Capitolo 20

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SERKAN

Tornai a casa e l'unica cosa che avevo voglia di fare era sprofondare nel sonno.

Ero stato deluso, ancora una volta.
Stavo soffrendo, ancora una volta.

Dopo Tessa mi ero promesso di non permettere più a nessuno di ridurmi così ma questa ragazza è stata in grado di farmi partire la testa.

Andrea, solo tu Andrea potevi farmi questo.

Quando mi posai sul letto spensi il telefono, le luci e chiusi gli occhi.
Non volevo sentire né tantomeno vedere nessuno.
Questo era il modo migliore per allontanare il mondo da me.

Non dormivo mai il pomeriggio, era una cosa che detestavo.
Dormire significava perdere tempo, significava vivere in un mondo parallelo e non nel mondo reale.

Mi svegliai, guardai l'orologio e vidi che erano le 17.
Fra mezz'ora avrei avuto l'allenamento di football e non potevamo assolutamente mancare.

Andai a farmi una doccia rinfrescante prima dell'allenamento, preparai la borsa, mi misi la divisa e in un batter d'occhio ero fuori casa.

Quando presi il telefono per avvisare i miei compagni che stavo arrivando notai che il telefono era ancora spento.

Chissà se mi avrà cercato.
Chissà se avrà pensato a me.
Chissà se nella sua testa c'era il mio nome.
Chissà se mi ama.

Una risposta a tutti questi dubbi arrivò quando nella schermata principale del mio telefono, il suo nome non c'era.

Lei non aveva pensato a me, non aveva pensato a tutto quello che le avevo detto, non aveva neanche provato a chiedermi come stavo.
Non le importava niente di me, non gliene era mai importato nulla di noi.

Da quel momento, ero pronto ad andare avanti.
Ero pronto a toccare il fondo per risalire più forte di prima.
Ero pronto a vivere senza di lei.
No, sinceramente non ero ancora pronto, ma dovevo iniziare ad esserlo.

"Le sofferenze fanno crescere"
Questo era quello che mi disse mia madre quando seppe che io e Tessa ci saremmo lasciati, ed ora toccava dirlo a me stesso.

Tutti i pensieri mi fecero dimenticare di inviare il messaggio ai miei compagni di squadra, ormai non aveva più senso farlo dato che ero già fuori dal campo.

Entrai negli spogliatoi ed andai ad allenarmi di corsa.
Avevo bisogno di sfogarmi, di pensare ad altro, di buttar fuori tutto il dolore che avevo.

Sarebbe passato tutto con il tempo, ma in questo momento stavo male, non potevo far altro che soffrire.

È vero, era passato poco più di un mese da quando l'avevo vista la prima volta, ma al cuor non si comanda.

Finii l'allenamento molto prima di quanto mi aspettassi, volevo durasse di più.
Questo significava tornare a casa e continuare con gli stessi pensieri, con gli stessi dolori, con le stesse paure.

Tornai negli spogliatoi e Tony, un componente della squadra che consideravo un vero amico, mi fermò.

"Amico, che succede?" Mi chiese.

"Nulla amico, puoi star tranquillo" cercai di tranquillizzarlo.

"Sappi che se avessi bisogno di qualcuno io sono qui." Mi rassicurò.

"Grazie amico mio, davvero"

"Vuoi un passaggio?" Mi chiese improvvisamente.

"No amico, preferisco camminare. Grazie davvero" mi limitai a dire.

Volevo camminare, anche se continuavo a farmi del male in questo modo, non potevo ignorare quello che stavo passando.
Non volevo andare in un bar, ubriacarmi e dimenticarmi tutto, non sarebbe stato sano, non sarebbe stato giusto, così appena arrivai a casa continuai con la mia solitudine.

Decisi di spegnere il telefono ma, nel momento in cui stavo per spegnerlo, arrivò un messaggio: "affacciati"

Era lei.

Mi alzai dal letto, accesi la luce ed indossai una maglietta.
Aprii la finestra e lei era lì.
Era bellissima, d'altronde lo era sempre stata, dalla prima volta in cui l'avevo vista, ma quella sera era un qualcosa di meraviglioso.

Lei era il mio sole.
Illuminava le mie giornate ed ora illuminava le mie serate.

Mi resi conto, poco dopo, che vicino a lei c'era un telo con scritto "scendi"

Ero emozionato.
Nessuno aveva mai fatto questo per me.

Rientrai a casa, presi una giacca e scesi, proprio come aveva scritto.
Aprii la porta e notai quell'abito lungo e quegli occhi profondi.

La giacca era per lei, gliela posai sulle spalle e feci un passo indietro.
Aspettavo che dicesse qualcosa, volevo sapere cosa pensasse e cosa avesse intenzione di fare.
Ma lei non parlò.
Prese semplicemente una fascia nera e me la posò sugli occhi.

Cosa stava facendo?
Dove voleva portarmi?

"Avvolgi le tue mani intorno a me e in questo modo, seguimi."
Mi sussurrò, stampandomi un bacio sulle labbra.

Annuì e curioso la seguì.

Passarono davvero pochi minuti che si fermò, tolsi le braccia dal suo corpo e aspettai.

Sentii lei che, davanti a me, iniziò a parlare.

"Serkan, amore mio, cosa posso dirti? Quelle parole che mi hai detto oggi mi hanno lasciata impietrita, mi ha fatto male sapere quanto ti stessi facendo soffrire.
Mi son resa conto che non rivelandoti delle cose, non facevo altro che farti stare male.
Non sono brava con le parole, lo sai benissimo, ma ho un estremo bisogno di dirti che..."

Mi tolse la benda e vidi scritto "ti amo" con delle candeline.

Mi girai e la guardai incredulo.
Non potevo credere a quello che avevo davanti agli occhi, non potevo credere a quello che aveva fatto per lei per me.

Mi girai di nuovo a guardare la meraviglia e lei mi venne vicino. Quando vidi che era al mio fianco, ad un passo da me, la baciai.

YOU ARE MY SUNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora