Capitolo 39

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SERKAN

La guardavo sempre da fuori, non osavo entrare, non osavo attraversare quella porta scorrevole,
avevo paura, una paura immensa di affrontare la realtà.
Non sapevo come avrei reagito, come lei avrebbe reagito alla mia presenza.

GIORNO DEL RISVEGLIO.

Ero lì, su quella sedia scomodo ormai da ore. La mia vita ormai giaceva in quell'esatto punto.
Mi alzavo solo per prendere un caffè e per sgranchirmi le gambe.

Non perdevo la speranza, ogni giorno la vedevo sempre meglio, cominciava a prendere colore e ad essere sempre più la mia Andrea.
Aiutavo Taylor e Tyler in ogni modo, di qualunque cosa avessero bisogno io ero sempre accanto a loro.
Stavo prendendo l'abitudine di portare e riprendere Tyler a scuola, lo aiutavo con i compiti, stavo con lui quanto più possibile per non fargli pensare costantemente alla situazione che si stava vivendo.

Soffriva molto ma non lo dava a vedere.
Sotto questo aspetto, somigliava molto ad Andrea.

Era trascorsa una settimana dall'incidente.
Le infermiere non ci davano belle notizie, l'unica cosa che ci ripetevano era "tempo, ci vuole tempo"
Ero stanco di sentire sempre le stesse parole, vedere le stesse facce sconfitte, le stesse espressioni prive di speranza. Non riuscivo a credere che infermieri e dottori ancora non riuscissero a dirci cosa stesse succedendo.
Tante ipotesi ma nessuna certezza.

Si sarebbe risvegliata?
Era stata tutta colpa mia e non me lo sarei mai perdonato se, al suo risveglio, si fosse scoperto qualcosa di grave.

Erano già le 17, a quell'ora iniziava già a fare buio, ma era da giorni che vedevo le giornate passare attraverso la grande finestra dell'ospedale.

Avevo un assoluto bisogno di caffè.
Mi precipitai alla macchinetta, lo presi velocemente e tornai davanti alla stanza di Andrea.
Taylor non c'era, era andata a fare un po' di spesa, Tyler era andato da un amico e in ospedale c'ero solo io.
La mia postazione mi portava ad avere lo sguardo diretto alla stanza.
Ammiravo ogni suo minimo particolare.
Pensavo a quanto fosse bella, a quanto fosse delicata, dolce e, al tempo stesso, inespressiva.
Continuavo a fissarla come se fosse un'opera d'arte, come se fosse proibito toccare e l'unica cosa che restava da fare era ammirarla, ammirarla senza mai stancarmi.

Improvvisamente la vidi muoversi, vidi il suo respiro affannato ed i suoi occhi aprirsi di scatto.
Era sveglia, era davvero sveglia.

"Infermiera, infermiera, infermiera" ripetevo quasi urlando.

"Qualcuno mi sente? Ho bisogno di un'infermiera" continuai.

In pochi secondi vidi precipitarsi nella mia direzione una ragazza con il camice.

"Tutto bene? Cosa succede?"

Il mio sguardo si posò sul cartellino.
Alexandra.
Il suo nome era Alexandra.
Era scritto sul suo camice e non era un nome del tutto sconosciuto ma in quel momento non potevo perdermi nel pensare in quale momento e come avevo conosciuto questa persona.

"Andrea si è svegliata, ha aperto gli occhi" dissi con il respiro accelerato  come se avessi corso una maratona per chilometri.

"Benissimo, lei si calmi. Io ora entro e vedo come va la situazione. " mi disse molto velocemente.

La vidi entrare e mi sedetti nuovamente sulla solita sedia blu con la gamba tremante per la preoccupazione.

Vedevo l'infermiera farle le domande ed Andrea che faceva fatica a rispondere. Aveva uno sguardo perso, come se non ricordasse nulla, come se non sapesse perché stesse li.
Ero preoccupato, non sapevo cosa aspettarmi.

Chiamai immediatamente Taylor.

"Ciao tesoro, che succede? Hai bisogno qualcosa dal supermercato?"
Mi chiese con tono materno.

"No Taylor, grazie. Andrea si è appena sveg.." non riuscii a terminare la frase che mi interruppe.

"Sto arrivando." E chiuse la telefonata.

Non me la presi, era normale, aspettavamo questo momento da una settimana.
Taylor arrivò dopo pochi minuti e senza chiedere nulla entrò nella stanza di Andrea.

Ero in ansia, cosa stava succedendo lì dentro?
Perché non riuscivo ad entrare?

Girovagavo nel corridoio del piano senza alcuna meta, come se questo potesse tranquillizzarmi.

Sentii aprirsi la porta scorrevole, mi voltai di scatto e mi precipitai in direzione dell'infermiera.

"Allora? Si sa qualcosa?" Chiesi preoccupato.

"Si è appena svegliata, non possiamo sapere molto ma le ho detto il tuo nome e..." tentennava, come se non riuscisse a spiegarmi cosa stesse succedendo.

"E? E cosa?" Chiesi impaziente ed innervosito.

"E... non sa chi tu sia."

Il mondo mi crollò.
In quell'esatto momento, il mio cuore perse un battito e la mia vita il senso.

YOU ARE MY SUNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora