Capitolo 3

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Ero molto perplessa da ciò che era appena successo. Avevo raccontato la storia della morte della mia famiglia ad un ragazzo che avevo appena conosciuto e di cui non sapevo il nome, lui non era scappato come avrebbe fatto qualsiasi altra persona normale sul pianeta terra, e mi capiva? Nessuno mi capiva. Avevo provato ad avere un'amica a 10 anni, ma appena riconobbe la mia faccia (quella che era stata sui giornali all'incirca per due o tre anni) disse che non voleva per amica una bambina che non aveva genitori. Non capii il senso di quella risposta, e anche ora non lo capisco. A 14 anni ho riprovato, ma mi evitavano perché vestivo sempre di scuro e avevo sempre le occhiaie, pensavano fossi una emo, e capivo perché lo pensassero, era il periodo "mi taglio le vene perché sono un'adolescente a cui nessuno presta attenzione, e la mia vita fa schifo", le ragazze avevano paura di me, mi vedevano e si scansavano, mi guardavano male, e i ragazzi mi trattavano malissimo, ma non riuscivano mai a molestarmi, avevo 14 anni e avevo imparato a difendermi, appena compiuti i 6 anni la mia famiglia adottiva cedette alle mie preghiere e mi iscrisse ad un corso di jujitsu. Non ero mai stata capita da nessuno, nemmeno dai miei genitori adottivi, loro non capivano quello che avevo passato, per il semplice fatto che non avevo mai detto loro che ero stata stuprata da mio padre.

Forse era stato questo il mio sbaglio, non dire nulla del mio passato a nessuno. E quando ho detto tutto a quel ragazzo mi sono finalmente sentita libera, ero contenta di aver trovato qualcuno che mi capisse e che mi ascoltasse.

Tornai a casa giusto in tempo per l'ora di cena, e il signor Grey era seduto sul divano ad aspettarmi con lo sguardo infuriato.

-Melanie che diamine di fine avevi fatto? Sei sparita per l'intera giornata.

-Mi scusi, ero in biblioteca, e ho perso di vista il tempo.

Abbassai lo sguardo. Ero intimidita. Non mi piaceva essere sgridata.

- "Mi scusi"? Melanie non devi darmi del lei- disse il signor Grey sospirando - e avvertimi almeno quando fai tardi, ce l'hai un telefono, prova ad usarlo ogni tanto.

-Scusa, è che sai che quando leggo perdo la cognizione del tempo, entro nel mio mondo e non ne esco più.

Mentii. Ovviamente avevo passato all'incirca venti minuti in quella biblioteca, e il resto del tempo l'avevo passato con quel ragazzo e a pensare alla mia schifo di vita.

-Okay, però la prossima volta ricorda che io sono nel mondo reale e sono preoccupato per te 24 ore su 24.

Sorrisi al mio finto papà e preparai la cena. La mia specialità erano le omelette, il signor Grey la preferiva sempre accompagnata da due fette di bacon, io la mangiavo semplice. Preferisco la semplicità.

-Questa volta erano ottime Melanie, vivrei solo delle tue omelette.

-Oh, papà non esagerare- arrossii -non sono così buone.

-Mi hai chiamato papà?

-Non me ne sono resa conto.

Ero così impegnata a pensare al suo commento sulle omelette che mi è sfuggito di mente che odio il nome papà.

-Mi piace essere chiamato papà. Non ne ho mai avuto l'opportunità, e quando ti abbiamo adottato ne ho vista una, l'unico problema è che tu mi hai sempre chiamato "signor Grey".

-Io non posso.

Dissi abbassando lo sguardo e alzandomi dalla tavola.

-Cosa tesoro?

-Non posso.

Sorrisi al signor Grey ed andai nella mia stanza. Mi sarebbe piaciuto chiamarlo papà, mi sarebbe piaciuto ricominciare da capo, ma non ci riuscivo, ogni volta che dicevo quella parola, mi tornava in mente il mio vero padre, che non consideravo tale, m'ingannava, ed io tutta contenta gli correvo incontro. Che stupida ero! Ma sono riuscita comunque a vendicarmi, sono fiera di me. Vorrei far felice il signor Grey e chiamarlo "papà", ma non potrei mai, anche se lui sarebbe stato il padre perfetto, sempre gentile e pieno di vita fino alla fine. Lo adoravo.

Quando la mattina seguente mi svegliai notai che avevo indosso gli stessi vestiti che portavo il giorno prima. Probabilmente mi ero addormentata con quelli mentre pensavo alla mia schifo di defunta famiglia. Proprio uno schifo.

Per prima cosa mi lavai i denti, era ovvio che ne avevo bisogno. E dall'armadio presi un paio di jeans skinny chiari (che non ero solita mettere, ma si prova sempre qualcosa di nuovo) ed una felpa bordeaux con la scritta "free" in corsivo, e le mie adorate converse bianche. Stile del tutto diverso da quello usato il giorno prima, ma odiavo gli stivaletti per andare a scuola, erano scomodi, e non volevo essere notata.

Feci una coda alta ed andai a scuola senza fare colazione.

Le prime ore erano state stancanti, sono una ragazza che ha sempre studiato, ma sono umana anch'io, mi stanco come gli altri.

Mi sentivo meglio rispetto a tutta la mia vita quel giorno, quindi decisi di mangiare qualcosa di quello che il buon vecchio Grey aveva preparato per me. Non potevo sedermi in classe a fare ricreazione come un'emarginata sociale, perché le ragazze popolari erano lì. Stranamente si erano ribaltate le situazioni, o quella scuola era strana. Comunque decisi di andare in giardino, dove trovai i tipi strani, come me. Mi sedetti da sola accanto ad un albero, isolato. Ma forse così isolato non era, perché dopo qualche secondo vidi un'ombra oltre a quella dell'albero. Mi girai di scatto, pensando che fosse uno di quei ragazzi che nel vecchio liceo avrebbero voluto violentarmi, invece era quel ragazzo della biblioteca.

-Hey!

-Sei tornato.

Dissi sorpresa.

-Certo, ti ho detto che siamo simili.

-E perché lo saremmo? Tu hai ascoltato la mia storia. Ora è il turno che io ascolti la tua.

Il ragazzo sbarrò gli occhi per un secondo, poi mi guardò e sorrise.

-Credo proprio che qui quella che scapperà sarai proprio tu.

The light bringer || Lucifer #wattys2018#Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora