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La cena si era rivelata un successo. Era stata apprezzata da tutti e ognuno aveva elogiato le ottime doti culinarie di Judith. Lei, come sempre, aveva gradito in particolare gli apprezzamenti di sua madre che le aveva rivolto un sorriso così radioso da scaldarle il cuore. Non sorrideva in quel modo da svariato tempo e Judith aveva immaginato che quella reazione fosse dovuta alla visita inaspettata di quei ragazzi. Da troppo tempo qualcuno non andava a trovarli e Jenna si era ritrovata immersa nelle conversazioni con sua figlia che certo, adorava, ma non completavano a dovere la sua vita.

A tavola si era parlato del più e del meno. Dave aveva raccontato anche a lei del suo romanzo, di come si fossero trasferiti accanto a loro tanti anni prima e di come fossero stati costretti a tornare indietro subito dopo. Christopher non era stato molto loquace, soprattutto perché si era sentito addosso per tutto il tempo lo sguardo indagatore di John Wilson, il padre di Judith che era tornato a casa poco prima del tramonto. Non aveva fatto domande. Aveva visto sua moglie sorridere e i dubbi che dapprima si erano affollati nella sua mente alla fine si erano dissipati, ma aveva tenuto d'occhio entrambi i ragazzi e continuava a farlo adesso, seduti in poltrona.

Passava lo sguardo da Judith, intenta e concentrata sulle pagine di un vecchio quaderno, a sua moglie, quasi completamente assopita sul divano. Christopher sedeva di fronte a lui, con le ginocchia allargate e i gomiti poggiati sopra osservandolo in silenzio. Forse attendeva che dicesse qualcosa, ma tutto quello che John disse fu: «È una bella serata.»
Il ragazzo fu colto alla sprovvista da quelle parole, pronunciate con totale tranquillità e si domandò che razza di persona fosse una che non li aveva ancora buttati fuori di casa.
Annuì, quasi impercettibilmente. Dalla finestra traspariva un panorama colorato di un blu scuro, ombreggiato dalla presenza di qualche nuvola. Non c'erano stelle. Christopher non sapeva quali sarebbero stati i piani futuri di suo fratello.

Ogni tanto lo guardava, lo vedeva chinato a tracciare con il dito le righe di qualche pagina del suo libro e notava quanto anche Judith fosse catturata dalle sue spiegazioni. In quel momento pensò che forse aveva sbagliato a giudicare spazzatura quel romanzo; valeva molto più di quanto avesse immaginato in precedenza e lo capiva solo ora. A valere molto più di quanto non sembrasse era soprattutto suo fratello e Christopher, compiacendosi con lui nella propria mente, lo sapeva.

Dalla parte opposta della sala, accavallando le gambe, Judith si lasciò andare a un'esclamazione di sorpresa. «Non posso crederci... » guardò Dave con aria interrogativa.
«La ragazzina contò tre passi e poi si voltò verso il tronco dell'albero, assumendo un'espressione contorta», lesse a bassa voce, «"in guardia!" Esclamò allungando il braccio destro come se stesse sollevando una spada invisibile. Non hai speranze.»
Judith tornò a posare lo sguardo sul ragazzo, incredula. «Era esattamente quello che facevo da bambina» sussurrò trattenendo il respiro. «Sei per caso un indovino o una specie di stregone? »
Dave le sorrise, afferrando la pagina che lei stava custodendo tra le mani e in quel momento, senza averlo programmato, le sfiorò le dita. Non ci fu un altro contatto se non quel gesto delicato, effimero, destinato a perdurare nel tempo ma che in quel momento lo indusse a ritrarsi.
«Scusami» disse porgendole di nuovo il quaderno. Non si accorse dello sguardo intenso di Judith, né del fatto che lei fosse sul punto di dire qualcosa, qualcosa che, inevitabilmente, ricacciò indietro, trainata dalla cosa.
Scuotendo la testa girò la pagina e proseguì nella lettura.

«L'albero, naturalmente, non l'ebbe vinta. La ragazzina sorrise compiaciuta, poi ritirò la spada invisibile nel fodero altrettanto invisibile e chinò la testa in segno di congedo. »
Leggendo quelle parole Judith non poté fare a meno di sorridere. Dave aveva un dono, quello di riuscire a trasferire sulla carta anche il più piccolo dettaglio, donandogli anche qualche tratto ironico e la lettura era così scorrevole che avrebbe voluto non finisse mai. In quel momento si accorse che lui aveva sempre indicato la protagonista con l'appellativo di ragazzina e gli domandò il motivo.

«Semplicemente perché non sapevo quale fosse il nome adatto», rispose lui stringendosi nelle spalle. «Ho sempre pensato che tutti i nomi non andassero bene perché non rispecchiavano la sua personalità e i suoi modi di fare, ma ora credo proprio di aver trovato il nome perfetto.» Le ammiccò dal retro dei suoi occhiali squadrati e lei non riuscì a trattenersi dall'arrossire.
«Judith» pronunciò Dave sollevando le mani e disegnando il nome su un foglio invisibile nell'aria. «È davvero perfetto.»
Lei seguì il movimento delle sue dita lunghe e affusolate e pensò che fosse il ragazzo più spontaneo e il più dolce che avesse avuto occasione di conoscere. Era impossibile non sorridere se si guardavano le fossette che gli spuntavano sulle guance quando anche lui si perdeva dietro a un sorriso, o quando pronunciava il suo nome in modo così inconsapevolmente sensuale.

Fu una delle prime volte in tutta la sua vita in cui si sentì davvero apprezzata. Non riusciva a spiegarselo, era totalmente illogico che qualcuno conosciuto solo qualche ora prima la facesse sentire in quel modo, eppure Judith non disdegnava quella situazione. Al contrario, ne era affascinata. Da quando aveva scoperto della malattia che aveva colpito Jenna i giorni erano trascorsi nella tristezza e nella monotonia di pomeriggi grigi e vuoti, dove solo il dolore aveva spazio. Quel giorno, invece, qualcosa era cambiato. Una nuova luce si era infiltrata nel buio della sofferenza e lei gliene era infinitamente riconoscente.

Forse, pensò mentre Dave la guardava con dolcezza, gliene sarebbe stata grata in eterno. Ma la cosa non era d'accordo, o forse lo era, con la cosa non si poteva mai sapere.




Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora