Dall'esterno si udiva il fruscio di un vento leggero che batteva contro l'imposta abbassata e, da sopra il comodino, le lancette dell'orologio scandivano ogni minuto che passava con un martellante ticchettio. Dave osservava il soffitto, avvolto nell'oscurità, con le mani dietro la nuca. Il russare lieve di Christopher gli aveva impedito di prendere sonno e ora l'unica compagnia che gli rimaneva era il ricordo della voce di Judith. Così calda, morbida. Però così stridula. Cos'era, che la rendeva talmente dolce e a tratti fastidiosa?Ricordò anche la delusione che era trapelata dalle sue parole, quando si erano congedati e il tremore del suo sguardo quando lo aveva guardato per quella che lei credeva l'ultima volta. Si rincuorò, però, immaginando il sollievo che Judith doveva aver provato leggendo il biglietto che le aveva lasciato e sperò fosse eccitata quanto lui per l'incontro che sarebbe avvenuto l'indomani.
Dave era felice, per la prima volta dopo tanto tempo. Lo era davvero, senza dover fingere nulla, come aveva fatto per i primi vent'anni della sua vita. Era sempre stato introverso, un ragazzo strano, a detta dei suoi compagni e coetanei, nessuno lo aveva mai capito realmente.
Tutti si erano sempre limitati a gettargli occhiate strane per via del suo aspetto da nerd, anche se gli apprezzamenti da parte delle ragazze c'erano sempre stati, soprattutto nell'ultimo periodo del liceo, ma nessuna di loro si era mai addentrata nella sua vera essenza.Nessuna lo aveva mai compreso. Nessuna, eccetto Judith. Aveva visto quegli occhi di una tonalità più scura del sole avvinghiarsi ai propri, Judith si era calata oltre l'apparenza e lo aveva fatto sentire vivo, compreso. Judith era diversa, l'aveva sempre saputo, ma non avrebbe mai immaginato che conoscerla gli avrebbe provocato quel brivido di eccitazione e felicità. Si era fatta strada nel suo cuore e ora, mentre respirava il buio di quella stanza d'albergo, Jason seppe con certezza che non lo avrebbe mai abbandonato.
Pensare a lei gli suscitò un'ondata di calore al basso ventre, che si diramò fino alla radice dei capelli. Judith, Judith, Judith. Quel nome rimbombò nella sua testa come un'eco che avrebbe voluto non finisse mai. Quel nome, lentamente, si incise nel suo cuore e ci rimase incastonato.
Sentì Christopher mugugnare qualcosa nel sonno e rigirarsi nel piccolo letto, di dimensioni troppo ridotte a confronto della sua possente corporatura, e sospirò. Al contrario, il letto che era stato assegnato a lui si adeguava perfettamente alle sue esigenze. Il profumo delle lenzuola pulite lo faceva sentire a casa, e non era una cosa che aveva creduto possibile. Negli innumerevoli viaggi che aveva intrapreso, tutte le stanze d'albergo gli erano sembrate sporche, prive d'accoglienza.
Quella, invece, era l'opposto.Girò la testa e afferrò il cellulare, sottraendolo alla superficie del comodino. Quando sbloccò il display lo schermò si illuminò. 2:36. Un orario decisamente consono al suo solito, dal momento che, molto spesso, rimaneva sveglio a stendere i suoi capitoli anche fino all'alba. Lo avrebbe fatto anche quella notte, era più vigile che mai, e aveva materiale sufficiente almeno per un altro capitolo.
Gettò le gambe fuori dal letto e, stando attento a non fare troppo rumore, aprì il cassetto dove aveva riposto il suo quaderno. Controllando alle sue spalle che Christopher non si fosse svegliato, prese la penna e aprì il quaderno all'ultima pagina che aveva lasciato in sospeso.
Appoggiando il cellulare contro un soprammobile sopra il comodino, in modo da fare un minimo di luce, cominciò a scrivere.'L'avevo trovata, finalmente, e ora mi perdevo ad osservare i suoi occhi, così dannatamente belli, quasi surreali. Judith, si chiamava. E aveva gli occhi e il sorriso più luminosi che avessi mai visto...Ma poi qualcosa, in quegli occhi, era mutato, e quegli occhi, d'un tratto, mi avevano fatto paura.
***
Judith aveva dormito pochissimo, quella notte, presa dall'agitazione per l'imminente appuntamento con Dave e ora si ritrovava davanti allo specchio, guardandosi in continuazione e trovando ogni volta qualcosa che non le piaceva. Osservò i suoi insulsi capelli neri, più neri dell'inchiostro, e desiderò nasconderli completamente.
Forse con l'aiuto di un cappello, meditò, ma poi rivalutò la decisione: in fondo Dave l'aveva già vista nel suo aspetto più disordinato, cercare di cambiarlo non sarebbe valso a nulla.Eppure c'era qualcosa, nelle sue occhiaie perennemente scavate e nel pallore del suo viso che nascondeva a stento quelle efelidi che tanto detestava, che demoliva il suo umore più del solito.
Cercare di far colpo su Dave non aveva senso. Lei apparteneva alla cosa, anche se Judith non lo sapeva. Quell'incontro sarebbe stato come quello fra due amici, o semplici conoscenti, ma sarebbe servito a entrambi per scoprire qualcosa di più dell'uno e dell'altro.Judith aveva infilato un paio di mocassini scuri, indossato un semplice jeans spento attillato e una maglietta blu a maniche corte, sopra la quale infilò poi una giacchetta dello stesso colore del jeans. Era un abbigliamento semplice, ordinario, completamente adatto al suo carattere.
I suoi gusti in fatto di abiti erano cambiati approssimativamente da quando era bambina: amava indossare jeans e t-shirt, ma aveva smesso di scegliere quelle da maschiaccio per non sembrare ancora più strana di quanto già non apparisse agli occhi degli altri.
Sbuffando, intrecciò i capelli in una lunga treccia laterale che le ricadde morbidamente sul lato sinistro del petto. L'unica caratteristica che le aggradasse dei propri capelli era la loro consistenza: morbida e setosa, come quelli delle bambole di porcellana che sua madre amava collezionare.
Non resisteva più.
Non poteva restare in casa.
Nonostante avesse cominciato a intuire il motivo di quella frenetica ansia per l'incontro con Dave, il suo cervello non era disposto ad ammetterlo.Si era sempre tenuta alla larga dalle situazioni sentimentali e l'unico bacio che aveva ricevuto era stato in seconda superiore, alla festa di Megan Robertson, allora la sua migliore amica. Era avvenuto per errore, strappatole da un ragazzo ubriaco che non aveva mai visto. Si era sentita una sciocca, scialba ragazzina in preda agli ormoni e si era maledetta tante volte per aver mandato all'aria il suo primo bacio. Da allora si era sempre tenuta in disparte, aveva sempre disdegnato le attenzioni del genere maschile e, così facendo, si era guadagnata l'appellativo di 'intoccabile': ogni volta che qualcuno tentava un approccio con lei, Judith sfoderava gli artigli, meccanicamente. Un circolo vizioso che si era ripetetuto nello stesso identico modo, per i precedenti quattro anni.
Poi il liceo era finito, aveva trascorso un paio d'anni rinchiusa in casa e... ed era arrivato Jason. Il primo, forse l'unico, del quale non avesse disprezzato gli sguardi. Dave possedeva qualcosa di diverso, di affascinante, qualcosa che aveva colpito profondamente ogni sua percezione interiore. Ripensando agli avvenimenti del giorno precedente, le guance di Judith si tinsero di un rosa porpora e gli angoli della sua bocca si incurvarono in un piccolo sorriso.
'Okay, Judi' si impose mentalmente, 'respira. È un appuntamento, solo un appuntamento.'
Ma, mentre lasciava la sua stanza e correva lungo le scale, per poi gettarsi tra le braccia di sua madre, una piccola parte di lei sapeva che quello con Dave non sarebbe stato un semplice incontro tra due amici. Una parte di lei, quella irrazionale, l'avrebbe afferrata per i polsi e l'avrebbe sbattuta sul letto, l'avrebbe incatenata alla testiera e avrebbe chiuso la porta a chiave, così che non potesse correre all'appuntamento con Dave. Alla parte irrazionale, alla cosa, non piaceva Dave. E non le piaceva suo fratello, ma Christopher non valeva nulla, come come tutti, all'infuori di Judith che, comunque, non valeva tanto quanto la cosa.
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Judith ― il Marchio.
Mystery / ThrillerJudith è solo una bambina quando qualcosa prende possesso del suo corpo. Nessuno vede, nessuno sa. Pochi giorni dopo viene ritrovato un diario, all'apparenza molto vecchio, su cui è stata trascritta la prima parte della sua giovane vita, un diario...