Capitolo 13

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Allyson White

Sobbalzo quando una mano mi tocca delicatamente il viso e sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Mi giro sul fianco destro e vedo la sua figura seduta accanto a me sul letto. Il suo sguardo è preoccupato, e noto una tensione nei suoi tratti. Probabilmente mi ha chiamato più volte e, per ignorare la vibrazione continua del telefono, ho messo la modalità silenziosa. Ora mi sento quasi in colpa.

Otto, il mio cane, è sdraiato ai piedi del letto, mordicchiando il suo pupazzo preferito, la rana verde con una zampa ormai strappata. Il suo muso è serio, come se sentisse che qualcosa non va. Da quando sono tornata, non si è mosso da lì, e mi chiedo se riesca davvero a percepire il mio stato d'animo, come se fosse parte di me.

«Hai gli occhi gonfi.» La sua voce è un sussurro, ma ogni parola ha il peso di una constatazione innegabile. Il suo tono è neutro, quasi cauto, come se stesse camminando su una linea sottile tra il voler aiutare e il timore di dire qualcosa di sbagliato.

Mi tolgo lentamente gli auricolari dalle orecchie, chiudo gli occhi per un attimo, lasciando che il silenzio della stanza ci avvolga. Il suono dei nostri respiri riempie l'aria. È pesante, carico di cose non dette, eppure nessuno di noi osa rompere quell'equilibrio fragile.

«Perché sei andata via senza dirmi nulla?» chiede alla fine, come se avesse ponderato a lungo le parole prima di pronunciarle. Sento la sua frustrazione mescolarsi con una preoccupazione che cerca di tenere sotto controllo.

«Eri impegnato.» La mia risposta è breve, quasi secca. Non mi volto a guardarlo, non riesco. Ci sono momenti in cui il solo contatto visivo può spezzare quel sottile filo di controllo che mi sto imponendo, e questo è uno di quei momenti.

«Stavo solo parlando con Wendy.» Il suo tono si alza leggermente, come se volesse chiarire l'ovvio, ma dietro quelle parole sento il bisogno di giustificarsi, come se sentisse che c'è qualcosa di più dietro la mia reazione. Wendy. Mi irrita il solo pensiero. È una ragazza sempre allegra, con un sorriso contagioso e un fisico perfetto, il tipo di persona che tutti notano. Forse non dovrei darle così importanza, ma non riesco a evitarlo. Per una volta vorrei essere una Wendy qualsiasi, sempre allegra, sempre spensierata, sempre perfetta.

«Eri impegnato.» Ripeto, più per chiudere il discorso che per sottolineare il punto. La questione non è Wendy, o almeno non solo. È che ogni volta che lo vedo con lei, ogni risata che si scambiano, sento qualcosa stringersi dentro di me.

«Non ti avrei mai lasciata tornare da sola, lo sai.» La sua voce si addolcisce, ma io sento solo il peso della mia frustrazione che cresce. Mi alzo senza rispondere, camminando a passi lenti verso il bagno. Ogni movimento è una scusa per evitare di affrontare ciò che so, che ci sta divorando entrambi.

Mi guardo nello specchio del bagno, i miei occhi sono rossi e gonfi, segnati dalla stanchezza. Mi passo l'acqua fredda sul viso, cercando di alleviare il bruciore, ma so che nessuna quantità di acqua può lavare via quello che sento dentro. Sistemo i capelli con un fermaglio e torno in camera.

Lui è ancora lì, fermo, la sua presenza riempie la stanza, quasi come se aspettasse una mia reazione, una risposta, qualunque cosa.

«Posso tornare a casa da sola. Non ho bisogno di una guardia del corpo.» La mia voce è tagliente, ma nasconde una vulnerabilità che non voglio mostrargli. Voglio che capisca che posso gestire le cose da sola, anche quando tutto crolla.

«Tu non hai mai bisogno di niente, vero?» sbotta, il suo tono è aspro, come se stesse trattenendo un fiume di emozioni, e in quell'istante capisco che abbiamo entrambi perso la pazienza.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora