«Asa, tesoro non fare cosi» disse Mike, il mio migliore amico, mentre guardavamo l'ingresso della nostra scuola.
Da poco io e Mike avevamo iniziato ad andare al liceo.
Per quanto riguardava le amicizie, io e Mike non avevamo amici. Perché?
Nella nostra società fa schifo essere gay e il mio migliore amico lo era.
Non gli importava se nessuno gli parlava o se qualcuno lo guardava schifato, ma alcuni ragazzi lo avevano preso di mira.
Io sono sempre stata sua amica e non ho mai dato importanza alle sue scelte.
Mike Foster è un bravo e dolce ragazzo, ma i genitori non approvano le sue decisioni.
«Come posso scegliere di chi innamorarmi?» mi disse una volta lui.
Aveva proprio ragione, nessuno tranne te stesso può decidere chi amare.
Mike è un bel ragazzo, moro con occhi scuri.
Le ragazze che non sanno dei gusti del mio migliore amico provano a parlarci e farsi notare da lui, ma esse ne rimangono deluse quando lui non le guarda minimamente.
Non era solo Mike ad allontanare la gente, ma dopo la festa al bar non ero altro che quella che aveva vomitato su uno studente del quarto anno.
Se fosse stato uno studente qualsiasi la cosa sarebbe finita dopo qualche giorno, ma se il ragazzo in questione è il più popolare, la mia vita sociale era rovinata.
Neanch'io non avevo amici oltre Mike, ma non avevo bisogno di nessun altro.
«Voglio morire» dissi mentre varcavamo il pesante portone in legno.
La nostra scuola era una delle più antiche e l'edificio, prima di essere usato in ambito educativo era un monastero.
Aveva un grande giardino tutto intorno.
Gli alunni che stavano parlando fra di loro, si girarono verso di noi (forse verso di me) ed iniziarono a bisbigliare.
"Bene, Asa di addio alla tua vita sociale!"
Se il liceo doveva iniziare così, non volevo proprio iniziare un bel niente.
Camminavamo per il corridoio e cercando di far finta che quelle persone non stessero ridendo o parlando di me, ma non era semplice.
Mi dicevo che potevo arrivare in classe senza mettermi ad urlare.
Ero arrivata quasi al punto di girarmi e tornare a casa per restarci per sempre.
Iniziai a salire le scale non guardando dove mettevo i piedi, come avrei dovuto fare invece di avere la testa da un'altra parte, ed urtai qualcuno.
«Ehi, stai più attent...» iniziò a dire quel qualcuno.
Quando pensavo che non poteva andare peggio di così il destino non era proprio d'accordo.
Era lo stesso ragazzo della festa.
Lo avevo visto già da così vicino, ma ero ubriaca.
I capelli castani erano pettinati all'indietro e gli occhi azzurri erano due pozze in cui ci si poteva immergersi.
Oddio, volevo sotterrarmi e non uscire mai più.
Lui mi guardò attentamente «Non è la prima volta che ci incontriamo, vero?».
Poteva essersi dimenticato di me? Impossibile.
«Sei la ragazza della festa» esclamò dopo averci pensato a lungo.
Ve lo avevo detto che era impossibile che si era dimenticato di me.
Come poteva scordarsi di me.
Al mio stomaco gli è piaciuto così tanto che ha deciso di far uscire tutto quello che era al suo interno.
«E già, sono proprio io» risposi.
Lui mi fissava, ma non riuscivo a capire il suo sguardo.
«Chad!» lo chiamò un ragazzo che sembrava essere suo amico.
Quando quest'ultimo mi vide si mise a ridere e stava quasi per strozzarsi.
Se non si strozzava da solo, lo avrei strozzato io.
Chad e il suo amico ricominciavano a salire le scale ed ogni tanto il primo ragazzo si girava per guardarmi.
Arrivato in cima alle scale, Chad, si fermò e si girò verso di me. «Mi devi una maglietta».
Stavo per ribattere, ma lui se n'era andato.
«Possiamo dire che come inizio non è niente male» disse il mio migliore amico continuando a salire le scale.
Io e Mike non avevamo lezione nella stessa aula, ma le stanze erano una accanto all'altra.
«Buona fortuna» disse Mike prima di entrare nella sua aula.
Sospirai ed entrai anch'io.
Tutti mi fissavano ed ero sicura che questa storia non sarebbe stata dimenticata, ma non è facile dimenticare quello che avevo combinato.
Presi posto in uno dei banchi liberi al centro della stanza ed aspettai con impazienza l'arrivo del professore.
Nessuno parlava con me e io non avevo voglia di parlare con loro.
Il professore arrivò con qualche minuto di ritardo e si scusò dell'inconveniente.
«Buongiorno ragazzi, mi chiamo Ira Blanc. Per me questo è il primo anno d'insegnamento in questo istituto». Si presentò e chi chiese di fare lo stesso.
Si appoggiò con il fianco sulla cattedra e incrociò le braccia al petto. «Se volete parlare della materia che insegno o di qualsiasi altra cosa, potete trovarmi nel mio ufficio».
Tutti noi lo ascoltavamo senza emettere un rumore e iniziò a chiederci cosa ci aspettavamo della sua materia, letteratura.
Ogni alunno disse la sua, tranne io.
Dopo aver passato un'ora in presenza del professore Blanc, arrivò Cara Smith, che voleva essere chiamata "Signorina" Smith.
La sua materia?
Matematica.
Capì immediatamente che non sarei mai riuscita ad avere un buon voto con lei.
Due ore consecutive di matematica erano un suicidio e quando fu ora della pausa ne fummo sollevati.
«Non potevi rimanere nel tuo paese» disse un mio compagno di classe ridendo.
Guardai verso di lui e stava importunando una ragazza insieme ai suoi amici.
Come si chiama quella ragazza?
Si era presentata nell'ora del professore Blanc, ma non ero brava con i nomi.
«Vi sembra il modo di trattare una vostra compagna di classe?» dissi sfidando quei ragazzi.
Loro mi guardarono e si misero a ridere. «A te cosa importa? Invece di preoccuparti degli altri, pensa a te stessa».
«Potete parlare di me quanto volete, non mi importa. Guardatela, non mi sembra molto contenta di essere trattata così da degli idioti» risposi.
Vedevo quei poverini fremere di rabbia e mancasse poco che non scoppiassi a ridergli in faccia.
Arrivò l'ultimo professore della giornata. «Calmi ragazzi, che ne dite di andare in giardino per finire bene la giornata scolastica?».
Ci alzammo dalle nostre sedie ed uscimmo dall'aula.
In giardino era deserto, segno che la grande idea di andare fuori era venuta solo al nostro professore.
Mentre gli altri giocavano a calcio o a pallavolo io mi sedetti sotto l'ombra di un grande albero.
«Grazie per prima, io mi chiamo Kaori» disse la ragazza di cui non mi ricordavo il nome e l'avevo aiutata prima in aula.
Kaori aveva gli occhi a mandorla marrone scuro e capelli lunghi neri.
Portava un paio di occhiali da vista che ogni volta che gli scendeva se li risistemava bene con l'indice.
«Non c'è bisogno che tu mi ringrazi. Se sono idioti non è colpa nostra» dissi guardando gli altri giocare.
Lei si sedette accanto a me e rimanemmo in silenzio.
«Sono arrivata in questo paese, dal Giappone, quando avevo cinque anni e non ho mai avuto un'amica o un amico» disse lei per spezzare il silenzio che si era creato.
La guardai e non mi aspettavo di parlare di certe cose con lei.
L'avevo aiutata, ma non mi aspettavo di diventare sua amica o una cosa simile.
«Io abito qui da quando ne ho memoria. Ho sempre avuto un solo migliore amico e dopo quello che è successo alla festa, non penso che gli altri vogliano essere miei amici» dissi senza neanche rendermene conto.
Non pensavo che un'ora all'aria aperta passasse più velocemente di un'ora passata dentro le quattro mura della scuola.
Salutai Kaori e mi avviai al cancello dove avrei aspettato Mike.
Io e il mio migliore amico tornavamo a casa sempre insieme e mentre lui mi raccontava la sua giornata io rimuginavo sulla mia.
Avevo incontrato il ragazzo della festa e mi ero fatta ridicolizzare dal suo migliore amico.
Spero solo che domani sia un altro giorno e che vada meglio.
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TUTTA COLPA DI JACK [IN REVISIONE]
Romance[IN REVISIONE] Una bottiglia di Jack Daniels ti può far provare cose che non immagini, ma se esageri ti fa fare brutte figure. Asa se ne accorta quando ad una festa il suo migliore amico le lancia una sfida. Cosa ci può essere di peggio fare una...