17 Capitolo

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  Era arrivato il giorno della verità.
Colton mi aveva mandato un messaggio dicendomi che aveva delle informazioni da darmi.
Per arrivare a casa di Colton presi l'autobus e per fortuna era vuoto.
Ero agitata e non volevo che nessuno mi prendesse per pazza.
Il bus si fermò alla fermata vicino casa del mio nuovo amico e il restante tragitto lo feci a piedi.
Il cancello di quella casa era enorme e non riuscì a staccare gli occhi dalla casa che proteggeva.
Suonai il citofono e una voce femminile rispose. «Chi è?».
Quanto volevo rispondere "Io" a quella domanda, ma sembravo troppo infantile, no?
«Ciao, sono Asa. Un'amica di Colton» dissi educatamente.
Il piccolo cancello accanto si aprì ed entrai.
Ora che ero a piedi potevo vedere tutta la bellezza di quel grande giardino.
La voce femminile che mi aveva risposto al citofono si rivelò essere Eli, la sorella di Colton.
Lei mi stava aspettando all'entrata di quella grande casa e aveva un sorriso finto stampato in faccia.
Sembrava lo stesso sorriso che aveva disegnato sulla faccia Joker.
«Entra, Colton è nella sua stanza» disse lei facendomi segno di varcare la porta.
Quando avevo visto la casa Colton mi aveva fatto fare il giro, ma non ricordavo bene dove fosse la sua stanza.
Rimasi ad aspettare che Eli chiamasse Colton.
Con uno sbuffo la sorella urlò il nome di suo fratello.
«Che cazzo urli?!» sbraitò Colton.
«C'è una tua amica. La prossima volta vai tu ad aprire la porta» disse dileguandosi Eli.
Colton scese le scale e mi fece segno di seguirlo.
In mano aveva un pc e dei fogli.
«Dove andiamo?» chiesi varcando di nuovo la soglia di quella enorme casa.
«In un posto dove nessuno ci può sentire» rispose lui dirigendosi verso il garage.
Entrò nel piccolo edificio e andò ad aprire la porta dove c'era la stanza dei giochi.
Mi fece entrare per prima e mi guardai in giro.
Era rimasto tutto come la prima volta che ci ero entrata.
Mi fece sedere sul divano e accese il pc che aveva tenuto fra le mani.
«Ho fatto ricerche su ricerche. All'inizio pensavo di non trovare nulla, ma quello che ho trovato non me lo aspettavo» disse dandomi dei fogli.
Nei fogli c'erano tutte le informazioni che mi servivano, ma a volte è meglio non sapere.
«Quindi è una società di tuo padre e il padre di Chad?» dissi strabuzzando gli occhi.
«L'azienda è più di mio padre. Il padre di Chad ha messo le redini in mano a mio padre» rispose lui
«Si, ma non ne sapevo nulla. Spero che tu mi creda» mi guardò.
Certo che gli credevo. Era mio amico.
«Certo che ti credo, ma non capisco perché tuo padre ha licenziato il padre di Kaori. Da come c'è scritto qui non ci sono problemi con i dipendenti o altro» dissi perplessa.
«Quando l'ho scoperto ho iniziato a fare delle domande a mio padre. Quando l'ho informato del padre della tua amica, mio padre voleva che cambiassi discorso» spiegò.
Le cose si facevano sempre più strane.
Perché un'azienda come quella del padre di Colton doveva licenziare i suoi dipendenti?
Da come avevo letto non c'erano stati altri licenziamenti.
I fogli li aveva rubati Colton dallo studio del padre e quindi dovetti fargli una foto e ridarli a lui.
«É strano. C'è qualcosa di strano, vero? Cosa centra tuo padre con i messaggi?» esclamai.
Lui annuii. «Non lo capisco neanche io».
Mi alzai dal divano ed iniziai ad andare avanti e dietro per la stanza.
«Dobbiamo scoprire altro, prima che Kaori e la sua famiglia si trasferiscano» dissi fermandomi per un secondo.
Non volevo vedere una mia amica andarsene e dovevo aiutarla.
Con l'aiuto di Colton riuscirò sicuramente a scoprire il vero colpevole.
Finita la nostra piccola riunione giocammo a ping pong per quasi un'ora e poi mi riaccompagnò a casa.
Fino a quel momento non avevo guardato il telefono e c'erano parecchi messaggi e chiamate da parte di Chad.
Andai sulla rubrica e lo chiamai.
«Asa?» rispose lui.
«Scusami, ma ho avuto da fare delle cose urgenti» dissi tralasciando che ero con Colton fino a pochi secondi prima.
«Ero preoccupato. Non mi rispondevi. Sono venuto anche a casa tua, ma non c'era nessuno. Potevi anche telefonarmi» disse lui.
«Chad, so proteggermi. Non ti preoccupare, ok?» cercai di tranquillizzarlo.
Lo sentì sospirare.
Parlammo del più e del meno.
Mi invitò al Garage per fare dei giri con la Mustang e io accettai tutta eccitata.
Dopo una giornata come quella ci voleva qualche ora di stacco.
Aveva promesso che mi sarebbe venuto a prendere a casa ed intanto lasciai un biglietto ai miei, per non farli preoccupare della mia assenza.
Cambiai i miei vestiti con altri e poi lo aspettai all'ingresso di casa mia.
Da quando mia madre aveva scoperto che io e Chad uscivamo insieme non dovevamo più nasconderci, e lui poteva venirmi a prendere davanti casa.
Vidi subito la sua Hummer nera che si avvicinava al mio vialetto.
Uscì di casa senza aspettare che lui fermasse l'auto.
Avevo preso la borsa sbagliata, ma non era importante.
L'unica cosa che mi serviva era il mio telefono e quello lo avevo nelle tasche dei pantaloni.
Partimmo per andare al Garage e quando fummo arrivati aprì la portiera, ma lui mi fermò.
Scese dall'auto e fece il giro.
Aprì la portiera e mi tese la mano per aiutarmi a scendere.
Io la presi e scesi. «Grazie».
«Di nulla, Signorina».
Scendendo da quel trabiccolo misi male un piede e quasi non gli caddi addosso.
Lui fu svelto a prendermi prima che cadessi a faccia avanti.
Il suo abbraccio era saldo e molto caldo.
Quello era il mio posto e non lo avrei dato a nessun'altra.
Mi diede un bacio delicato sulle labbra. «Sei pronta?».
A quella domanda c'era una sola risposta e io la conoscevo.
«Si».

TUTTA COLPA DI JACK [IN REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora