1.1

441 65 56
                                    

"Tutto quello di cui avevo bisogno era l'unica cosa che non riuscivo a trovare."

Dieci anni dopo.

Il vento leggero di marzo le scompigliava i corti capelli biondi spostandoglieli in piccoli ciuffi dietro le orecchie. I fiori di ciliegio, alle sue spalle, facevano da sfondo perfetto al disegno che Judith stava imprimendo su carta. Con la mano ben salda, tracciò il contorno leggero dello zigomo, per poi scendere alla mascella appena accennata. Di tanto in tanto la guardava e sorrideva, quando si accorgeva della smorfia ironica sulle sue labbra piene e rosee, ma non le imponeva di restare immobile. Sapeva che sua madre non aveva l'esatta predisposizione a star ferma, perciò cercava di fare il possibile affinché il disegno riuscisse al meglio, nonostante i movimenti del suo viso.

«Se ti facessi il solletico, adesso, mi picchieresti?»
Judith sollevò lo sguardo dal foglio ruvido, trattenendosi dallo scoppiare a ridere.
«Mamma!» la ammonì scherzosa, premendosi la cartellina vecchia di anni sulle ginocchia, piegate davanti a lei.
Mancava poco al termine del ritratto, tracciò le ultime linee e le ombre sotto il naso e il mento e richiuse la cartella, annodando il laccio di cuoio.
«Posso vederlo?» le chiese sua madre, sgranchendosi le gambe e allungando un braccio.
«Ah-ah.» Judith scosse la testa, sottraendo la cartella con i disegni alla sua presa. «Non lo vedrai fino a quando non sarò sicura di aver reso giustizia alla tua bellezza anche sulla carta.»
La donna rimase interdetta appena un istante, poi sorrise, chinandosi per abbracciarla.
«Non dire sciocchezze, tesoro... »
«Non sono sciocchezze, mamma» la interruppe lei dolcemente. «Sei la donna più bella del mondo.»
E lo era davvero, ai suoi occhi non esisteva creatura più bella e gentile; forse esistevano donne come lei, ma sua figlia le considerava solo delle pallide imitazioni.

Judith sentì qualcosa di umido espandersi sulla spalla e comprese che sua madre aveva cominciato a piangere. Strinse le labbra, ricambiando l'abbraccio e affondando il volto nei suoi capelli disordinati, mentre la luce tenue del tramonto si diffondeva lungo il frutteto. Non sapeva cosa aspettarsi, non riusciva ancora a credere di star vivendo gli ultimi momenti in compagnia di sua madre. Tre mesi, aveva detto il medico, tre mesi e poi tutto sarebbe finito. Se ne sarebbe andata, non sarebbe tornata. Il pensiero minacciò di farla scoppiare in lacrime, sebbene si fosse ripromessa più volte di non cedere al dolore.

«Judi» sussurrò sua madre, accarezzandole i capelli corvini, molto più lunghi e diversi dai propri. «Devi promettermi che non piangerai, nemmeno una volta. Mi hai sentito? Devi promettermelo.»

Judith si scostò da lei il giusto necessario per guardarla negli occhi, anch'essi così diversi: erano di un azzurro scuro, intenso, pari a quello del fondo di un oceano, mentre i suoi erano più insignificanti, del colore dell'ambra, o del miele.

«Te lo prometto» rispose, annuendo come per convincersene, ma non era certa che avrebbe onorato quella promessa. Non poteva dirglielo, non doveva. Se avesse saputo quanto dolore la stesse logorando internamente e quante lacrime era sicura avrebbe versato, gli ultimi attimi della sua vita sarebbero stati travagliati dalla preoccupazione. E non era questo che sua figlia voleva.

Lei sorrise, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e scosse la testa, alzandosi. Judith la imitò, la cartella stretta tra le braccia.
«È uno dei tramonti più belli che abbia mai visto» commentò, ammirando l'orizzonte. «Non trovi?»
Sua madre annuì, sorridendo dolcemente.

«Rientriamo, è quasi ora di cena.»

Percorsero insieme il giardino, mentre i primi fiori di ciliegio cominciavano a cadere. Judith ne vide uno impigliarsi tra le ciocche bionde della madre, che camminava davanti a lei. Non glielo disse, ma si impresse nella memoria quell'immagine, l'immagine di lei, dal portamento fiero ed elegante, nonostante la malattia, dei suoi capelli che sapeva essere morbidi e vellutati, e di quel fiorellino screziato di bianco e di rosa, che le donava un tratto principesco.

Decise che avrebbe aggiunto quel dettaglio al suo ritratto, una volta rientrata in casa, e che l'avrebbe ricordata così: una principessa in un campo di ciliegi, magnifica e coraggiosa.

Sua madre era sempre stata una combattente, fin da quando aveva memoria. Judith era sicura che avrebbe vinto anche quella battaglia, sapeva che non si sarebbe sottomessa e che avrebbe sfruttato al massimo quei mesi che le rimanevano. Quando il momento fosse giunto, pensò mentre il vento le spostava una ciocca di capelli davanti agli occhi, avrebbe indossato la sua armatura migliore e avrebbe affrontato la morte a testa alta.

Non sapeva, quella ragazza di appena vent'anni, che qualcosa sarebbe andato storto.
Presto le nubi avrebbero preso il sopravvento sul sole, e sarebbe accaduto all'improvviso, senza che Judith riuscisse a prevederlo.

Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora