la cintura di sicurezza, ma lui mi fermò. «Ora guidi tu per tornare al garage».
Iniziai a scuotere la testa per dirgli che non potevo, ma lui non voleva sentire ragioni e quindi guidai per tutto il tragitto verso il garage.
Seguivo tutti i consigli di Chad e non superavo mai il limite di velocità.
Quando arrivammo alla meta e uscì dall'abitacolo tutti i suoi amici guardavano me e poi Chad.
Non ne capivo il motivo, ma non me ne fregava nulla. Avevo guidato ed era andato tutto bene.
«Ehi Chad, perché le hai fatto guidare l'Hummer? Non ha la patente» disse uno dei ragazzi che ci stavano guardando.
C'era qualche altro motivo per cui si stavano domandando il perché Chad mi avesse fatto guidare la sua macchina.
Forse perché ero una ragazza?
Che schifo il maschilismo!
Sono una ragazza e allora?
Non avevo centrato il motivo neanche adesso e Chad mi spiegò il perché.
«Ti guardano così, perché non ho mai fatto guidare ad una ragazza nessuna delle mie auto. Tu sei la prima» disse imbarazzato.
Le sue guance erano diventate rosse ed era in contrasto con il ragazzo che vedevo a scuola.
«Davvero?» dissi sorpresa.
Lui annuii.
«Le ragazze non vogliono guidare vogliono solo stare nel posto del passeggiero o nei sedili posteriori e poi non voglio che nessun altro guidi la mia auto» spiegò lui mentre ci avvicinavamo al posto della Mustang.
Ero impaziente di poterla guidare.
Mi stavo divertendo ad aiutare Chad e mia madre decise proprio quel momento per interrompere.
«Non ti sembra l'ora di tornare? Dove sei?» disse mia madre al telefono.
«Ciao mamma, si sto bene e tu?» dissi con ironia.
Guardai l'orologio e mi accorsi che era veramente tardi e dovevo tornare a casa.
«Torna a casa che fra poco si cena» disse lei e poi mi chiuse il telefono in faccia.
Chad si ripulì le mani e mise un telo al posto del cofano.
Aveva capito che era mia madre e che dovevo tornare a casa.
«Ti accompagno» disse lui.
«Non è il caso. Prendo l'autobus».
«A quest'ora è meglio che non prendi nessun autobus. Non voglio che ti succeda nulla».
Si stava creando una situazione un po' strana e per complicare le cose arrivò Colton.
«Ehy amico. Chiudi tu?» domandò a Chad.
«Sì ci penso io. Puoi farmi un favore?».
Colton aspettava che il suo amico gli riferisse cosa dovesse fare.
«Puoi portare a casa Asa?».
Colton mi portò fino a casa e non avendo niente di cui parlare rimanemmo in silenzio per tutto il viaggio.
Aveva una Plymouth Barracuda verde del 1969 e non era comoda quanto l'Hummer di Chad, ma era veramente una bellissima auto.
Mi salutò quando scesi e ripartì subito dopo.
Quando entrai mia madre che aveva visto l'auto che mi aveva accompagnata ha voluto sapere tutto su chi la guidava.
Un mio amico di scuola gli avevo risposto e non volle sentire più niente.
Inviai un messaggio a Chad per informarlo che ero arrivata a casa sana e salva.
Cenai in tranquillità e felice di quello che era successo quel pomeriggio.
Prima di andare a dormire controllai il telefono per l'ultima volta e Chad mi aveva risposto.

"Sono contento. Buonanotte Asa"

Io gli risposi.

"Buonanotte Chad"

TUTTA COLPA DI JACK [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora