23.

116 14 10
                                    

Lo sentiva crescere dentro di lei. Un bisogno incontrollabile, famelico, insaziabile. Lo sentiva premere lì, poco sopra il pube, estendendosi nel punto caldo tra le sue gambe: doveva colmare quel vuoto abissale che si sentiva nella carne, doveva gettare acqua su quell'incendio che l'avrebbe, altrimenti, distrutta.
Poteva ammettere con se stessa che fosse un atto cosciente di seduzione? No, non poteva. Se lo fosse stato, di sicuro non le sarebbe saltato in mente di farlo lì, davanti a Christopher e all'altra donna che la stava guardando e che le teneva quella dannata pistola puntata addosso.
Voleva davvero sparare a lei? Perché non lo aveva ancora fatto?
Fallo, avrebbe voluto gridare. Fallo e tutto questo inferno finirà.
Si sentiva stanca. Consumata come il tessuto strappato di una vecchia e logora scarpa. Vuota. Malvagia. La cosa che la mandava fuori di senno era il non riconoscerne il motivo.
Sentiva quella forza premere insistentemente contro il suo addome, e una voce, sibilante e sconnessa, ronzarle fastidiosamente nella testa. Proveniva da un punto imprecisato alle sue spalle. Sembrava talmente estranea che pensò di essersela immaginata.
Ma poi qualcosa - la lama di un coltello, forse? - le si conficcò nelle reni e il presente divenne così vivido da farla urlare.
"Mi senti, Judith?" diceva quella cosa.
"Sono dentro di te e ti possiedo. Sei la mia schiava e posso fare di te quello che voglio."

Digrignò i denti, mentre un bruciore intenso le dilagava negli occhi. Lacrime sanguinolente le scivolarono lungo le guance, sporcando il candore di quella pelle di porcellana.
Un ennesimo grido le venne strappato dalla gola quando la lama affondò ancora di più nella schiena e, al suono assordante di quella voce, si unirono le urla di qualcun altro.
"Dave? Dave, dove... "
"Judith! Che cosa diavolo stai facendo? "
Lei non lo sapeva. Non era padrona di nessuna azione che vedeva compiere alle proprie braccia.
Lo sguardo appannato dal sangue, il cuore galoppante nel petto, osservò le sue mani slacciare i bottoni della camicetta immacolata e strapparsela di dosso con tanta veemenza da spaventarla.
"Il reggiseno, adesso."
La cosa tornò alla carica, facendola gemere.
"Chi diavolo sei... Lasciami.... In pace!"
Un lamento le morì sulle labbra, e in quel momento le sembrò di sentire un falsetto disumano, traboccante di minaccia.
"Togliti quel cazzo di reggiseno!"

Judith vide la donna stringere la pistola con entrambe le mani, la tensione e il panico indurire i tratti di quel viso scarno eppure tanto bello.
Avrebbe voluto pregarla di sparare, per cancellare quel dolore che si dipanava sempre più rapidamente lungo la sua spina dorsale e che convergeva, malvagio, dentro la sua testa rischiando di farle esplodere le meningi.
Eppure non riusciva a parlare. Non riusciva a far altro se non gridare, quando il martirio diventava insopportabile.
"Non voglio farlo..." fu il suo cervello a singhiozzare, non lei. "Non voglio guardare, non voglio vedere!"
Però non poteva farne a meno. Fu come se quelle mani nerborute e invisibili le avviluppassero la testa, ruotandogliela con forza verso il basso, in direzione del proprio seno.
Mentre le proprie mani slacciavano i ganci del reggiseno, il suo cuore si colmò di un terrore impotente e inarticolato e le dita di un essere di nebbia le artigliarono gli angoli della bocca; fecero pressione, tirarono. La sua bocca assunse la forma di una linea piatta, le labbra divennero bianche e cosparse di piccoli tagli.
Provò l'impulso di piangere e quando chiuse gli occhi, il reggiseno scivolò sulla strada rivelando i suoi seni sodi e dai capezzoli rosei.
Se fosse stata in grado di intendere e di volere avrebbe provato vergogna. Ma la voce, unita a quella mani invisibili e gelide, glielo impedivano. Vide di nuovo se stessa afferrare le spalle di Jason e fargli scivolare una mano sul petto per insinuarsi sotto la camicia. L'altra Judith aveva le labbra color fegato, lo sguardo allucinato e che lasciava intendere tante cose.
La Judith posseduta cercò di urlare, ma le uscì dalla bocca solo un lungo suono vetroso. Un bisbiglio. Al pari di un soffio.
"Adesso, mentre ti possiedo, infila il suo sesso dentro di te."
Avrebbe voluto piangere, piangere davvero. Versare ogni liquido del proprio corpo l'avrebbe disidratata, portandola alla morte.
Preferisco la morte a tutto questo.
Che cosa diavolo mi sta succedendo?

"Lo fiuti, Judith? L'odore del sesso. Nutriti di questo odore. Adesso, Judith. Adesso."

Senza potersi fermare in tempo, senza poter dominare l'istinito animalesco, si gettò famelica contro il petto di Dave, i movimenti guidati da fili invisibili che un essere sconosciuto teneva in pugno.
Coprì le labbra del ragazzo con le proprie, aggrappandosi con le braccia al suo collo e circondandogli i fianchi con le gambe.
Dave era attonito, immobile, davanti a lei.
"Che cosa stai facendo, Dave? Perché non reagisci?"
In quel momento, prima che avesse il tempo o il modo di gettare luce sull'ombra che le aveva invaso la mente, le si mozzò il respiro.
Uno sparo. Un colpo di pistola. Un rivolo di sangue affiorò all'angolo della sua bocca. E, con le labbra ancora premute su quelle di Dave, Judith Wilson non si mosse più. I suoi occhi si allargarono, un velo scuro calò sopra le pupille.
Gli occhi di Dave furono attraversati da una fitta di dolore lancinante, riflesso del proprio tormento interiore.
E in quell'attimo che bastò a sconvolgere l'intera esistenza di una madre, il ragazzo afferrò la pistola di Katherine Mulligan, strappandogliela dalle mani.
La appoggiò contro la sua tempia.
Inspirò.
La sua mano si posò delicata sui capelli corvini di Judith.
Prima che Christopher e sua madre avessero il tempo di spalancare le bocche, premette il grilletto.
Il cielo si oscurò.
Mentre il diavolo riversava la propria essenza nello sguardo di Judith, che si riaccese di una nuova luce, la pioggia cominciò a cadere.
Judith Wilson sbatté le palpebre.
Un sorriso sghembo le incurvò le labbra.
Vide le lacrime della donna creare striature perfette sulle sue guance, ma non si chiese il motivo.
Quando il corpo di Dave Mulligan crollò a terra con un tonfo assordante, la vera Judith, quella intrappolata sotto la pelle del diavolo, spalancò la bocca al punto da strapparne i tessuti.
"Dave Mulligan non esiste più" cantilenò la cosa sibilante, inducendo il corpo della ragazza a sollevarsi sulle gambe. Katherine e Christopher la guardarono con gli occhi arrossati dalle lacrime, le espressioni agghiacciate. I cuori infranti.
"E nemmeno Judith Wilson."

All'improvviso, lei lo vide.
I pensieri si spezzarono con lo schiocco di un ciocco di legno che esplode nel fuoco.
C'era un uomo.
Ogni suo muscolo si sciolse in qualcosa di simile ad acqua tiepida.
Gli occhi neri dell'uomo la fissavano con attenzione scrupolosa. Ossessiva. La sua schiena era ingobbita, le braccia penzolanti lungo i fianchi.
Judith rimase paralizzata, senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Non c'era più nessuno; né Dave, né Christopher, né la donna. Gli unici soggetti erano lei e l'uomo, i cui occhi neri e avidi assomigliavano ad orbite vuote in un cranio.
Non sembrava avere troppa consistenza corporea. I vestiti smessi che indossava ricadevano in stupidi brandelli, e l'espressione seria era concentrata unicamente su di lei.
Judith si sentiva esaminata fin nelle ossa.
D'un tratto si accorse di non sentire più quella voce nella sua testa, di aver ripreso il controllo delle proprie azioni e di poter...
Sì, di poter parlare.
«Chi... »
Sul principio fu in grado di emettere solo quel sussurro debole, un suono che nessuno avrebbe mai potuto sentire a parte lei.
Si umettò le labbra e tentò di nuovo.
«Chi sei?»
Lui restò immobile.
Non si mosse fino a quando, dopo pochi minuti, le labbra bianche si incurvarono in un sorriso.
«Io sono te. E Dave, quello che credevi di amare, si è ucciso per causa tua.»

Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora