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Dave non era mai stato troppo incline ad abbandonarsi ai vizi. Perciò, quando l'ennesima sigaretta gli venne offerta sotto il naso per la terza volta da quella sera, si girò verso Christopher e gli rifilò un'occhiata ammonitrice.

«Toglimi questa merda dalla vista, Chris.»
L'altro sbuffò, mentre allungava le gambe davanti a sé e le accavallava sulla sedia.

«Lo sai» disse con noncuranza, «dovresti concederti qualche attimo di svago e magari bruciare quel dannato libro che ti porti dietro come se fosse una reliquia sacra. Penso che ti farebbe bene.»
Fece un altro tiro e indirizzò il fumo di lato, verso gli occhiali di Dave.
Lui lo scansò con la mano, sospirando.

«E tu dovresti finirla di criticare tutto quello che faccio e magari alzare il culo per trovarti un lavoro, invece di startene a casa a poltrire e fumare tutto il giorno.»
«Touché» commentò il fratello con un risolino. «Comunque, potrei dire lo stesso di te.»
«Io ce l'ho, un lavoro» precisò Jason, serio.
Christopher fece una smorfia, inspirando un'altra boccata di fumo.
«Per 'lavoro' intendi passare il tuo tempo dietro a quel libro che non farà mai una fortuna? Però» rise, scuotendo la testa. «Che bel mestiere. Soprattutto molto soddisfacente.»

Dave serrò le labbra, cominciando a torturare la penna tra le mani, un gesto che compiva solo quando era molto nervoso, e tacque. Scrivere era tutta la sua vita, la cosa in cui metteva tutto se stesso, anima e corpo, e sentirsi dire che il suo libro non avrebbe fatto alcuna fortuna fu un colpo basso.

Era sempre stato un ragazzo tranquillo, gentile, e senza troppe pretese verso i genitori. Al contrario di Christopher, di due anni più grande, si era sempre tenuto in un angolino a leggere, per esempio, fin dai sette anni, o a tirare calci a un vecchio pallone che ormai era andato perduto durante l'ultimo trasloco. La passione per la scrittura, invece, l'aveva ereditata da suo padre, che gestiva una piccola libreria vicino casa. Anche lui si era cimentato come scrittore ma, a detta sua, non avrebbe sfondato, perché la famiglia era la sua priorità e non poteva dedicare tutto il suo tempo alla scrittura. Dave lo comprendeva, chiaramente. Ma aveva sempre saputo che suo padre considerava l'arte di scrivere esclusivamente come qualcosa che fruttasse del denaro, un mezzo per arrivare al successo. Diversamente, per lui era uno sfogo, un recipiente in cui riporre tutti i suoi sogni, le sue emozioni, i suoi pensieri. Scrivere gli risultava naturale, fluido e senza mai un singolo errore di lessico; forse c'erano solo quelli di distrazione, perché scriveva veloce e di getto, senza fermarsi mai.

Un colpo di vento leggero si abbatté sulle imposte, facendole sbattere contro la parete esterna. Dave trasalì appena, mentre Christopher spegneva la sigaretta sul posacenere e si sgranchiva le gambe, prima di alzarsi. Si diresse verso il frigorifero e ne estrasse una birra.

«Ne vuoi?» chiese al fratello, picchiettando sul vetro della bottiglia. Dave scosse la testa, mentre faceva scorrere l'inchiostro lungo il taccuino degli appunti dove appuntava tutti i pensieri che altrimenti, sapeva, sarebbero volati via. Sentì Christopher stappare la birra e ingurgitarla in tre rapidi sorsi, per poi rifilargli un 'notte' prima di dirigersi in camera da letto.

Dave non lo sentì nemmeno, troppo intento e concentrato sulla sua storia. Aveva già in mente la fine, eppure gli mancava qualcosa, per completare l'opera, un tocco che avrebbe dato un tratto più affascinante a quel libro. Il punto era che non sapeva cosa.
L'incipit verteva su un episodio a cui aveva assistito da bambino, all'età di undici anni.

'Mamma mi aveva regalato quel pallone per il mio decimo compleanno e io ci giocavo praticamente ogni giorno, dopo aver finito i miei compiti. Andavo in giardino, dove papà aveva abbozzato un prototipo di porta da calcio, e tiravo i calci alla palla; non facevo mai centro, ma non mi importava, l'unica cosa che costasse era la libertà che provavo nel vedere l'oggetto rotolare lungo i fili d'erba.'
Aveva cominciato così, attingendo ai suoi ricordi di bambino, descrivendo inizialmente solo l'atto del tirare calci a quel pallone. Poi la sua mente aveva riavvolto i ricordi, scavando a fondo, e aveva trovato qualcosa che gli aveva permesso di sviluppare una vera e propria storia: aveva ricordato una voce femminile, una voce che pronunciava parole all'apparenza sconnesse, che però lo avevano attirato, distogliendolo da quel suo passatempo che all'improvviso era diventato privo di attrazione. Si era ricordato di quella forza invisibile che lo aveva spinto dietro l'angolo, per capire da dove provenissero quelle parole.

E così l'aveva vista, piccola e minuta nei suoi abiti da maschietto, aveva notato la sua coda disordinata, i suoi movimenti non troppo aggraziati, che però lo avevano inevitabilmente colpito, al pari delle parole prive di senso che erano uscite dalla sua bocca. Dave non si era mai domandato se in realtà avessero un significato, perché quella era solo una ragazzina che giocava e parlava da sola, come fanno tutti i bambini che non hanno amici. Così aveva accantonato la parte irrazionale di quell'episodio, conservando solo quella che lo aveva più colpito. Aveva sfruttato quell'immagine per crearne la protagonista della sua storia, ma lei non lo avrebbe mai saputo, perché ora erano distanti chilometri e chilometri. In realtà non aveva mai nemmeno parlato con quella ragazzina, anche se avrebbe voluto, avrebbe voluto davvero.
Dopo l'ultimo trasloco, però, era stato costretto ad abbandonare la sua casa e quella accanto, dove viveva lei, e non aveva avuto l'opportunità di conoscerla. Probabilmente, aveva pensato con rammarico, non l'avrebbe avuta mai.

Sospirò e richiuse il taccuino, incastrando il cappuccio della penna nella copertina. Si sentiva gli occhi stanchi, perciò si portò una mano sotto le lenti e se li stropicciò. Aveva sonno, ma non troppo, era piuttosto una stanchezza intellettuale. Da due mesi, all'incirca, aveva cominciato ad avvertire un ronzio, un suono indistinto nelle orecchie, che aveva attribuito al fatto di non riuscire a trovare quel tocco mancante che gli avrebbe permesso di concludere il suo libro. L'avrebbe trovato, ne era certo, eppure ancora non aveva idea di quando o in cosa. Sarebbe stato diverso da quello che immaginava.
Non sapeva, in quel momento, mentre osservava il camino spento e vuoto davanti a lui, che i fantasmi del passato spesso ritornano. E che a volte, la maggior parte, non lasciano scampo.

Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora