Capitolo 15

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SERKAN

Quella mattina decisi che sarei andato a prendere Andrea a casa.
Ero deciso a comportarmi come un vero fidanzato.

Ma eravamo fidanzati?
In realtà cosa eravamo io e Andrea?

Tutto ciò non ancora era stato messo in chiaro ma avevo voglia di sorprenderla.

Alle 8:00 mi presentai sotto casa sua con la mia nuova automobile, gentilmente regalata da papà per farsi perdonare, e la aspettai impazientemente.

I minuti passavano ma non vedevo movimento in casa così decisi di suonare il clacson, probabilmente si sarebbe affacciata, mi avrebbe visto, avrebbe corso verso di me e ci saremmo abbracciati fino a non riuscire più a respirare.

Era tutto programmato nella mia testa, ogni particolare era già stato calcolato e ogni piccola cosa doveva solamente essere vissuta.

Dopo il suono del clacson aspettai ancora un po'.
Ero dentro la macchina, volevo per sorprenderla.

Stavo per scriverle un messaggio quando vidi la porta aprirsi.
La vidi molto a disagio, la sua camminata non era affatto tranquilla.

Era successo qualcosa in casa?
La mamma le aveva detto qualcosa di brutto?
Era successo qualcosa al fratello?
Non riuscivo a spiegarmi il suo comportamento.

Continuava a camminare sempre più velocemente verso quel che doveva essere il garage ma a quel punto non riuscì a trattenermi.
Uscii dalla macchina e andai di corsa verso di lei.
Tutto quello che avevo immaginato pochi minuti prima si stava capovolgendo, ora ero io ad andarle incontro.

"Piccola, perché cammini così veloce?"

Fu l'unica cosa che riuscii a chiederle.

In realtà avevo una voglia sfrenata di abbracciarla e stamparle un bacio ma pensai che forse non era il momento migliore, l'avrei solamente spaventata.

Alla mia domanda si fermò.
Si fermò e ricominciò a respirare, rilassò le spalle ma in ogni caso non accennava a voltarsi.

La raggiunsi, la guardai negli occhi e qualcosa era successo.

Capii che ero stato io a ridurla così, ero stato io a spaventarla in quel modo. Tutto quello che avevo pensato di fare era andato in fumo nell'esatto momento in cui ebbi la stupida idea di non avvisarla.

Non riuscivo più a pensare.
Non mi uscivano le parole, quelle che di solito non mi mancavano mai.
I pensieri iniziarono a non avere più una logica così la abbracciai semplicemente.
La abbracciai per calmarla, per aiutarla, per tenerla stretta a me ad un millimetro dal cuore.
Avevo bisogno del suo calore ma sentivo che questo non era lo stesso per lei.
Lei non mi voleva, lei non voleva niente di tutto ciò.

Mi chiedeva di lasciarla, mi chiedeva di andarmene ma io non riuscivo, non potevo mollarla lì come se fosse una persona come un'altra. Non potevo lasciare lì la persona di cui mi stavo innamorando.
Non potevo o forse non volevo.

Continuavo a tenerla stretta a me esattamente come quando da bambino stringi il tuo peluche preferito convinto che ti protegga dai mostri della notte.

Lei continuava a respingermi, era doloroso tutto quello che lei stava facendo. Era doloroso non sentire il suo abbraccio, la sua dolce voce.
Era doloroso non vedere i suoi occhi persi nei miei.
Era tutto doloroso e fu proprio per questo che me ne andai.

Assurdo vero?
Prima pensavo di tenerla per sempre tra le mie braccia per proteggerla e ora stavo scappando come un codardo.

Ma cosa ti resta da fare quando la persona che am... No forse era meglio non pensare.

Mi incamminai verso la macchina per andarmene, per fuggire dal suo sguardo, per sfuggire per sempre da quel momento.

Ero immerso nei miei pensieri, il mondo per me si era bloccato.
Non sentivo i rumori soliti di una città: l'andamento degli autobus, dei bambini urlanti, dei genitori preoccupati, dei motorini, delle moto né tantomeno la sua voce.
Non sentivo nulla.
Il mondo era fermo a quel momento ma tutto riprese vita quando la vidi davanti a me.
Non feci in tempo a guardarla negli occhi che mi abbracciò.

Desideravo quel gesto più di qualunque altra cosa ma il dolore e l'orgoglio che vivevano in me, mi impedirono di ricambiare.
Le mie braccia erano ferme al loro posto, come se fossero paralizzate.
Fece tutto lei, le prese, le avvolse intorno al suo minuto e bellissimo corpo e rimasero lì.

Dopo pochi minuti alzò il viso, il suo bellissimo viso, e mi guardò.
I nostri occhi, proprio come la prima volta, si persero nel colore dell'altro.
I suoi occhi dicevano tutto, mi rivelavano quanto era dispiaciuta e quanto voleva farsi perdonare e tutto questo poi fu confermato dalle sue parole.

Aveva paura, aveva paura che le facessero del male.

"Fin quando starai con me niente e nessuno ti farà del male" le dissi.

Queste furono le parole che il mio cuore mi suggerì.
Avevo bisogno di lei più di quanto lei avesse bisogno di me, ma questo non le era ancora chiaro.

YOU ARE MY SUNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora