Capitolo 3

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Allyson White

Stacco il post-it che i miei genitori hanno lasciato sul frigo, come un biglietto da visita dimenticato. Lo leggo: "Per Ally. Abbiamo avuto un'urgenza a lavoro, passa a prendere la bambina alle quattro e mezzo. I soldi puoi trovarli al solito posto e per qualsiasi cosa, chiamaci. Vi vogliamo bene. Mamma e papà."

Butto il foglietto nel cestino della cucina, come se fosse un foglio di carta straccia, e sospiro. Appoggio le mani sulla penisola della cucina, è venerdì e mi sarei volentieri distesa sul letto, come un bruco in cerca di coccole, magari a leggere un libro, guardare una serie televisiva o semplicemente dormire. Ma no, il dovere chiama.

Entro nella mia stanza e, al volo, mi infilo una tuta sportiva nera, e accorgendomi che il tempo vola più veloce di una freccia, esco di casa. I grossi alberi lungo il viale ondeggiano e infinite foglie iniziano a danzare sull'asfalto. Mi inchino a raccogliere una foglia a forma di cuore, un piccolo tesoro che mi fa sorridere, e riprendo a camminare. La musica nelle mie orecchie è come un compagno di viaggio, mentre cammino e mi avvicino alla scuola dell'infanzia di mia sorella.

Appena varco il cancello di legno, mi siedo su una panchina; mi guardo attorno: nel cortile, alcuni genitori sono già arrivati e le maestre si affaccendano a sistemare il parchetto, che sembra un campo di battaglia dopo una tempesta. Il maltempo non ha risparmiato nemmeno la scuola. Mi giro verso la mia destra e gioco con la foglia appena raccolta, quando i miei occhi si scontrano con delle pozzanghere marroni che appartengono a Josh.

Mi sfilo un'auricolare e lo guardo confuso, come se stesse apparendo un fantasma di una discussione passata.

<<Avevo paura che eri diventata sorda>> borbotta, infilando le mani nelle tasche della giacca e sedendosi accanto a me.

<<Magari, così smettevo di sentire la tua voce.>> Rispondo con un tono poco ironico e gradevole.

<<Qualcuna vuole rimanere incazzata per tutta la vita.>>

<<Esatto.>> Borbotto e sposto lo sguardo su di lui.

<<Sai che non fa bene al cuore rimanere arrabbiati con le persone,>> dice, come se stesse cercando di cucire una ferita invisibile.

Rialzo gli occhi al cielo e lo sento ridacchiare. <<Dobbiamo chiarire.>>

<<Come ti ho già detto, non ho nulla da dirti.>>

<<A scuola mi hai detto che non hai voglia di litigare.>>

<<Esatto, quindi smettila di parlarmi.>>

<<Non voglio litigare nemmeno io.>>

<<Josh, ti prego,>> sussurro, guardandolo negli occhi come se stessi cercando di trovare una scintilla di comprensione. Rimane in silenzio e al suono della campanella mi avvicino alla struttura. La scuola dell'infanzia è un piccolo mondo in legno, un castello di fiabe dove ogni oggetto sembra realizzato su misura per i piccoli abitanti. Appena entro, noto che alcune aule sono inagibili, sommerse dal fango, e oggi tutti i bambini sono confinati nell'aula dedicata al teatro.

<<Ally!>> urla mia sorella, correndo verso di me come un tornado di gioia.

<<Pulce,>> rispondo, dandole un sonoro bacio sulla guancia, un gesto che è come un abbraccio caldo in una giornata fredda.

<<Allyson, che piacere vederti,>> esclama la maestra, la signora Louise, avvicinandosi. <<Come stai?>> Mi domanda con un tono dolce. Che strana domanda, non trovate? Le risponderei che sto male, che non dormo bene da quasi un anno, che la notte sudo freddo, che appena sento il rumore della pioggia inizio a tremare e che il 90% della giornata, lo passo a piango come una fontana.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora