Capitolo 39

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-Edmund- dissi richiamando la sua attenzione, facendogli alzare la testa dal piatto –Si è trasferita una nuova famiglia accanto alla nostra casa- lo informai.

-Ah, sì? E li hai già conosciuti? – chiese lui interessato.

-Oh sì! Ho conosciuto la figlia. In realtà sono solo padre e figlia. Come noi- sorrisi. Ad Edmund per poco non andò di traverso un pezzo di pollo.

-Tutto bene? – chiesi passandogli dell'acqua.

-Si, si. Solo che alla parola "padre" mi sono un po' emozionato- la mia bocca prese la forma di una "o".

-Non intendevo quello. Cioè non stavo pensando...intendevo dire che loro sono padre e figlia, e noi ci avviciniamo a quel tipo di rapporto...- spiegai alquanto imbarazzata.

La bocca di Edmund si piegò in una linea dura.

-Mi piacerebbe fare la loro conoscenza- disse senza guardarmi negli occhi –invitali a cena domani sera.

-Okay...

Sapevo esattamente come si sentiva Edmund. Si sentiva come un uomo che non era riuscito a concludere una cosa così semplice nella sua vita. Svolgere la mansione di padre. Non che non ci fosse riuscito, anzi, sono grata tutti i giorni di avere un punto di riferimento come lui, solo non è riuscito a farsi chiamare papà in dodici anni che viviamo sotto lo stesso tetto, ma non è colpa sua, io ce lo chiamerei anche in quel modo, ma quella parola mi dà ribrezzo, e non credo smetterà mai di darmelo.

La mattina seguente mi svegliai con il rumore della pioggia che picchiettava sul vetro della finestra. Nessun raggio di sole a dare fastidio ai miei occhi, solo il rumore delle gocce d'acqua sul vetro. La voglia di alzarmi dal letto quando pioveva era pari a zero, però dovetti farlo per forza.

Mi alzai dal letto ed andai in bagno, mi lavai la faccia e i denti, poi tornai nella mia camera e misi il vestito che avevo preparato la sera precedente, un vestito grigio, stretto in vita e largo sotto, lungo fino alle ginocchia accompagnato da stivaletti neri.

Presi l'impermeabile rosso dall'attaccapanni e me lo infilai, salutando infine Edmund, che fece solo un cenno con la testa, probabilmente scosso ancora dall'accaduto della sera precedente.

Sul vialetto mi stava aspettando un Azrael impaziente.

-Hey, come mai sei qui?

-Devo parlarti. È importante- disse serio. Mi preoccupai.

-Cosa devi dirmi? – dissi incamminandomi verso la scuola.

-Devo parlarti riguardo ad Evan, lui è in pericolo.

-Questo lo sapevamo già- dissi facendo spallucce.

-No, tu non capisci. Lui è in pericolo, molto in pericolo. Sento che Michele è molto vicino, forse è già sulla terra- disse guardandosi attorno.

-Da cosa lo intuisci?

-Dai tuoi sogni.

-Sono solo sogni- ridacchiai.

-E dall'odore di morte misto a sangue che proviene dal tuo zainetto- disse allargando le narici in direzione della mia spalla.

-Cosa? Il mio zainetto...- mi ero completamente dimenticata delle piume, Azrael aveva le risposte alle mie domande.

-Perché il tuo zainetto odora di marcio? Sei una ragazza, non dovresti essere profumata e graziosa?

-Cosa mi stai facendo notare scusa? – domandai stizzita –E comunque non è il mio zainetto ad avere un odore terribile ma quello che c'è all'interno- dissi estraendo le piume dallo zainetto. Azrael strabuzzò gli occhi appena le vide, quasi non gli venne un infarto.

-Dove le hai prese?

-Il punto è che non le ho prese. Le ho trovate.

-Ok. Dove le hai trovate? – disse con estrema calma.

-Nella mia stanza, io non sapevo di chi fossero e perché erano proprio nella mia stanza, sono anche andata da padre Isaia ma non ho avuto il coraggio di mostrargliele, l'ho anche detto a Vehuiah ma non ne sapeva nulla, ha detto che avrebbe chiesto a te ma a quanto pare non l'ha fatto.

-Non devi mostrargliele mai, lui è un parroco, non capirebbe, loro hanno una concezione tutt'altro che reale sul regno ultraterreno, la chiesa e il vaticano non hanno la più pallida idea di cosa succeda veramente nel paradiso o all'inferno, non sanno la storia che si cela dietro ad ognuno di noi, guarda la storia di Lucifero, l'hanno completamente stravolta, pensa con quella di Dio cos'hanno fatto- sghignazzò Azrael.

-Comunque non gliel'ho mostrate, gli ho solo chiesto delle informazioni sulle ali degli angeli.

-Cosa ti ha detto?

-Mi ha detto che gli arcangeli sono gli angeli più importanti e che di conseguenza hanno le ali e le piume più grandi di tutti gli altri...

-Solo questo?

-No...

-Mel. Cos'altro ti ha detto? O forse dovrei chiederti quale domanda inappropriata hai fatto a quel pover uomo?! – disse inarcando le sopracciglia.

-Io gli ho solo chiesto se era possibile invocare un angelo tutto qua.

-Tutto qua? Sei per caso impazzita? Evocare un angelo è la cosa più imprudente che si possa fare, non tutti sono buoni e clementi come me e Vehuiah, ci sono anche degli angeli che odiano i terrestri, come Michele, lui odia il genere umano, considera tutti voi delle formichine sottosviluppate da collezionare e mettere nella sua personale teca di vetro.

-Ah, carino. Comunque direi che ne riparliamo in un altro momento- dissi guardando Evan, era appoggiato al muro della scuola, accanto alla porta d'entrata.

-Si, ci vediamo a ricreazione- mi diede una pacca sulla spalla e si diresse verso un gruppo di ragazzi, io più saggiamente entrai a scuola per non prendere la pioggia.

Andai al mio armadietto per prendere dei libri, consapevole della presenza che si trovava alle mie spalle, sapevo che non voleva parlarmi ma voleva proteggermi, quello è stato il suo intento fin da subito. Mi girai di scatto, lui non c'era, sentivo la sua presenza ma era come invisibile, mi girai di nuovo verso l'armadietto e me lo trovai inspiegabilmente davanti alla faccia. Sobbalzai per lo spavento ma non dissi nulla, lo scostai solamente per aprire l'armadietto e lui rimase lì, immobile, mi fissava, mi guardava come se fossi l'unica sua speranza rimasta, i suoi occhi brillavano, avevano cambiato colore dall'ultima volta che l'avevo visto, erano di un verde brillante, le sue pagliuzze erano svanite.

In classe, stranamente, Evan tornò a sedersi accanto a me, mi aveva evitata negli ultimi tempi ed ero felice del fatto che si stesse riavvicinando, forse era per via dell'imminente attacco di Michele di cui parlava Azrael.

Mentre ero intenta a risolvere l'algoritmo, Evan mi passò un bigliettino che mi rese perplessa, sopra c'era scritto "so tutto, più tardi verrò a casa tua", mi girai verso di lui per avere delle risposte ma la sua faccia era rivolta verso il quaderno e non aveva intenzione di alzarsi e guardarmi.

Sulla strada del ritorno incontrai Crystal, la mia vicina di casa, la salutai e mi affiancai a lei.

-Hey- mi salutò –Che si dice?

-Le solite cose- sorrisi.

-Stanno ancora tentando di ucciderti? – chiese sorpresa.

-Cosa? Oh, intendi per l'altra volta? – risi – No, cioè, non ancora.

-Hai una vita interessante- rise –la mia è noiosa.

-Cambiando discorso, non è che tu e tuo padre avreste voglia di venire da noi a cena questa sera? Mio pa- mi soffermai un secondo e riformulai la frase nella mia testa –Edmund vorrebbe fare la vostra conoscenza.

-Chiami sempre tuo padre con il suo nome?

-Lui non è mio padre.

-Ah...- emise imbarazzata.

Dopo un lungo silenzio imbarazzante, arrivammo davanti casa di Crystal, la salutai e camminai fino a casa mia. La giornata si era rischiarita, il sole si stava facendo largo tra le nuvole ma c'era comunque quell'aria fresca tipica del Maine che non voleva saperne d'andare via.

The light bringer || Lucifer #wattys2018#Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora