Capitolo 37

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Allyson White

Le ore di letteratura hanno fatto battere il mio cuore più forte, e l'unica cosa che desidero in questo momento è tornare a casa, rifugiarmi nella mia stanza e restare da sola. Quando ho scritto quella lettera, le parole sono fluite spontanee, senza pensare che il professore avrebbe potuto leggerle. Se lo avessi saputo, avrei scritto in modo diverso, magari indirizzandola alla mia futura me o al mio cane. Il corso del professore è seguito da una quarantina di studenti, e non tutti conoscono la mia storia; quindi, non tutti capiranno che quelle parole sono state scritte da me.

Mio nonno era una persona speciale, un uomo con la lettera maiuscola. Era disponibile, dolce, educato e sempre pronto ad aiutare. Ricordo le giornate trascorse insieme: raccoglievamo foglie nel parco, giocavamo a carte, gustavamo torte appena sfornate e rimanevamo in silenzio, incantati dalla danza della fiamma del camino. Quelle erano le cose che amavo fare da piccola, attimi di pura felicità che ora sembrano così lontani.

Subito dopo il pranzo, inizierà il campionato scolastico di hockey. Per evitare gli sguardi curiosi dei miei amici che cercheranno di abbracciarmi a causa delle parole scritte, decido di nascondermi dentro il palazzetto del ghiaccio. Qui ho trascorso gran parte della mia infanzia: ho imparato a pattinare, a fare salti e a correre, raccogliendo un'infinità di ricordi tra queste mura. Mi siedo sugli spalti centrali, circondata dal silenzio che avvolge il palazzetto, e sospiro profondamente, cercando di rilassare la mente.

«Che ci fai qui, mostriciattolo?» Una voce interrompe il silenzio, e mi giro verso la direzione da cui proviene. Vedo un ragazzo con i capelli scuri e gli occhi penetranti, che brillano come pozzanghere nere sotto la luce fioca.

«Volevo rimanere un po' da sola», rispondo, cercando di ricacciare giù la tensione.

«Come mai?» domanda, sedendosi accanto a me. Indossa la tuta scolastica sportiva, e un leggero brivido di freddo si fa strada nel mio corpo.

«Non lo so, volevo semplicemente godermi il silenzio. E tu?»

«Mi piace osservare la pista vuota, così prima di ogni partita, mi intrufolo qui dentro», mi risponde con un sorriso che illumina il suo volto.

«E non senti freddo vestito così?»

«Perché dovrei?»

«Indossi solo una tuta e un berretto», dico, indicando il suo abbigliamento.

«Sono così emozionato ed euforico prima di giocare che non sento freddo. E poi, tu facevi le gare di pattinaggio mezza nuda, non puoi certo sentire freddo», ribatte con un sorriso malizioso.

«Non ero mezza nuda», gli rispondo ridacchiando, la tensione inizio a scioglierla.

«Finalmente hai ripreso a sorridere», dice, avvicinandosi. Mi osserva attentamente e penso che stia cercando di capirmi. Lui prova sempre a entrare nel mio burrone, ma sono quasi certa che si farà solo male.

Mi sistemo la sciarpa e rivolgo lo sguardo al ghiaccio scintillante.

«Hai mangiato?»

«Un po' di frutta», sussurro, continuando a guardare il vuoto.

«Non è un pranzo», mi rimprovera, e alzo gli occhi al cielo, frustrata. In poco tempo, ho perso diversi chili a causa dello stress e della delusione. Il mio stomaco si è bloccato, rifiutandosi di ingerire qualsiasi alimento. Per un periodo mi sono vista brutta e deformata, trovando difetti ogni volta che mi avvicinavo a uno specchio. Ma ultimamente sto cercando di riprendere in mano la mia vita, mangiando regolarmente, soprattutto con l'aiuto dei miei genitori, che hanno capito subito che stavo affrontando una situazione difficile.

«Lo so, Josh. Ma meglio la frutta che niente», sospira, appoggiando la schiena contro il muro della gradinata. Il silenzio cala nuovamente, e mi rendo conto che nessuno dei due sa cosa dirsi. Dalla sua espressione, capisco che vorrebbe farmi mille domande, ma probabilmente sta cercando di non invadere il mio spazio. Apro nuovamente lo zaino e prendo la mia borraccia d'acqua, tirando fuori anche un pacchetto di caramelle gommose, quelle a forma di uova, le mie preferite.

«Vuoi?» domando, sfiorandogli leggermente il braccio per attirare la sua attenzione. Guardo nei suoi occhi e noto una strana espressione sul suo viso. Annuisce, e gli faccio un piccolo sorriso.

«Sei in ansia per la partita?» gli chiedo, curiosa.

«No», sussurra, mentre io sfioro la sua mano calda dentro il pacchetto.

«Sembri turbato.»

«Sono un po' assorto nei miei pensieri», confida.

«Come mai?»

«Le tue parole mi hanno colpito.»

«Quali parole?» rispondo, vagamente.

«Quelle della lettera. Osservavo il tuo viso, i tuoi occhi, la tua espressione. Hai chiuso con forza le tue mani e volevo aiutarti», dice, il suo sguardo sincero.

«Aiutarmi?»

«Cioè, volevo abbracciarti, dirti che puoi contare su di me, che puoi sfogarti e sentirti libera», spiega, e il suo tono è così genuino che mi scioglie dentro.

Rimango in silenzio per un attimo, poi lo abbraccio. Sembra quasi sorpreso da quel gesto, ma sento le sue braccia stringermi più forte. Mi lascia un bacio delicato tra i capelli, e in quel momento, per la prima volta dopo tanto tempo, mi sento un po' più leggera.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora