21.

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«Se esiste qualcosa di peggio di queste patatine, fatemi un fischio. Che schifo.»
«Saranno vecchie di giorni. Però è l'unica cosa che possiamo permetterci.»
Judith li ascoltava distrattamente, seduta a gambe incrociate sul ciglio della strada. Era una superstrada, l'interstatale 95, quella che, dalla Virginia, conduceva nel Maryland. Un altro stato. Forse, una nuova vita. Judith ci sperava con tutta se stessa, eppure sentiva qualcosa di strano nell'aria, un sapore rancido e ferroso che, invece che nella bocca, le scorreva nel naso. Per la terza volta si ritrovò a domandarsi se fosse possibile sentire un sapore all'interno del proprio naso, e per la terza volta alla sua domanda non giunse alcuna risposta.
I brividi avevano avviluppato ogni suo muscolo, inibendo perfino i movimenti; solo lo sguardo era ancora vigile e attento, come quello di un predatore pronto a catturare la sua preda.
Passava in rassegna le auto che sfrecciavano senza sosta, sotto quel timido sole di aprile, dirette verso mete lontane ed ignote. Dirette dai familiari, forse, da qualche parente. Da una madre. O un padre.

La nausea, di cui era stata vittima per i precendenti due giorni e che non si era mai placata, le serrò lo stomaco con un colpo violento. Arrivò alla gola e poi in bocca, ma non c'era niente da fare; lei non avrebbe rigettato nulla, anche se avrebbe voluto liberarsi di quel macigno, perché da due giorni non toccava cibo. Da due giorni, il suo unico pensiero convergeva lì, in un buco nero che pareva voler risucchiare tutto.
Vedeva la testa penzolante di Jenna, la zazzera di corti capelli biondi che le ricadeva sopra agli occhi, e poi il sangue che si allargava sulla camicetta a fiori. Vedeva suo padre, suo padre senza più una gamba, suo padre che le aveva dato una pistola e poi aveva chiuso gli occhi.
Riviveva quella notte con la crudezza del presente, vedeva i suoi genitori con gli occhi del cuore, privi di una razionalità, e ogni volta qualcosa in lei moriva un po' di più. Chi aveva potuto, chi aveva osato?
Perché?
Perché qualcuno era stato tanto crudele da togliere la vita a due persone innocenti? E perché qualcuno aveva distrutto i suoi dipinti? Perché quella pagina strappata era stata ricucita nel quaderno di Dave?
Il quaderno. Judith pensò a quel giorno, quando le ombre avevano oscurato il sole, quando era cominciato tutto. Erano trascorse poche settimane, eppure il ricordo era ancora vivido e tremendo, come se lo stesse vivendo in quel preciso istante.
Qualcuno aveva intenzionalmente strappato la vita ai suoi genitori, e forse era lo stesso qualcuno che aveva minacciato lei e Dave di conseguenze terribili, per tenerli lontani. Quello che Judith non capiva era il motivo. Ogni giorno che passava avvertiva il filo invisibile che la teneva unita a Dave ispessirsi e rafforzarsi; però c'era stato un momento, avvenuto solo alcuni giorni prima, nel quale lei aveva sentito qualcosa sgretolarsi. Nel suo stato di trance, come le aveva raccontato Christopher, aveva ferito Dave, come se non avesse tollerato la sua presenza nel frangente in cui era stata sul punto di perdere la testa. E il senso di colpa, la disperazione, al pensiero che avesse potuto fare una cosa simile a lui, la stavano soverchiando. Inesorabilmente e letali.

Solo quando un'auto le sfrecciò tanto vicino alle ginocchia da rischiare di sfregiarle, Judith ritornò alla realtà e si rese conto che stava piangendo. Avvertì la presenza di qualcuno alle sue spalle, e poi due gambe robuste si abbassarono e si sedettero accanto a lei, il movimento accompagnato da un sospiro.
«Non dovresti stare qui»  sussurrò Dave, guardandola con intensità. «È pericoloso.»
Lei scosse la testa, la voltò dalla parte opposta e spazzò via il velo di lacrime con il dorso della mano sinistra.
«Non importa» rispose solo, inspirando l'aria tiepida, l'esatto contrario di quella che aveva respirato nella sua vecchia vita, a Richmond.
La mano di Dave afferrò la sua, con più vigore di quanto lei si sarebbe mai aspettata.
Judith fece scattare la testa verso di lui e prese a fissarlo disperata. Cominciò a sentire la bocca arida, secca, mentre un'emicrania, da principio solo fastidiosa, le avviluppava il cranio.
«Tu sei forte, Judith.»
Gli occhi di Dave parvero imprimersi nei suoi con la perizia di un abile scultore.
«E la tua forza, questo grande coraggio che hai dentro di te, devono essere sfruttati. Non puoi permettere che ti sovrastino, fino ad annullare tutto ciò che sei. Devi usarli a tuo vantaggio. Devi usarli per vincere il tuo dolore, per combattere le lacrime e la sofferenza che ti porti nel cuore. Devi usarli, Judith, o ti uccideranno. »
Le labbra di Judith si serrarono in una linea dura.
«Credi che io voglia tutto questo, Dave?»
Il tono di voce era piatto come il mare più calmo del mondo. Nessuna emozione, nessuna intensità.
«Credi che non preferirei non provare questo maledetto dolore? Credi che se potessi tenere i miei ricordi nel cassetto della mia memoria e chiuderlo con un lucchetto, non lo avrei già fatto? Ma non posso, Dave, perché non ci riesco. Ovunque guardi rivedo il viso di mia madre, rivedo i suoi occhi senza più luce e rivedo quel maledetto sangue. Lo vedo sulla sua camicia, sulle mie mani, lo vedo dappertutto. E vedo quello di mio padre, mio padre a cui hanno staccato una gamba! Hai idea di che cosa provi, Dave? Di che cosa senta dentro di me, della rabbia che provo e della nostalgia che mi taglia la pelle, pezzo dopo pezzo?»
Fu uno sproloquio che parve non avere mai fine. Le parole si susseguirono lentamente e quasi sussurrate, come se tutta la vitalità di quella ragazza che lui amava fosse stata sostituita da una debolezza raccapricciante. Fu la cosa più terribile a cui lui avesse mai assistito: vide la sua schiena ingobbita, lo sguardo rivolto verso il basso, gli occhi lucidi e scorse l'aridità aleggiare sulle sue labbra.

 Dave la guardò come se non la riconoscesse. In un'altra occasione, Judith sarebbe arrivata a gridare, pur di difendersi dalle sue parole, che sapeva essere più veritiere di qualunque altra cosa. Perché quando si trovava di fronte alla realtà, lei faceva così: innalzava quello scudo che per tutta la vita aveva celato dentro di sé, lo innalzava al punto che avrebbe potuto grattare il cielo e non lasciava entrare la verità.
Ma quella volta non fu così.
Dave si ritrovò a fissarla scrupolosamente, cercando di estirpare con lo sguardo almeno parte del dolore che la logorava centimetro dopo centimetro, ma a nulla valsero i suoi tentativi.
Il volto di Judith rimase pressoché impassibile, come scolpito nella pietra; l'unico movimento percettibile fu il tremore delle sue labbra. Segno inequivocabile che, entro pochi istanti, sarebbe scoppiata di nuovo in lacrime.

«Judith, io non so che cosa provi, ma posso immaginarlo. Anche io ho perso mio padre e... »
«Ragazzi!»
La voce possente di Christopher vibrò nell'aria di quella mattinata, infrangendosi contro le orecchie di Dave come un'onda contro uno scoglio.
Judith non diede segno di averlo sentito.
E quando Christopher li raggiunse, appoggiando una mano sulla spalla del fratello e lanciando un'occhiata perplessa alla ragazza, gli occhi di lei si chiusero. La testa venne rovesciata all'indietro da una forza invisibile, le labbra vennero scosse da un fremito ancora più forte.
Un'altra macchina sfrecciò sull'asfalto a poca distanza da loro e ciò diede l'impulso a Dave di afferrare Judith per le spalle e trascinarla indietro, facendola appoggiare contro la portiera della loro BMW.

«Judith.»
Fu Christopher a chiamare il suo nome.
«Judith, stai bene?»
Ma Judith non rispose.
No. Non stava bene. Ma loro non potevano saperlo.
Fu come essere sdoppiata: vide se stessa correre in mezzo alla strada, nuda davanti a tutti, zigzagando tra le file di auto, guidate da conducenti che imprecavano rumorosamente contro di lei e contro un camion che bloccava il traffico.

"Guardatemi!"
La voce di Judith uscì in un rantolo spasmodico, pieno di rabbia e disperazione.
"Aiutatemi! C'è un uomo, laggiù, è ferito, no, è morto! È entrato dentro di me e mi ha aperto il cuore, e poi gli hanno sparato... lei gli ha sparato e ha sparato a me, però sono viva, sono qui e io non capisco come sia possibile...
Dovete chiamare un ospedale! E la polizia! Quella donna è un'assassina! Mi ha ucciso!" E questa...
Questa è la mia anima che parla.

Sono morta.
Il mio nome è Judith. No, era, Judith. Lei mi ha ucciso. Ha ucciso lui. Ha ucciso tutti. Deve pagare.
Ma se sono morta, perché riesco ancora a respirare? A pensare?
Da una delle auto in fila uscì una bambina.
Era piccola, doveva avere al massimo una decina d'anni. Portava una coda di cavallo spettinata, sotto al braccio teneva un pallone, e indossava una salopette vecchia e consunta.  Prese a fissarla con un paio di occhi verdi come la giada, poi scosse la testa e un sorriso amaro le affiorò sulle labbra.
"Chi sei?" le chiese Judith allungando un braccio e sfiorandole una guancia.
"Perché sei qui?"
"Levati di mezzo!" sentì qualcuno gridare.
Era un uomo di mezza età, o giù di lì, e le faceva segno di spostarsi agitando la grossa mano. Judith inspirò l'aria improvvisamente divenuta fredda.
Avvertì il gelo di una lama lungo la pelle liscia del collo e, mentre il panico stringeva i suoi polmoni in una morsa famelica, rivolse uno sguardo stanco alla bambina di fronte a lei. Che, lentamente, lasciò andare la palla. E cominciò a crescere, a sollevarsi sulle punte dei piedi; i capelli si sciolsero e si allungarono, mentre il suo corpo prendeva le sembianze di quello di una donna.  Poi alzò lo sguardo e si impresse a fuoco nei suoi occhi, e Judith vide se stessa come se si stesse guardando allo specchio.
"Sono te" disse quella che non era più una bambina.
"Sono te e tu stai morendo. Solo che ancora non lo sai. La vedi, Judith? Quella lama. Quella sarà la causa della tua morte. E tu glielo stai lasciando fare. Non lo vedi? Sei debole. E morirai perché sei debole."
Debole.
Sono debole.
No.
Non lo sono.
"No!"  gridò, sottraendosi al bacio di quel coltello. Agguantò la lama e la strinse nel palmo, senza curarsi di ferirsi.
"Sarò io ad uccidere te."
La Judith dello specchio annuì, soddisfatta.
E, nel mondo reale, quello dove la vera Judith era vittima di allucinanti convulsioni, quello che venne ferito, ancora una volta, fu Dave.

Quando Judith riacquistò la lucidità, con un urlo che le tolse ogni traccia di fiato dai polmoni, afferrò il viso di Dave e gli artigliò gli occhi.
Premette.
A fondo.
E un attimo prima che si trovasse sul punto di staccargli via le orbite, la mano di Christopher le agguantò il collo, intimandole di fermarsi.
«Non posso» gemette, schiudendo le labbra sui denti in una smorfia di dolore e spropositata concentrazione.
«Non ci riesco! Christopher... Christopher, fermami. Ti prego. Ti prego, ferm-mami... »
E lui lo fece.
Teso.
Nervoso.
Ma determinato.
Uno schiaffo violento che la mandò a terra, distesa, priva di sensi.

Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora