Capitolo 49

47 14 10
                                    

Allyson White

Mi giro nel letto, le lenzuola sono aggrovigliate attorno a me, un promemoria viscerale di una notte passata a girarmi e rigirarmi, schiacciata sotto il peso dei pensieri. Non serve tentare oltre: il sonno mi ha abbandonata, così mi arrendo e mi alzo. Con un respiro profondo, sbadiglio, cercando di scrollarmi di dosso la stanchezza, e allungo una mano per accarezzare il pelo morbido di Otto, il mio fedele golden retriever. Lui si stiracchia pigramente, sbattendo le palpebre con l'affetto incondizionato che solo un cane sa donare, e io gli sorrido con gratitudine. Nel corso degli anni è diventato il mio migliore amico, colui che si subisce letteralmente tutto ciò che mi passa per la mente.

In bagno, l'acqua calda scivola sul mio corpo, ma anche qui la mia mente non trova pace. I pensieri si avvolgono attorno a me come il sapone, senza scivolare via. Josh, quel foglietto, quelle mutandine trovate dietro al comodino. Ogni frammento riemerge e sembra affondarmi. Mi sciacquo il viso, ma la sensazione di pesantezza resta, e so che neanche questo rituale mattutino basterà a dissolverla. Mi rivesto in fretta: jeans blu, felpa nera, scarpe sportive comode, pronte per affrontare un'altra giornata che si preannuncia estenuante. Davanti allo specchio, metto due forcine tra i capelli, osservandomi con occhi che mi sembrano estranei: quelli di una ragazza stanca, che si sforza di apparire come ogni mattina, solo un po' più pallida.

Scendo al piano inferiore e trovo la mia famiglia riunita attorno al tavolo della cucina. «Buongiorno!» dico con un tono che mi esce un po' troppo allegro per essere credibile. Bacio mio padre sulla guancia e prendo posto accanto a mia madre, che mi accarezza dolcemente il viso, come se volesse accertarsi che tutto sia a posto. La verità è che loro, almeno per qualche giorno, saranno liberi dagli impegni di lavoro e pronti a godersi la famiglia, e io vorrei che non si preoccupassero per me.

Mia madre mi osserva con quel suo sguardo attento, e subito si accorge che c'è qualcosa di diverso. «Come mai sei già sveglia e pronta?»

«Mi sono svegliata al primo colpo» rispondo, sorseggiando il latte per nascondere le mie bugie. Lei mi studia, controllando l'orologio e poi di nuovo il mio viso.

«Hai dormito?»

«Certo» rispondo con un sorriso finto, che lei però sembra leggere con troppa facilità.

«Sicura?» mi incalza.

«Sì, mamma. Stai tranquilla.»

Ma il suo sguardo passa silenziosamente da me a mio padre, come a condividere un'inquietudine silente. Probabilmente non sono riuscita a convincerla, e le mie occhiaie sono lì, a smentirmi. Nella notte, ho tentato di dormire, ma ogni volta che mi rilassavo, mi ritrovavo catapultata a ieri, a quella scoperta crudele. Così, fino all'alba, sono rimasta intrappolata nel rimpianto e nella delusione, senza alcuna tregua.

A colazione quasi non parlo, e quando mio padre mi offre un passaggio a scuola, accetto con gratitudine, desiderando qualche istante di normalità. Salgo in macchina, avvolta dal calore dell'aria calda che lui ha acceso per me. Mentre ci avviamo, mi guarda di sfuggita e rompe il silenzio con una domanda semplice e diretta: «Come stai? Pronta per questa giornata?»

«Sì» rispondo, ma le mie parole non riescono a nascondere la stanchezza.

«Sicura? Hai delle enormi occhiaie» aggiunge lui, senza distogliere lo sguardo dalla strada. «E, soprattutto, non sai mentire.»

Esito, poi lascio cadere la verità, come se fosse più facile che continuare a fingere. «Ho dormito poco.» Guardo fuori dal finestrino, sperando che smetta di fare domande, perché non voglio che si preoccupi. So che ogni istante della sua vita, da quell'incidente, è un tormento silenzioso. La nostra casa è rimasta vuota, e i suoi occhi non sono mai tornati quelli di un tempo. Non voglio che la sua preoccupazione si aggiunga alla mia, ma desidero che sia egoista, che metta se stesso al primo posto, almeno per quest'anno.

«Vuoi parlarne?» mi chiede con voce pacata, avvolta di gentilezza.

«No.» Sussurro, cercando di convincere più me stessa che lui.

Mi lancia un'occhiata che mi spezza il cuore. «Non puoi tenerti tutto dentro.»

«Non devi preoccuparti, papà. Sto bene» rispondo, regalando un sorriso tremolante.

Arrivati a scuola, mi lascio alle spalle il bacio sulla guancia e una manciata di spicci per le macchinette. Con un sospiro, mi dirigo al mio armadietto, dove trovo Richard, il mio migliore amico, che mi aspetta con un sorriso largo.

«Buongiorno, mia piccola Ally!» mi saluta, e il suo entusiasmo è un po' come una ventata d'aria fresca.

«Buongiorno Rich. Che cos'è che ti rende così felice?»

«La serata con Maeve è andata benissimo!» esclama con uno sguardo radioso.

Non posso che sorridere per lui, anche se in fondo provo un leggero morso d'invidia. «Sono felice per te. Quando me la presenterai?»

«Prima o poi» risponde con una smorfia scherzosa, «ma sarai la prima, te lo prometto. Sei la mia sorellina, la mia migliore amica, la persona più incredibile che io conosca.»

Cerco di ridere, ma il peso della notte mi grava ancora addosso. «La persona più stupida, vuoi dire. Ho fatto delle scelte sbagliate.»

«Smettila» dice Richard con fermezza. «Hai delle occhiaie incredibili» aggiunge poi, scrutandomi con preoccupazione.

«Ho dormito poco.»

«E perché non mi hai chiamato? Ti avrei fatto compagnia.»

«Eri con Maeve, non volevo disturbarti.»

Scoppia a ridere, cercando di alleggerire la conversazione. «Be', forse ieri sera non ti avrei sentita; eravamo... vicini.» Lo interrompo subito con una risatina.

«Non voglio sapere i dettagli» lo avverto, dandogli un colpetto sulla spalla.

«Allora ne parlerò con Josh!» scherza, ma il suo nome mi gela.

«Non nominarlo.»

Richard sospira. «Non avete parlato?»

«Non voglio parlare con lui.» Ricordo di averlo visto andare via rapidamente, lasciando dietro di sé una scia di domande, che le mie amiche Rachelle e Rose hanno tentato inutilmente di esplorare. Quando chiedo a Richard di sedermi accanto a lui in classe, mi concede quel posto senza esitare, lasciando che mi appoggi contro il muro, cercando un appiglio fisico.

Ma anche qui, il volto di Josh mi raggiunge, e distolgo subito lo sguardo, concentrandomi sul professore.

Richard mi sussurra: «Non potete continuare così.»

Sento il fastidio montare. «A continuare cosa?»

«A litigare, a farvi del male. Dovreste chiarire.»

«Richard, non capisci? Mi aveva promesso tanto, mi stavo fidando... e ha rovinato tutto.» La voce mi si rompe mentre cerco di spiegare.

«Lo so. Ma, Ally, so anche che si è pentito.»

«È sempre pentito.» E con questo, torno a fingere di ascoltare la lezione, mentre la mia mente è ancora persa tra la rabbia e la delusione, cercando invano un appiglio per non cadere a pezzi.

IL GIOCO DEI COLORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora