Capitolo 33

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Allyson White

Quando mi rendo conto che il tempo sta volando, chiedo a Josh se può riaccompagnarmi a casa. Durante tutto il tragitto scherziamo e ascoltiamo musica leggera, mentre fuori il mondo sembra scorrere più lentamente. Le strade cominciano a ghiacciarsi di nuovo e qualche piccola goccia di pioggia inizia a cadere, alterando leggermente l'atmosfera serena del momento.

Arrivati davanti al cancello della mia casa, Josh ferma la macchina e per qualche secondo rimaniamo in silenzio, quasi come se nessuno dei due volesse interrompere quel fragile equilibrio. L'aria fredda fuori dal finestrino sembra trattenere anche le parole.

«Grazie», sussurra Josh, girandosi verso di me con un sorriso lieve, quasi timido.

«Mi sono divertita», rispondo ridacchiando. «È stata una serata molto... particolare.» 

Ripenso a tutto: non mi sarei mai aspettata che suo fratello si sarebbe sposato così giovane e in tempi così brevi. Si sono conosciuti al college, condividendo solo un corso, ma da lì in poi le loro vite si sono intrecciate in modi che nessuno avrebbe immaginato.

«Dire particolare è poco», commenta Josh con una risata leggera. «Non sapevo nemmeno che Scott volesse sposarsi e men che meno che lo avrebbe annunciato durante una cena di famiglia.»

«Sembrano innamorati e felici», dico io, pensando ai loro sguardi complici.

«Non basta per un matrimonio», ribatte lui con un tono più serio.

«In che senso?»

«Per un matrimonio non servono solo felicità e amore», spiega, voltandosi verso di me. «Servono stabilità, una casa, un lavoro. Serve sicurezza, anche economica.»

Rifletto un attimo. «Al giorno d'oggi, chi può dire di avere davvero una tranquillità economica?», rispondo, e lui annuisce lentamente, come se stesse pesando le mie parole. È vero: trovare un lavoro stabile è sempre più difficile, i costi della vita continuano a salire e, se aspetti troppo, rischi di non costruirti mai una famiglia.

Josh sorride, riportando il tono della conversazione a uno più leggero. «Ci vediamo domani a scuola, mostriciattolo?»

«Smettila di chiamarmi così», dico, fingendo di essere offesa.

«E tu smettila di arrossire», ribatte ridendo.

«Io non arrossisco», dico decisa, ma sento subito le guance che si riscaldano. Lui si avvicina lentamente e mi dà un piccolo bacio sulla guancia. Ora sì che arrossisco, e lo sa benissimo. Sorrido imbarazzata mentre lui accende di nuovo la macchina, cercando di non guardarlo direttamente negli occhi.

«Buonanotte», mormoro, chiudendo lo sportello. Aspetto un istante, osservandolo mentre si allontana nella notte, prima di dirigermi verso casa.

Appena entro, vedo una figura sul divano illuminata dalla penombra: mia madre. Il cuore mi balza in gola, e per poco non urlo dallo spavento. Lei ride della mia reazione, mentre io lascio andare un sospiro, appoggiando il giubbotto sull'attaccapanni.

«Com'è andata la cena a casa dei Cooper?», mi chiede con tono curioso.

«Bene», rispondo velocemente.

«Solo bene?» Si vede che non è soddisfatta della mia risposta.

«Ho mangiato benissimo», aggiungo, cercando di farla contenta. Mi sposto in cucina, sperando che la conversazione si concluda lì. Mia madre ama farmi domande su tutto, specialmente quando esco la sera. Durante la settimana ho un coprifuoco rigido: dovrei essere a casa e in camera per le nove e mezza. Però, se la avviso con un po' di anticipo, mi lascia abbastanza libera. Ma sul serio, a quasi diciotto anni, ho ancora un coprifuoco? Probabilmente sono l'unica fra i miei amici ad averlo.

«Non mi racconti niente?», insiste lei, seguendomi con lo sguardo.

«Che cosa vuoi sapere, mamma?»

«Niente di particolare, solo qualche dettaglio in più», risponde con un tono che conosco bene.

«Mamma, è tardi... dovrei già essere a letto», dico, puntando lo sguardo verso l'orologio. Lei annuisce infine, anche se so che vorrebbe continuare a fare domande. Le lascio un bacio sulla guancia e corro in camera mia.

Una volta lì, mi spoglio rapidamente e faccio una doccia veloce per scaldarmi. Indosso il mio pigiama preferito e mi infilo sotto le coperte. Otto, il mio cane, si arrampica subito sul letto e appoggia la testa sul mio petto. Inizio ad accarezzarlo, trovando conforto nella sua presenza.

«Sai, Otto», mormoro, mentre i suoi occhi, uno blu e uno marrone, mi osservano curiosi. «Oggi è stata una bella giornata. Strano dirlo, ma non ho litigato con Josh. Abbiamo passato una serata tranquilla, bevuto un ottimo frappè... ci siamo guardati negli occhi più volte, e per un attimo mi sono sentita bene. Non mi sono sentita in colpa per questo.» Sospirando, continuo. «Tu che pensi? Posso davvero essere felice di nuovo?»

Otto inclina leggermente la testa e appoggia una zampa sulla mia mano, come per rassicurarmi. Sprofondiamo insieme sul cuscino, e sento il sonno che mi avvolge.

Da quasi un anno, mi sento in colpa per essere ancora viva. Mi sento in colpa ogni volta che provo un briciolo di felicità, come se non lo meritassi più. Da quell'incidente, la mia vita è cambiata, e ogni giorno mi ricordo che, anche se sono sopravvissuta, dentro di me qualcosa si è rotto. A volte, infliggermi dolore fisico è l'unico modo che conosco per ricordarmi che sono ancora qui, che sono Allyson... e che forse, devo soffrire perché sono rimasta sola a vivere.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora