Capitolo 13

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SERKAN

Era stato uno dei pomeriggi più belli, uno di quelli che mi ricorderò per sempre.

Appena tornai a casa rimasi sconvolto.
Aprendo la porta trovai lui: papà.

Papà che ormai non vedevo da mesi. Dopo la separazione con mamma avevamo perso ogni tipo di contatto ma ero pienamente consapevole dell'aiuto economico.

Papà per me, fin da piccolo, era sempre stato il mio punto di riferimento, un esempio da seguire. Volevo essere proprio come lui, da grande desideravo essere come lui.
Non era da tutti amare una sola persona nel mondo, anche se ti fa soffrire, anche se ti fa sentire inutile, anche se ti schiaccia con l'amore che non prova più, quella donna resterà sempre l'unica, sarà sempre lei la tua lei.

Era proprio questo che ammiravo di più di mio padre ma il fatto che per mesi fosse sparito senza lasciare men che minima traccia, mi aveva fatto male e il dolore con il tempo divenne rabbia.

Si, ora provavo tanta rabbia, rabbia che da mesi nascondevo dentro, rabbia che non rivelai nemmeno a mamma, rabbia perché anche se mi manteneva economicamente io avevo bisogno d'affetto più che di soldi. Avevo bisogno di un padre al mio fianco.

"Ciao figliolo" disse lui con un sorriso.

"Ciao" risposi freddamente, quasi incurante.

"Vorrei parlare con te"

"È stata una giornata indimenticabile e non voglio che me la rovini con le tue inutili giustificazioni. Puoi rovinarmi la giornata domani, ciao"

Lui rimase in silenzio e con gli occhi sgranati.

Lo guardai, guardai mamma e andai subito in camera mia.

Ma come poteva pensare che dopo mesi io l'avrei accettato come prima?
Non sono più un bambino.
Sono stato io a star vicino a mamma quando piangeva dalla disperazione, quando non sapeva come fare a fine mese, quando non aveva denaro per la spesa e per le bollette. Sono stato io a starle accanto, non lui.
Io, un ragazzo di 18 anni che si doveva comportare come un uomo.

Arrivai in camera e presi il telefono.
C'era un suo messaggio: Andrea.

"Sei arrivato a casa?"

Si era preoccupata per me.
Era davvero dolce.

"Si piccola, sono arrivato." Gli risposi.

Posai il telefono e andai in bagno.
Mi lavai il viso, mi misi il pigiama e andai a letto.
Arrivò un suo messaggio proprio quando mi accomodai.

"Va bene, mi stavo preoccupando. Vorrei che ogni volta che ci lasciamo mi avvisassi quando arrivi a casa"

"Lo farò, promesso."

Lei non rispose più, probabilmente si era addormentata.

Da lì a poco, mi addormentai.
Non potevo resistere, la stanchezza si era impossessato del mio corpo.
Il giorno dopo avrei dovuto affrontare una complicata partita di football e mio padre. Nulla era scontato nella mia vita.
Era arrivata l'ora de riposo del guerriero.

YOU ARE MY SUNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora