CAPITOLO VENTISETTESIMO

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Vorrei partire dall'inizio, da ciò che ero prima di questo.
A volte, quando si vive così a lungo non ci si ricorda chi eravamo.

Jason Midnight, nato a Amesbury nell'anno 1500.

Si, quel lontano 1500.

Molte volte quando cerco di ricordare il mio passato mi vengono in mente solo le cose orribili che ho fatto, ma non potrei mai scordare la mia infanzia.
Essere il primogenito dell'uomo più importante del paese, era una responsabilità molto pesante.
La pressione perché mi trovassi una moglie e sfornassi dei figli; un'infanzia passata a suon di pugni con i miei coetanei per poi tornare a casa imbrattato di sangue, e ricevere altre botte come dessert da mio padre.

Come posso scordare le lacrime e la sofferenza di quegli anni, quando ancora non capivo che tutta quella mestizia mi stava trasformando in qualcosa che non avrei mai voluto essere.

Sarebbe facile addossare le mie colpe sulla mia infanzia, ma la verità è che se il passato mi ha reso così è solo perché io l'ho permesso.

Sono diventato anche peggiore di mio padre.

E pensare che quel paesino dove sono nato contava solo poche anime, poche casette di pietra e persone che vivevano sotto stretti regolamenti dati da un parroco.

Il giorno del mio sedicesimo compleanno,  qualcosa dentro di me si era ribellato: non ce la potevo fare più, volevo togliermi la vita. Avevo intenzione di impiccarmi, come avevo visto fare nelle sentenze pubbliche quando condannarono e impiccarono diversi criminali.
Ma la signora Abby che lavorava nella fattoria del signor Reggi mi scoprì promettendo di non dire nulla se le avessi promesso di non rifarlo più.

Quella sensazione di inadeguatezza mi copriva come un mantello.

Non ero felice.

Ad essere sinceri in quella vita, non conoscevo il significato della parola  "felicità". Potevo solo scorgerlo, negli occhi degli altri o nello sguardo di mio padre, quando bastonava un ladro che tentava di introdursi in casa rubando del cibo.

Ma a me non era concesso il privilegio di provare tale sentimento.

Il signor Thale un muratore, era un uomo affabile e denutrito, eppure sorrideva sempre, quando avevo sette anni mi regalò un piccolo cigno intagliato nel legno che fece lui stesso.
Ero molto felice, o almeno a quell'età pensavo di esserlo.

Ricordare tutto questo è soprattutto scriverlo per non dimenticare , non è  facile, perché bisogna  anche riflettere e ripercorrere tutto quello che mi è successo.

Fin da piccolo ero un ribelle, litigavo con tutti, soprattutto con mio padre che non mancava mai di picchiarmi.
Diceva : " Solo con le botte diventerai più forte "

Si, con le botte...

Solo qualche anno dopo capii che non erano le botte a farmi più male: ma il suo sguardo di piacere mentre lo faceva.

Non seppi se mia madre abbia mai preso le mie difese,quello che ricordo è solo il suo viso contrito e la sua mano sulla porta mentre la chiudeva, per non  assistere alla mia punizione.

Le sue nocche sbucciate e il mio viso coperto di sangue.

Certamente al giorno d'oggi una scena simile richiederebbe l'intervento dei vigili e degli assistenti sociali.

Ma a quell'epoca tutto era permesso al capofamiglia e nessuno vi si poteva  opporre.

Non ho mai provato amore nella mia vita mortale, certo le scappatelle le ho avute, come tutti.

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