Capitolo 10

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Allyson White

Verso l'una, il campanello suona e, come una pioggia improvvisa, arrivano i nostri amici e il rider con il pranzo. In un battito di ciglia, il piccolo soggiorno sembra restringersi ancora di più, come se le pareti volessero avvolgere il calore e il caos della compagnia.

«Scusami, tesoro», mi sussurra Richard abbracciandomi appena apro la porta, mentre lo fulmino con lo sguardo. Non solo ha invitato tutti senza chiedermelo, ma ha anche il coraggio di presentarsi in ritardo di mezz'ora. «Sei un idiota», borbotto, cercando di reprimere un sorriso.

«Tua mamma ha chiamato la mia e le ha detto che ti avrebbe fatto piacere un po' di compagnia. Così ho pensato che un po' di amici in casa ti avrebbe sollevato il morale».

«Certo», riborbotto, alzando gli occhi al cielo, mentre lo sento ridacchiare alle mie spalle.

«Come mai sei con Josh?» domanda, appoggiandosi al tavolo e passando l'ultimo fazzolettino. I nostri amici, sono seduti sul divano, mentre intrattengono mia sorellina, sorprendendosi di vedere Josh, intatto e di buon umore.

«Oh, non farmi questa domanda. Vi conosco. Lo sapevi già», lo fulmino con uno sguardo, ma i suoi occhi azzurri brillano di una luce giocosa. Si passa una mano tra i suoi boccoli e ridacchia. Io e Richard siamo come fratello e sorella: dopo così tanto tempo passato insieme, basta uno sguardo per capirci al volo. Lo stesso vale per Josh.

«Non mi ha scritto», ribatte innocente.

«Bugiardo».

«Okay», alza le mani al cielo, arrendendosi. «Mi ha scritto che si è addormentato sul tuo divano e non voleva lasciarti da sola».

«Perché?»

«Perché cosa?»

«Perché non voleva lasciarmi da sola?»

«Questo dovresti chiederlo a lui», risponde con un mezzo sorriso. Rimango in silenzio, e lui, come se niente fosse, chiama gli altri per iniziare a mangiare.

La mamma di Kate e Travis ha ordinato una quantità spropositata di cibo coreano, e tra il kimchi, il dakgalbi, il kulguksu e il sundubu jjigae, abbiamo pranzato abbondantemente. Ogni piatto è come una carezza esotica sul palato, un viaggio di sapori che ci porta lontano. E per finire in bellezza, gli hoddeok dolci, ripieni di zucchero e cannella, sono come un abbraccio d'inverno. La cucina coreana è stata la scoperta più incredibile della nostra amicizia.

«Che sazia che sono!» esclama mia sorella, rannicchiata tra le braccia di Richard e sbadigliando rumorosamente.

«Perché non hai portato tuo fratellino? Avrebbero potuto giocare insieme», commenta Sandra, guardando con dolcezza la scena.

«Lo so, ma ha ancora un po' di febbre», risponde stiracchiandosi. Scommetto che tra qualche minuto si addormenterà insieme a mia sorellina.

«Perché non andate, voi ragazzi in salotto, mentre noi ragazze iniziamo a sparecchiare?» propone Rachelle con uno sguardo malizioso. È chiaro che è solo una scusa per farmi l'interrogatorio.

«Ottima idea!» esclama Rose, e sospiro vedendo i ragazzi alzarsi.

Iniziamo a sparecchiare in un silenzio che si riempie di sguardi. Le ragazze mi osservano come se fossi un enigma da decifrare.

«Non è successo niente», dico girandomi verso di loro e continuando a sciacquare i bicchieri. Ma sento già l'incessante fruscio delle loro domande non dette.

«Okay», inizia Kate con un sorriso che non promette nulla di buono.

«Lui è stato qui tutto il giorno», aggiunge Rose, seminando altri dubbi.

«E non ha dormito a casa sua», rincara Rachelle.

«Come non ha dormito a casa sua?» domanda Sandra, con le sopracciglia sollevate.

«Ragazze, non è successo nulla. Ha dormito qui perché ieri notte stava piovendo a dirotto. Non è la prima volta che dormiamo insieme. Vi ricordate, no?» rispondo, cercando di rimanere calma.

«Questo lo sappiamo», replica Rose con un sorriso complice. «Ma era da tanto che non succedeva».

«Non vi sopporto più!» esclamo, scuotendo la testa, ma con un sorriso divertito che non riesco a trattenere.

«Avete chiarito? Vi siete parlati? Avete trovato una soluzione?» domanda Rachelle, una raffica di domande come frecce che volano nell'aria. Rachelle ama conoscere e la sua curiosità è il suo difetto più grande.

«Ferma, ferma, ferma», la interrompo, confusa. «Io e Josh siamo sempre stati così. Litighiamo, facciamo pace, ma non è un problema vostro», rispondo con un piccolo sorriso, e loro annuiscono, anche se non del tutto convinte.

La verità è che per molte persone stare da sole è difficile, ma per altre, come me, è un rifugio sicuro. Io sto bene da sola, o almeno mi sono convinta di questo. La solitudine, a volte, è come una coperta fredda: ti avvolge, ma non ti dà mai calore. Mi piacerebbe avere qualcuno con cui condividere i miei pensieri, ma ho paura. Paura di essere delusa, di soffrire fino a spezzarmi, di non essere mai abbastanza. Così preferisco restare sola. È una protezione, forse. O una condanna.

«Dovresti provarci», dice Rachelle, fissandomi negli occhi come se vedesse qualcosa che io stessa ignoro.

«Provarci?»

«Josh è un bravo ragazzo. Vi odiate, ma vi cercate sempre. Perché non provarci con lui? Da bambina ti piaceva», aggiunge con un piccolo sorriso nostalgico.

«Non sono più una bambina», rispondo, facendo spallucce.

«Allora provaci con qualcun altro», incalza Rose.

«Non voglio provarci con nessuno. Sto bene così».

«Hai paura?» domanda Kate, con la sua solita schiettezza.

Sandra, la più saggia, interrompe le nostre amiche: «Perché continuiamo a tartassarla di domande? Lei sta bene così. Ha passato un anno difficile, si è rialzata da sola e forse adesso non ha bisogno di nient'altro», conclude con un dolce sorriso.

Ha ragione. Ho passato un anno terribile, un anno fatto di lacrime e di solitudine. Un anno in cui mi sono ricostruita, pezzo dopo pezzo, come un vaso rotto incollato con la forza di volontà. Forse ora sto bene così. Forse, per una volta, non ho bisogno di essere salvata da qualcuno.

Le mie amiche sono speciali: cercano di decifrare ogni mio silenzio, ogni sguardo nascosto. Ma capirmi è come cercare di afferrare il vento. Neppure io, a volte, so cosa voglio. Faccio scelte di pancia, raramente uso la testa e mai, mai il cuore. E loro, nonostante tutto, mi restano accanto, cercando di aiutarmi a trovare una via d'uscita.

La nostra amicizia è nata per caso, tra i banchi di scuola. Non abbiamo molto in comune, ma ci siamo unite lo stesso, come pezzi di un puzzle che non dovrebbero combaciare, eppure lo fanno. Forse è questo che ci tiene insieme: quel senso di appartenenza che va oltre le differenze. E con loro, ogni cosa sembra un po' più facile.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora