Capitolo 36

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SERKAN

Era successo tutto così velocemente.
Salimmo in macchina e pochi metri più avanti un'auto perse letteralmente il controllo venendoci addosso.
Son rimasto cosciente durante tutto l'incidente, lei no.
Ho visto quella luce bianca che ci veniva incontro mentre lei cantava la nostra canzone a squarciagola.

Mi son visto la morte in faccia, la nostra morte. Non volevo crederci.
Quando ci fu lo scontro, la nostra macchina girò più volte su se stessa, non riuscivo a controllarla, era impossibile farlo in quella situazione.
Dopo i vari giri, sbattè fortemente contro qualcosa.
Non riuscivo ad avere un pensiero fisso, ero vivo ma la mia mente era morta, il mio cuore era fermo e non riuscivo a respirare.

Quando la macchina si fermò rimasi fermo. Pensai a quale fosse la cosa migliore da fare ma quando vidi le gocce di benzina ticchettare sull'asfalto, iniziai a muovermi senza pensare.
Dovevo salvarla.
Dovevo salvarci.

Era mia abitudine allacciare la cintura prima di partire e questa volta, come tutte le altre, l'avevo fatto.
Mi aveva praticamente salvato la vita ma, con lei, rischiavo di perderla con la stessa facilità in cui me l'aveva appena salvata.
Non riuscivo a liberarmi, non riuscivo a muovermi e lei era lì, vicino a me, senza sensi.

Mi accorsi che il mio respiro era accelerato e che il cuore rischiava di uscirmi dal petto.
Vedevo la benzina che continuava ad uscire e sentii puzza di fumo.

Continuai a muovermi fin quando non mi liberai, corsi immediatamente dalla parte del passeggero e Andrea continuava a non dar segni di vita.
Dovevo tirarla fuori e fortunatamente con lei fu più "semplice" dato che ogni volta che la pregavo di mettersi la cintura, cambiava sempre discorso.

Odiava metterla, diceva che le faceva male al collo.
Era così dolce quando, con il suo musino, cercava di convincermi.

La tirai fuori con la paura di averle fatto del male. La presi in braccio, e mi incamminai con passo spedito, lontano dall'auto che da un momento all'altro sarebbe diventata cenere.

Quando ripresi un po' di coscienza, vidi che molte persone erano lì, intorno a noi, che chiamavano l'ambulanza.
Sentivo voci lontane che dicevano "c'è stato un incidente, due ragazzi avranno poco più di 17 anni, non sappiamo come..."

Era tutto un vociferare, ma Andrea era qui, tra le mie braccia, senza sensi. Non sapevo cosa fare, ero praticamente paralizzato.

"Amore mio, resta qui, non andare via, resta con me" Mi ripetevo mentalmente, come se il mio pensiero potesse raggiungere il suo.

Come avrei fatto senza di lei?
Senza i suoi sorrisi, le sue dita tra le mie, le sue labbra morbide, i suoi occhi color nocciola e i suoi capelli perennemente profumati?
Come avrei fatto senza i suoi respiri addosso, le sue labbra che si posavano sul mio collo, le sue dita delicate che mi accarezzavano il viso e i suoi baci sulla mia barba incolta?

Non potevo immaginarmi una vita senza di lei.

Improvvisamente sentii una mano posarsi sulla mia spalla, ma non volli voltarmi, ero fisso sui suoi occhi.
Si sarebbero aperti, ne ero sicuro.

"Ehi ragazzo mi hai sentito?"
Mi disse una voce maschile.

Non riuscivo ad emettere un suono, come se le mie corde vocali mi avessero abbandonato nell'esatto momento dell'incidente.

"Ci pensiamo noi adesso." Mi disse la stessa voce.

Continuavo a fissarla e lo stesso uomo continuava a parlare.
Era diventato irritante, assillante e ripetitivo.

Venne davanti a me, prese Andrea con forza e al tempo stesso con delicatezza e la portò immediatamente in ambulanza.

"il ragazzo è cosciente ma con gravi traumi in viso, correte da lui" urló l'uomo con tono quasi preoccupato.

Queste furono le ultime parole che sentii dire da quella voce ormai familiare.
Non mi mossi, rimasi immobile, nella stessa posizione di quando avevo in braccio Andrea, come se lei fosse ancora lì.

"Ehi tesoro, tutto bene?"
Mi disse una voce femminile, sembrava la voce di mamma.

"Mam.." riuscii a dire.

"No, sono Alexandra, una dottoressa. Sono qui per aiutarti." Mi disse con un tono delicato e dolce.

"Mi sapresti dire come ti chiami?" Mi chiese con tono pacato.

"S-s-se-ser-k..."
Non riuscivo nemmeno a dire il mio nome, come se fosse la cosa più difficile da pronunciare.

"Serk?" Mi chiese lei incerta.

"S-ser-Serkan" riuscii a dire.

"Benissimo Serkan. E sapresti dirmi il tuo cognome?" Mi chiese speranzosa.

"C-ca-cayoglu" sbottai.

"Benissimo Serkan cayoglu.
Sai cos'è appena successo? Puoi anche semplicemente farmi un cenno con il capo."
Cercò di facilitarmi.

Feci proprio come mi aveva suggerito la ragazza, annuii semplicemente.

"Non hai dei gravi danni, hai qualche ferita in volto ma starai bene. Ora ci prenderemo cura di te."

Furono le ultime parole che fui in grado di percepire.
I miei pensieri rivolti ad Andrea stavano occupando gran parte della mia testa, non volevo pensare ad altro.
Io sarei stato bene ma questa era l'ultima cosa che avevo bisogno di sapere in quel momento.

Caricarono anche me in ambulanza e mi portarono in ospedale.

Appena arrivai in ospedale, mamma era già all'ingresso aspettandomi.
Appena mi vide, mi corse incontro e mi abbracciò.
Ero passivo, tutto quello che mi accadeva intorno era insignificante.

Non provavo nulla, neppure il normale dolore che si sente quando ti mettono i punti.
Come se tutto quello non stesse capitando a me, come se stessi guardando la vita di un'altra persona da una finestra.

Mi fecero tutti i controlli necessari, era stato un miracolo che non mi sia fatto nulla di grave.
Potevo morire ed invece ero qui, con qualche graffio sul viso e qualche cerotto medico.
Decisero di tenermi sotto controllo per quella notte, per vedere come reagiva il mio corpo a seguito dello shock.

Quella notte in ospedale fu terribile. Ogni volta che chiudevo gli occhi e il sonno arrivava, l'immagine dell'incidente tornava come se fosse realtà, come se, per la seconda volta, lo stesso rivivendo.
Mi svegliavo di soprassalto e puntualmente mamma era al mio fianco per tranquillizzarmi.

Al mattino mi svegliai e mamma non era lì.
La sua sedia era vuota e la sua borsa non c'era.
Dov'era andata?

Non feci in tempo a preoccuparmi che era già di ritorno in camera.
Non ancora le rivolgevo parola dal momento dell'incidente anche se lei continuava a parlarmi aspettandosi ogni volta una mia misera risposta.

"Amore mio come stai? Ti senti bene?" Mi chiese con gli occhi lucidi.

Cosa le era successo?
Era successo qualcosa ad Andrea?

Annuii semplicemente, ma con uno sguardo interrogativo, aspettando che mi riferisse quanto sapesse.

"Tesoro, sono andata a trovare Andrea. Lei non ancora si è svegliata, i medici dicono che è normale, la botta è stata troppo forte.
Potrebbe esserci una perdita di memoria ma solo al suo risveglio e con il passare dei giorni, si capirà se questa perdita sia temporanea o permanente"

I suoi occhi erano pieni di lacrime e i miei erano persi, freddi e senza emozione.

Come se questa vita non valesse la pena di essere vissuta senza di lei.

YOU ARE MY SUNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora