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Quando il campanello suonò, una decina di minuti dopo, Judith sapeva con certezza di chi si trattava. Strinse la mano di Jenna in segno di rassicurazione per poi dirigersi alla porta e aprirla, lasciando entrare Dave. Indossava un cappotto lungo beige, e una sciarpa leggera intorno al collo nera; gli occhiali erano appannati perciò, dopo averle rivolto un sorriso di saluto, il ragazzo se li sfilò per pulirli con la manica del cappotto. Come sempre capitava, la vista di lui aggiunse un pizzico di felicità al cuore di Judith.

«Entra.»
Judith richiuse la porta alle sue spalle, mentre il ragazzo salutava Jenna con un cenno della mano ed un sorriso cordiale.
«Ciao, Dave! Sono contenta che sia tornato a farci visita. Ti andrebbe una tazza di tè? »
Lui declinò l'invito con un gesto cortese della testa.

Mentre sorrideva, Dave notò come le spalle della donna fossero incurvate verso l'interno e quanto il suo volto, nonostante all'apparenza fresco come doveva esserlo stato un tempo, fosse stanco e sciupato. Si ricordò della sua malattia, quella di cui gli aveva parlato Judith, e non poté fare a meno di avvicinarsi e chinarsi in quello che alle due donne parve, in un primo momento, un abbraccio, ma che in realtà si rivelò essere un timido bacio sul dorso della sua mano.

A quel contatto, gli occhi di Jenna si allargarono, mossi da una commozione profonda. Judith riconobbe le lacrime di sua madre prima ancora che scendessero lungo le guance e, quando accadde, afferrò il braccio di Dave tirandolo lievemente verso di lei.

«Dave» lo chiamò, sollevandosi sulle punte dei piedi e sussurrandoglielo all'orecchio. «Andiamo di sopra. »
Dave parve riscuotersi dai suoi pensieri e distolse lo sguardo dal volto di Jenna, che si stava già passando una mano sulla pelle per mandare via le lacrime.
«Sei un così dolce ragazzo... »

Lui fu incapace di proferire un'altra parola; tutto ciò che fece, in risposta a quell'affermazione, fu regalarle un altro piccolo sorriso.
Poi seguì Judith al piano superiore, percorrendo una corta rampa di scale di legno. Judith lo teneva per mano, stringendo appena, e lui non poteva chiedere di meglio del calore che scaturiva dalle loro dita intrecciate. Un calore che, naturalmente, ancora non si spiegava.

La camera di Judith era una stanzetta piccola, come quelle delle case delle bambole, con un letto singolo, una cassapanca ai piedi, ricoperta da un tessuto ricamato, un armadio di legno e una finestra che dava direttamente sul giardino frontale della villetta.

Era accogliente a primo impatto ma, quando Judith richiuse la porta alle loro spalle e indicò a terra, dalla sponda opposta del letto che non era subito visibile a chi entrasse, Dave avvertì un brivido corrergli lungo la schiena.

Non si era aspettato uno spettacolo del genere: vide con orrore i dipinti squarciati, notò che i tagli erano più netti e realizzati ripetutamente in corrispondenza dei soggetti sulla tela. Si inginocchiò sul pavimento, afferrandone uno e sollevandolo alla luce, in modo da poterlo scrutare meglio.

Tutto ciò che rimaneva del disegno era una zazzera incorporea di capelli biondi. Il viso, al di sotto, risultava irriconoscibile, così come il paesaggio intorno, il cielo, il nome di Judith, in basso a destra. Si voltò verso la ragazza, la cui espressione era tornata seria e addolorata, e si alzò, appoggiando il disegno sul letto.

«È... »
«Proprio così » confermò Judith con un sospiro, lasciandosi cadere sopra la branda. «È mia madre.» Non è così terribile come credi, piccola stupida.
«Merda. »
Dave le sedette accanto, fissandola con sguardo determinato.
«Credo sia un avvertimento. »
«Lo so, Dave. Solo, non capisco perché rovinare in quel modo il volto di mia madre. Pensi ancora che chiamare la polizia sia una cattiva idea? »
Dave meditò in silenzio, scuotendo la testa.
Poi, sospirando, riprese in mano il dipinto.
«Chiunque abbia fatto questo, ha il solo scopo di spaventarci. Non penso farà qualcosa di concreto se noi due decidiamo di separarci. »

La bocca di Judith si spalancò appena; gli occhi si incupirono.
«Quindi tu... tu pensi che la soluzione giusta sia dividerci. »
Fu più un'affermazione che una domanda. Ancora una volta, come era capitato pochi giorni prima, il pensiero che Dave volesse allontanarsi da lei le provocò una fitta allo stomaco, scaturita dalla consapevolezza che lui, nonostante il legame che era certa anche Dave percepisse, non provava affetto vero. Al contrario di lei. Dopo quello che era successo, Judith aveva sperato che anche lui sentisse il bisogno di avere qualcuno accanto con cui sfogarsi e confidarsi, ma la realtà dei fatti fu ben chiara quando il ragazzo pronunciò quelle parole.

«Ecco, io... » tentennò, grattandosi il collo. Lei lo osservò, sotto le ciglia folte, scrutandosi nel riflesso dei suoi occhiali e cercando di scorgere i suoi occhi verdi sul retro delle lenti. Provò a leggere la verità in quello sguardo, come gli era sempre risultato semplice con tutti, ma con lui, con la persona che inspiegabilmente sentiva più vicina di qualunque altra, non ci riuscì.
«Penso solo che non sia giusto mettere te e la tua famiglia in pericolo, Judith.»
Lei si lasciò sfuggire una smorfia, poi scosse la testa.
«Mai sentita scusa più idiota. Se non volevi più saperne niente di me, bastava che fossi chiaro fin dall'inizio» replicò in tono tagliente. «Ma probabilmente sono io la stupida che si è affezionata troppo.» La cosa assentì, quasi scocciata.
«No, Judith, no... »

Dave afferrò la sua mano, trascinandola sul petto, in direzione del cuore.
«Tu mi sei entrata dentro. Sei qui, proprio qui. Sei diventata il centro fisso di ogni mio pensiero, e io non so proprio come sia stato possibile. Ed è per questo, perché non riuscirei a sopportare l'idea che tu possa farti del male e che tua madre o tuo padre possano essere feriti, che preferisco allontanarmi da te. Se servirà a farvi restare al sicuro, lo farò. Non mi importa delle conseguenze. Lo capisci? »

Lo sguardo di lei era diventato lucido. Dave vide il color miele dei suoi occhi diventare più vivido, più intenso, mentre sentiva il proprio cuore battere incessantemente nel petto.
Era sicuro che anche Judith lo stesse udendo, con la mano premuta esattamente sopra di esso, e desiderò ardentemente che dicesse qualcosa, qualunque cosa. Ma lei rimaneva in silenzio, fissandolo con intensità e ansimando appena.

«Judith? »
La mano di lei tremò, stretta nella sua. Poi aprì la bocca per dire qualcosa, ma, in quel momento, il telefono di Dave squillò. Quel suono indusse Judith a richiudere la bocca, mentre Dave sospirava amareggiato ed estraeva il cellulare dalla tasca del cappotto.

«È Christopher» sussurrò, prima di accettare la chiamata.
«Chris, che succede? »
«Devi venire qui» la voce di Christopher era tesa, nervosa. «Subito.»
«Che cosa è successo? »
Nessuna risposta.
«Chris? Rispondi. »
La frequenza cominciò a vacillare, e ora la voce del fratello risultò spezzata, metallica. Judith cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore, scrutandolo confusa.
«Il tuo quaderno, Dave» ripeté la voce di Christopher, sempre più lontana.
«Devi venire qui. Adesso


Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora