Capitolo 43

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SERKAN

Stavo fuori dall'ufficio di "quel dottorino che faceva innamorare ogni sua paziente" aspettando Andrea.
Ero tranquillo, contento ed emozionato per la sua dimissione dall'ospedale.
Volevo stare con lei, volevo vivere con lei ogni momento, starle accanto, viziarla come potevo e amarla con tutto me stesso. Non volevo altro nella vita che stare con lei.
Era strano vedermi così sciocco davanti all'amore, sentirmi arrossire quando lei mi guardava ed essere geloso di un dottore che probabilmente non avremmo più rincontrato.
Non ero mai stato geloso, non era da me.

Preso dai miei pensieri esistenziali, venni interrotto dal rumore di una porta che si chiudeva, alzai lo sguardo e vidi Andrea uscire da lì.
Mi alzai d'impeto e camminai con passo spedito verso di lei ma appena mi avvicinai mi resi conto che era diversa.
Aveva gli occhi rossi, come se avesse pianto, aveva le guance rigate dalle lacrime che non aveva asciugato, e il sorriso non era lo stesso di quando mi guardava.

"Amore" le dissi in modo dolce e quasi interrogativo.

"Ehi" mi rispose senza alzare lo sguardo

Guardai la signora Taylor per cercare di capire cosa fosse successo, ma mi guardò senza darmi una risposta e alzando le spalle.
Lasciai perdere la sua reazione e mi concentrai su Andrea.

"Torniamo a casa?" Le chiesi.
Volevo stare solo con lei, volevo capire cosa avesse, cosa era successo e in che modo potevo aiutarla.

"Si." Rispose seccamente.

"Andiamo figliola" disse la signora Taylor rivolgendosi ad Andrea abbracciandola.

Mi sentivo escluso, mi sentivo come se la mia presenza fosse un peso, come se io non dovessi essere lì. Mi sentivo inutile e questa sensazione era terribile.

Non sapevo a cosa pensare.
Il dottor "sono bello e lo so" le aveva fatto qualcosa? Le aveva detto qualcosa di grave?
Non sapevo come spiegarmi quel suo facciano triste e sconvolto.

Assorto dalle tante domande, non mi accorsi che Taylor e Andrea erano già arrivate all'uscita dell'ospedale.
Le raggiunsi velocemente e non si accorsero di nulla. Ero un fantasma. Nessuna delle due voleva rendermi partecipe della situazione. Mi trattavano come se fossi invisibile, anzi, non mi trattavano proprio.

"Aspettate qui che vado a prendere la macchina" le dissi un po' sconsolato.

"Ok figliolo, ti aspettiamo qui" disse la signora Taylor.

Andrea non mi aveva rivolto nemmeno uno sguardo. Non le capitavo sotto gli occhi neanche per sbaglio.

Mi incamminai verso l'auto con ancora più dubbi di prima, con ancora più rabbia e con ancora più tristezza.
Mi sentivo inutile, ero inutile.
Arrivai davanti alla porta dell'ospedale e parcheggiai, invitai Andrea e Taylor a salire in auto mentre sistemavo la valigia nel portabagagli.

Non potevo tornare a casa così, perciò mi affacciai dal finestrino della madre di Andrea e le dissi: "arrivo subito, ho dimenticato il portafoglio sulla sedia"

Scusa più stupida non potevo trovare ma dovevo rientrare e provare a parlare con il dottor... Jason, Jackson, Jeremy o come caspita si chiamava.
Rientrai in ospedale di corsa, appena ritrovai l'ufficio del dottore, bussai ininterrottamente fino a quando la porta non si aprì.

Con una faccia incredula, mi invita ad entrare e a sedermi.

"Prego" mi disse con il suo solito sorriso perfetto.

"Che succede?" Dissi senza tanti giri di parole. Volevo sapere, non perdere tempo.

"Non gliel'ha detto Andrea?" Mi chiese.

"Dirmi cosa?" Gli chiesi quasi in modo aggressivo

"Se non glielo ha detto lei, io non posso rivelare nulla, per privacy" disse come da prassi.

"Ma quale privacy e privacy. Sono il suo ragazzo, ho bisogno di sapere cosa le è successo. È uscita da questo studio sconvolta, non mi parla, non sorride e non fa altro che guardare il pavimento su cui cammina. Non è lei" dissi quasi urlando.

"Mi dispiace signor Serkan" mi disse come per liquidarmi.

Lo guardai, mi alzai e me ne andai sbattendo la porta del suo stupido ufficio.

Non avevo ottenuto niente, nessuna informazione era trapelata dalla sua bocca e a casa tornavo ancora peggio di come stavo prima.

Tornai in macchina e con il sorriso mostrai il portafoglio, come segno di vittoria per averlo ritrovato.
Arrivati a casa Andrea e Taylor scesero dall'auto e si diressero verso la porta di ingresso, mentre nel frattempo io prendevo la valigia di Andrea e la portavo al suo interno.
Non sapevo come comportarmi, dovevo lasciare la valigia e andarmene o restare per continuare ad essere un fantasma?

Il dubbio a questa domanda mi venne tolto appena entrai a casa con la valigia.

"Sè" mi richiamó la signora Taylor.

"Si?" Le domandai per sapere se avesse bisogno di altro.

"Andrea ti vuole parlare, sta in camera sua" mi disse con il viso stanco.

Senza darle una risposta ma con un semplice sguardo di intesa, mi precipitai in camera sua. Non volevo altro, solo spiegazioni.
Aprii la porta e lei era seduta sul bordo del suo letto con dei fogli in mano, gli stessi fogli dell'ospedale.
Inizia a preoccuparmi, milioni di problemi mi gironzolavano per la testa.
Mi sedetti al suo fianco e rimasi in silenzio.

"Ehi, come stai?" Mi chiese con un tono cupo.

"Tutto bene grazie" le risposi.

Il silenzio tombale regnava nella sua stanza. Nessuno dei due aveva il coraggio di fiatare. Nessuno dei due si guardava in viso, entrambi puntavamo il pavimento.
Si sentivano solo i nostri respiri, il suo aveva un ritmo veloce, il mio era solo un poco più lento del suo.
Era agitata, l'avevo precipito già dall'ospedale ma non volevo essere invadente nel chiederle ripetutamente cosa le fosse successo.
Lei non sembrava avesse intenzione di parlare, era immobile, fissava e teneva quei fogli come se fossero tesoro.

Così presi coraggio e parlai.
"Che succede?" Le domandai

Lei non rispondeva, continuava con il suo atteggiamento restio.
Passarono alcuni minuti e i nostri sguardi continuavano a non trovarsi.

Erano passati quaranta minuti ma la situazione era la stessa.
Mi alzai dal letto e feci per andarmene.
Mi incamminai verso la porta e la sentii piangere. Piangeva silenziosamente, non voleva farsi sentire.
Mi voltai per l'ultima volta e il suo pianto non fu più silenzioso. Scoppió nella disperazione più assoluta, i singhiozzi non cessavano, mi cercava con lo sguardo e in momento tornai da lei, la abbracciai e la strinsi forte a me.

Eravamo seduti sul pavimento della sua stanza, i fogli erano caduti con lei e si erano sparpagliati. Mentre la abbracciavo, la mia attenzione fu catturata da alcune foto. Non era una foto nostra, era una foto scura, tendeva al nero con delle sfumature bianche. Mi fissai su di loro e capii.

La abbraccia ancora più forte e semplicemente le sussurai: "ce la faremo insieme, siamo forti"

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 21, 2017 ⏰

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