22.

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Guardarlo la rendeva fiera.
Triste, anche. Ma più di tutto, lei ne era orgogliosa.
Orgogliosa dell'uomo che era diventato anche senza di lei, orgogliosa della sua forza e dell'impeto che lo aveva visto dimostrare nei confronti delle persone a cui teneva.
Lo aveva osservato, in tutto quel tempo.
Scrupolosamente, minuziosamente, imprimendosi nella memoria ogni sua espressione, ogni sguardo, risata e sprazzo di gioia e dolore. Lo aveva visto trasformarsi da timido bruco a splendida farfalla, diventare uno scrittore. Aveva letto tutto ciò che aveva scritto nel suo quaderno, aveva amato le sue parole e poi, quando aveva capito, le aveva disprezzate. Non ci aveva creduto, sul principio. Aveva pensato che fosse solo una folle fantasia.

Ma quando i giorni avevano cominciato a susseguirsi rapidamente e il ricordo di quella bambina aveva infestato le notti di Dave, lei aveva capito che avrebbe dovuto fare qualcosa. Per fermare la follia, per fermare la distruzione. Per fermare il peccato.
Aveva portato via Dave con l'intento di farlo rinsavire e dimenticare quell'interesse malsano per Judith.
Ma non era servito.
I sogni di lui erano continuati, forse con più forza di prima, e il suo quaderno si era arricchito di dettagli su di lei, giorno dopo giorno.
"Volevo farci l'amore" aveva scritto Dave a soli tredici anni. "Con lei, con la ragazza che non ho mai realmente conosciuto. Era un bisogno talmente impetuoso che rischiava di soverchiarmi."
Aveva finto di non sapere. Lo aveva fatto con tanto impegno da poter superare il disgusto. Aveva costretto la sua mente a dimenticare, a cancellare il ricordo di quelle parole. Aveva finto così forte che era arrivata a non sapere davvero.
Era andata avanti.
Per anni, tanti anni.
Fino a quando non aveva sentito, una notte, Dave parlare nel sonno e urlare le parole che l'avevano portata a compiere le scelte che avrebbero marchiato la sua vita per sempre. "Devo possederla."
Se n'era andata, dopo il suicidio di suo marito.
Aveva scelto di allontanarsi perché il dolore era troppo immenso, troppo impetuoso. Se n'era andata e poi aveva cominciato a lavorare.

«La prego. Ho bisogno d'acqua. La prego
Le parole sconnesse della ragazza le giunsero da dietro, infrangendosi contro la coltre dei suoi ricordi e procurandole un fremito lungo il collo.
«Non importa, Alicia» rispose senza voltarsi. Mantenne lo sguardo puntato sulla BMW nera, cosparsa dal manto setoso della notte, e strinse le labbra.
Erano lì. Tutti e tre. Dave, Christopher e il mostro.
Erano lì e lei non poteva toccarli.
Se avesse anche solo sfiorato lei, però, si sarebbe scottata. Quella ragazza portava l'inferno dentro di sé, ma nessuno lo sapeva. Nessuno, tranne lei.
«Li vedi? »
Domandò ad Alicia, che aveva visto la luce del sole per la prima volta dopo giorni e giorni rinchiusa in quella putrida cantina.
Passarono alcuni secondi prima che la ragazza rispondesse.
«N-no... »
«Esatto. Non li vedo nemmeno io, però so che ci sono. Sono lì dentro e lei potrebbe ucciderli in ogni momento. Capisci, Alicia? »
Lei non capiva, naturalmente. Chi avrebbe potuto, dopotutto?
«Una volta mi hai chiesto chi sono, ricordi?»
Alicia non rispose, il respiro ansante e le labbra secche che chiedevano disperatamente dell'acqua.
«Mi chiamo Katherine. Katherine Cassandra Mulligan. E quelli lì dentro sono i miei figli.»

Su Alicia, che ancora volteggiava in una dimensione di irrealtà, le sue parole non sortirono alcun effetto.
Solo dopo avrebbe capito che cosa Katherine Mulligan intendeva fare e perché le avesse finalmente rivelato il suo nome.
«Passami l'acido, Alicia» le ordinò la donna, alternando il peso del corpo da un ginocchio ad un altro, mentre sentiva le gambe formicolare.
Ostacolata dalle corde strette intorno ai polsi, sostitute delle manette che le avevano scavato talmente a fondo la carne da farle temere che le cicatrici non si sarebbero mai rimarginate, Alicia strisciò goffamente verso la tanica in plastica contenente la sostanza giallognola, la afferrò con entrambe le mani e la fece rotolare in direzione della sua aguzzina.
Non aveva idea di quali fossero le sue intenzioni, perché la stanchezza stava prendendo il sopravvento su ogni sua percezione fisica e mentale. La realtà sembrava ad Alicia lontana anni luce.
Katherine Mulligan fece strofinare la pelle nera dei guanti sui jeans, poi agguantò la bottiglia e, stringendo il tappo tra le dita affusolate, riversò tutta la propria inquietudine su di essa. Arrivò al punto di stringerla talmente forte che Alicia ebbe l'impressione di vederla esplodere da un momento all'altro.
Katherine riaprì gli occhi, che aveva chiuso mentre inspirava profondamente, e poi si alzò in piedi. La notte sarebbe stata in suo favore. Avrebbe coperto tutto. Senza lasciare niente scoperto.

Judith ― il Marchio. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora