XIV

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Non avrebbe voluto dirmelo.

Evitava di guardarmi negli occhi e continuava a spostare nervosamente la mascella.

- Ah sì? Raccontami un po'. - Risposi con un finto tono interessato, poggiandomi alla mia scrivania.

Mi lanciò un'occhiataccia ed io attesi, sapendo perfettamente quanto in difficoltà lo stessi mettendo.

- Che cosa vuoi sapere? - Quasi ringhiò.

- La verità. Tutta. - Risposi con un ghigno.

Lui prese un respiro, si passò una mano sul viso e poi puntò i suoi occhi nei miei. - L'anno scorso ho conosciuto questa ragazza in un liceo. Ero andato a fare delle foto per l'annuario. Lei mi ha detto di avere diciannove anni, che era stata bocciata. Non mi sarei mai messo con lei se avessi saputo che fosse una diciassettenne. Ne avevo ventiquattro. -

- Come hai fatto a credere che avesse diciannove anni? Cioè, boh... Come diavolo hai potuto non capire che avesse inventato una storiella altrimenti non l'avresti nemmeno guardata? -

- Kat è una ragazza molto... Persuasiva. È una manipolatrice e se ha in testa un obbiettivo... Beh, lo ottiene. -

- E il suo obbiettivo eri tu. - Conclusi facendo il giro della scrivania per sedermi.

Gli feci un cenno per indicargli l'altra sedia e lui si accomodò senza esitare.

- Non esattamente. Il suo obbiettivo era fare la modella, voleva essere famosa. Sapeva che avrei potuto darle una mano per fare degli shooting, e così ho fatto. Quando ho scoperto tutto era già tardi, aveva firmato un contratto con un'agenzia di moda. Non l'ha presa bene quando l'ho lasciata. -

Aveva fatto di tutto per poter giungere dove voleva. Non gliene facevo una colpa.

- E tu potevi darle una mano per gli shooting ma non hai mai lavorato per nessun brand importante? -

Quella storia puzzava come il tessuto delle imitazioni cinesi di Calvin Klein.

- Mio... Mio padre è un importante avvocato a Seattle. Ha voluto a tutti i costi che seguissi le sue orme e quindi ho studiato giurisprudenza. Una volta ottenuta la laurea ho messo fine a quella messinscena. Non era ciò che volevo fare e lo sapevo. Anche mio padre lo sapeva, ma per lui il fotografo non è un mestiere. Non poteva accettare che fosse proprio suo figlio ad interrompere la tradizione e non essere un avvocato di prestigio, quindi me ne sono andato di casa. Come ti ho detto ho iniziato a lavorare nelle scuole e poi è successo tutto con Katrina. -

Non aveva risposto alla mia domanda, ma potevo intuire che, avendo venticinque anni, aveva iniziato a lavorare come fotografo solo da due circa una volta conseguita la laurea.

C'era un'ultima cosa che proprio non mi spiegavo.

- Triste. Adesso potresti spiegarmi dove mia madre ti abbia trovato? -

Attese qualche secondo prima di rispondere, soffermandosi sulla foto che rappresentava me e Will che tenevo sulla scrivania.

Era stata un suo regalo, ovvio.

- Ho seguito un corso di fotografia e... Era un corso che dava l'opportunità di arrivare direttamente in diverse città per vedere dal vivo il lavoro di vari fotografi reali, tra cui Edward Robbins. Io ovviamente sono stato mandato qui a New York da lui. La modella per le foto che ha fatto è stata tua madre, poi abbiamo fatto anche noi degli scatti di prova. Io e la signora Allen abbiamo parlato dopo la conferenza che c'è stata, mi ha chiesto un po' della mia vita. Due giorni dopo eravamo ancora qui e saremmo partiti quella sera stesso. Sei ore prima mi è stato comunicato che avevo un colloquio con la Allen, ed io ero nervosissimo. Non avevo mai lavorato per una casa di moda a livello internazionale, e non pensavo che fossero rimasti colpiti dai pochi scatti che avevo fatto. Eravamo almeno in quindici. Alla fine ho avuto la proposta di lavorare per la tua collezione e non potevo non accettare. -

Finalmente ogni cosa quadrava. L'unico problema al momento era quella Katrina Davis. Non per me, ovvio.

Dalla sua descrizione mi sembrava una persona ambiziosa. Ovviamente non avrebbero dovuto creare disguidi al mio lavoro.

- Okay. Quindi non vorresti che partecipasse a questo progetto. Peccato che ci sarà. - Feci spallucce.

Assottigliò gli occhi fissandomi, mentre io mantenni un sorrisetto strafottente sulle labbra.

- Sei insopportabile, Lexie Allen. -

Inarcai le sopracciglia perché non gli avevo dato tutta quella libertà nei miei confronti.

- Andiamo, sei una bambina. Posso chiamarti per nome, vero? -

Idiota.

- Senti, chiamami come diavolo vuoi, non m'importa. E comunque abbiamo solo sei anni di differenza, mica quaranta. - Incrociai le braccia sotto il seno, notando che il suo sguardo si fosse spostato esattamente lì.

- Scusami?! I miei occhi sono qui! - Sbottai indicando il mio viso con un dito.

- Se vuoi che le persone ti guardino negli occhi non vestirti in questo modo. Se fossi al posto del tuo ragazzo-

- Lexie! - La porta del mio ufficio si aprì rivelando Amber, che si avvicinò a passo svelto sbattendo i piedi per terra.

Si fermò a guardare il fotografo e poi puntò i suoi occhi su di me.

Avrei voluto ascoltare come avrebbe concluso quella frase, ma mia sorella sembrava davvero preoccupata, e lei era di gran lunga più importante per me.

- Vi lascio sole. Ci vediamo. - Con il suo sorrisetto odioso mi lanciò un ultimo sguardo prima di uscire.

- Cos'è successo? - Amber si sedette dove prima c'era il fotografo.

Dio, quanto avrei voluto conoscere la fine di quella frase. Cosa avrebbe fatto se fosse stato al posto del mio ragazzo?

Non sapevo neanche perché volessi saperlo. In ogni caso non sarebbe mai stato al suo posto e non avrei mai permesso a nessuno di dirmi cosa indossare.

I capelli di Amber erano raccolti in una treccia laterale ed i ciuffi che le ricadevano sul viso formavano una sorta di frangia.

- In che senso? - Domandai aggrottando le sopracciglia.

- Non lo so, vi guardavate come se... Non avrete mica fatto-

- Amber!!! Ma che diavolo dici?!!? - Sbottai.

Lei ridacchiò scuotendo la testa, poi alzò gli occhi al cielo e successivamente mi guardò con un sopracciglio inarcato. - Sul serio non ci hai mai pensato? Insomma... Davvero non ti capita mai di guardarlo e pensare a lui nudo... E i suoi addominali... O il suo-

- Basta!!! - La interruppi tappandomi le orecchie.

Quando lei smise di ridere incrociai le braccia sotto il seno ed aspettai che mi dicesse per quale motivo fosse lì.

- Okay. Non avresti dovuto lasciarmi andare con lui. -

Pensai subito che finalmente mia sorella di fosse data una mossa, che avesse smesso di trovare scuse.

- Hai tolto le ragnatele lì sotto? - Ghignai.

Amber, però, non rise. Mi guardò seria e dopo aver preso un respiro profondo rispose. - Penso che mi piaccia più di quanto voglia ammettere. -

COME AVREBBE CONTINUATO QUELLA FRASE DANIEL?
(che nessuno pensi a Christian Grey.)

Si accettano scommesse!😋

A presto!
gaia;

Revival (DA REVISIONARE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora