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Avviso dell'autrice: questo capitolo sarà il più lungo che troverete, mi scuso in anticipo se risulterà pesante ma ho cominciato a scrivere e non sono riuscita a fermarmi. Se aveste il piacere di leggere fino alla fine, vorrei che mi faceste sapere cosa ne pensate. Per me è davvero molto importante sapere se sono riuscita a trasmettere quello che volevo.

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"Mi mancheresti anche se non ci fossimo conosciuti."

Dave non riusciva a controllare il tremito alle mani, né la forza invisibile che muoveva i suoi piedi a velocità esagerata mentre percorreva il giardino davanti alla villetta. Man mano che si avvicinava il batticuore aumentava. Non sapeva cosa dirle, non sapeva se lei gli avrebbe creduto, se lo avrebbe preso per un pazzo che blaterava cose senza senso; sicuramente non si sarebbe ricordata del loro incontro fugace da bambini.

Dave si ricordò della volta in cui, in uno dei libri del suo autore preferito, Zafòn, aveva letto che alcuni avvenimenti dell'infanzia rimangono intrappolati nell'album della memoria, come fotografie. Forse, sperò in quel momento- anche se era totalmente impossibile- la ragazza avrebbe ricordato qualche stralcio di quel pomeriggio di sole, in cui un bambino che giocava con la palla era rimasto incantato dai suoi gesti, dalla sua figura. Lo sperò con tutto il cuore fino all'ultimo ma, quando lui e Christopher oltrepassarono la soglia di quella casa, le sue speranze crollarono.

«Prego» disse la ragazza in tono piuttosto duro.
Dave si bloccò sulla soglia, a fissarla. Se era davvero lei, era cambiata. La sua voce non aveva più la cadenza decisa e morbida al tempo stesso, ma, in fondo, si stava dimenticando di un dettaglio importante: erano passati circa dieci anni, come poteva pretendere che fosse rimasta la stessa?
Si perse a guardarla; ogni cosa parve fermarsi attorno a loro. Dave osservò il colore dei suoi capelli che, a causa della penombra dell'ingresso, sembravano ancora più scuri. Erano lunghi e ondulati, un po' meno disordinati di quanto ricordasse, e i suoi occhi, che tanto tempo prima non aveva potuto vedere, erano del colore che si sarebbe potuto attribuire all'oro. Il ragazzo avvertì l'emozione percorrere ogni suo muscolo, ogni suo osso. Era lì, davanti a lui, e lo fissava con espressione confusa e non sapeva cosa dire. Dave sentiva le parole, tutte quelle che avrebbe voluto tirar fuori, intrappolate nella sua gola dall'emozione.

Fu Christopher, accanto a lui, a farlo riprendere dandogli una pacca sulla spalla.
La ragazza trasalì appena, quando Dave battè le palpebre, come risvegliatosi da una specie di trance.
Lo vide inumidirsi le labbra e schiarirsi la gola, prima di rivolgerle un piccolo cenno del capo e seguirla all'interno della casa.

«Dovete ringraziare mia madre» asserì lei, richiudendo la porta alle loro spalle. «Fosse stato per me, vi avrei lasciati fuori, dov'era giusto che restaste.»
Ancora una volta, Dave la comprendeva. Si stava fidando di due perfetti sconosciuti, eppure non sembrava il tipo di ragazza insicura, che si sarebbe lasciata trovare impreparata. Sapeva che, se fosse stata un'altra situazione e al posto di loro due ci fossero stati dei ladri, lei avrebbe avuto un asso nella manica e avrebbe aggirato il pericolo. Lo sentiva dal tono della sua voce, dalla sicurezza con cui si muoveva e lo vedeva dalla postura rigida ed eretta.

A differenza sua, il fratello camminava sicuro di sé e Dave non si stupiva: Christopher aveva sempre avuto un carattere diverso dal suo, più deciso e indifferente a ogni nuova e particolare situazione in cui si trovasse.
Lo ammirava, in un certo senso, a volte avrebbe voluto essere più simile a lui. Altre, tuttavia, era orgoglioso del proprio modo di essere, così tranquillo e determinato, anche se l'insicurezza era sempre stata parte di lui.

«Accomodatevi» li invitò la donna, quella che la ragazza aveva identificato come sua madre. Il tono di lei era più cordiale, meno restio al dubbio. Entrambi le rivolsero un piccolo sorriso di gentilezza, e la seguirono verso una sala piuttosto ampia, che doveva essere il salotto. Al centro c'era un divano, posto sopra un lungo tappeto grigio chiaro, e davanti un piccolo tavolino in vetro, sormontato da un centrino bianco ricamato ai bordi. Alle pareti erano affissi svariati quadri, all'apparenza dipinti a mano. Dave si perse ad ammirarli, domandandosi chi ne fosse l'autore. Erano davvero belli, di una bellezza raffinata; rappresentavano tramonti, albe, pomeriggi di pioggia, altri ancora soltanto una luna piena, con tutte le ombreggiature e le sfumature del bianco. Chiunque li avesse raffigurati doveva avere un tocco delicato, quasi angelico.

Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora