Capitolo 36

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Josh Cooper

Qualche settimana fa, il professore di letteratura ha organizzato un laboratorio di scrittura. Come compito, ci ha chiesto di scrivere una lettera. Lo scopo era aiutarci a liberarci dai nostri pensieri, a sfogarci e a esplorare le nostre emozioni. Io ho scritto una lettera al me del futuro, parlando delle mie paure.

«Come state ragazzi?» chiede il professore, entrando nel teatro con la sua solita calma. La sua voce rimbomba leggermente, riverberando tra le vecchie pareti di legno. Alcuni compagni rispondono con battute ironiche, altri restano in silenzio, chiusi nei loro pensieri. Siamo seduti nel vecchio teatro della scuola, un luogo ormai quasi abbandonato, con le tende spesse e impolverate e le sedie di velluto rosso sbiadite dagli anni. Il palco cigola leggermente sotto i piedi del professore mentre cammina avanti e indietro, come un attore pronto a recitare. Quando legge i nostri lavori, sembra quasi che stia interpretando una scena teatrale, con una voce che riesce a dare vita a ogni parola.

«Oggi vi ho riportato le vostre lettere,» dice il professore, estraendo un mucchio di fogli dalla sua cartella. «Ne leggerò alcune, ovviamente senza fare nomi, per non imbarazzarvi. I più coraggiosi potrebbero salire su questo palco...» inizia a dire.

Mi giro verso Allyson, che siede accanto a me. Il suo viso è improvvisamente più pallido, come se la tensione le stesse risucchiando il sangue dalle guance. Le sue dita tremano leggermente mentre stringe il bordo della sedia. Chissà a chi ha scritto la sua lettera?

Il professore apre un foglio e inizia a leggere:

«Questa lettera è intitolata: Destinazione Paradiso. È una lettera toccante, indirizzata a una persona molto speciale...»

La sua voce si fa più seria mentre legge:

«Caro nonno,
oggi il professore ci ha chiesto di scrivere una lettera. Non ci ha obbligato a indirizzarla a qualcuno in particolare, ma ci ha detto semplicemente di scrivere. Ero indecisa su cosa scrivere e a chi dedicarla, ma alla fine, la prima persona che mi è venuta in mente sei tu...
»

Il teatro sembra diventare ancora più silenzioso. Le parole che il professore legge riecheggiano nella sala, mescolandosi al rumore della pioggia che batte leggera contro le finestre. Sento il battito del cuore di Allyson, sempre più forte, quasi lo percepisco. Le sue parole sono intense, piene di ricordi e dolore.

Il professore continua a leggere: «Dall'ultima volta che mi hai visto sono cresciuta di qualche centimetro, ora sono alta un metro e sessantotto. Non è tanto, ma nemmeno poco. Forse ora arriverei molto più facilmente alla tua guancia per lasciarti un tenero bacio, e riuscirei a stringere con più forza il tuo esile corpo. Quando sei volato in cielo, eri malato, colpito da una malattia chiamata Alzheimer. Questa malattia è come un terremoto: arriva all'improvviso, ruba i ricordi, ruba le parole, e ruba la stabilità, colpendo prima il paziente e poi tutta la famiglia...»

Le parole di Allyson parlano del nonno, e del dolore di vederlo perdere se stesso a causa della malattia. Il professore continua a leggere con una calma che contrasta con l'intensità della lettera, e io mi ritrovo a fissare il volto di Allyson. I suoi occhi sono lucidi, pieni di emozione, e le sue mani si stringono a pugno, tremando leggermente.

«Sai nonno, i ricordi sono il mio punto fermo. Vivo di loro. I tuoi, però, scomparivano e tornavano, andavano indietro e poche volte ritornavano avanti. Ti ricordi che cosa dicevo quando ero bambina? Dicevo che, quando sarei diventata grande, sarei riuscita a bloccare tutti i ricordi. Ad oggi, non ci sono ancora riuscita.»

La voce del professore diventa più lenta, più riflessiva. È come se ognuno di noi fosse catapultato nel mondo di Allyson, in quel viaggio tra ricordi e perdite. La lettera prosegue, raccontando del legame tra lei e il nonno, delle loro chiacchierate accanto al camino, delle passeggiate nel vialetto, delle risate condivise.

«Ma l'instabilità è tornata nella nostra famiglia...»

Questa parte della lettera mi colpisce profondamente. Allyson parla di un'altra tragedia, un incidente stradale che ha cambiato per sempre la sua vita.

«Ero sola, capovolta dentro una macchina distrutta dal grosso impatto. Provavo a urlare, provavo a farmi sentire, ma il suo corpo è rimasto fermo, immobile...»

L'immagine è così vivida che quasi riesco a vederla. Allyson da sola, intrappolata in quella macchina, impotente. Ogni parola che il professore legge sembra colpire più forte della precedente, come se Allyson stesse riversando ogni singola emozione in quel foglio.

«Da quel giorno non pattino più, non riesco ad aprire la finestra mentre fuori piove, e ogni volta che vedo un'auto arrivare in direzione opposta, spero che rimanga nella sua corsia.»

Sento il mio petto stringersi. Posso solo immaginare il dolore che ha provato. Ho voglia di dirle qualcosa, di confortarla, ma prima che possa fare alcun gesto, Allyson si alza all'improvviso dalla sedia rossa. I suoi occhi sono pieni di lacrime, e senza dire una parola, esce dal teatro. Probabilmente ha bisogno di aria, di allontanarsi da quelle emozioni che, in questo momento, sembrano schiacciarla.

Resto lì seduto, confuso. Le parole della sua lettera continuano a rimbalzare nella mia testa. Ogni frase che ha scritto è carica di una tristezza profonda, e non riesco a togliermi dalla mente l'immagine di lei, sola sotto la pioggia, con le sue paure e i suoi ricordi. Mi chiedo se tornerà, o se preferirà restare da sola.

Il professore continua a leggere, ma ormai non lo sento più. Sono immerso nei miei pensieri, con la pioggia che continua a battere sul tetto del teatro, come se volesse lavare via tutto quel dolore.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora