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"Oh cruel darkness,

Won't you embrace me?"

Oh cruel darkness embrace me - IAMX


Tutti gli esseri umani hanno un sesto senso, che si attiva in varie occasioni, come quando si ha un cattivo presentimento o, per quella che appare una coincidenza, si riesce a prevedere ciò che accadrà. In alcuni questa dote è più spiccata, e questi sono quelli che Sumiko aveva definito Esper. Io non avevo mai dato un nome alla gente come me, sebbene sapessi di non essere l'unico. Sin da bambino, ero stato in grado di vedere cose che per gli altri non esistevano. Nei miei primi anni di vita era stato piuttosto difficile riuscire a distinguere il mondo reale da quelle che chiamavo visioni. I miei genitori avevano considerato l'ipotesi che fossi autistico e mi avevano portato da molti dottori, che gli avevano sempre dato la stessa risposta: non c'era nessuna nota stonata nel mio meccanismo, sia da un punto fisico che mentale. Ero solo un bambino con una fervida immaginazione, forse anche troppo. Dopo tutti quei soggiorni dai medici, una parte di me mi fece notare che sarebbe stato meglio smettere di parlare delle mie visioni ai miei genitori o a chiunque altro. Per la prima volta capii che non vedevano quello che vedevo io e decisi di non turbarli oltre con i miei amici immaginari. Avevo appena quattro anni, eppure sapevo già che sarei sempre stato considerato un diverso. Il sesto senso poco affinato della gente che mi circondava era sufficiente a fargli sapere che io avevo qualcosa di strano ed era meglio girare alla larga da me. All'inizio tutto ciò non mi causò particolare sofferenza. Ero ancora piccolo, vedevo tutto come una grande avventura, e pensavo di essere speciale. Avevo avuto la fortuna di non aver mai avuto delle brutte visioni. Tutto cambiò quando raggiunsi le elementari e dovetti confrontarmi con altri bambini, al di fuori di mio fratello Trevor, che non mi aveva mai fatto nulla di male, malgrado mi prendesse costantemente in giro. Si pensa che i bambini debbano per forza essere i portatori di tutte le qualità migliori, ma io non la vedo allo stesso modo. A volte sanno essere crudeli quanto gli adulti. In certi casi lo sono per via dell'innocenza - come quando li osservavo staccare la coda alle lucertole, animati dalla curiosità per tutto ciò che non si comprende -, in altri sono perfettamente consapevoli di quanto stanno facendo. Quando si è piccoli, si riesce a provare un odio che di rado da adulti si riesce a provare, visti tutti gli schemi sociali che ci vengono imbastiti dentro senza che ce ne rendiamo conto. Non appena i miei compagni di classe ebbero la possibilità di conoscermi meglio, capirono che ero un pazzoide da tenere alla larga. Mi evitavano come se fossi stato un lebbroso e la cosa mi distruggeva, perché non riuscivo a capire cosa non andasse in me. Cercai in tutti i modi di essere amichevole, ma loro non ne vollero sapere e, alla fine, rinunciai. Stavo sempre da solo in un angolo, rifugiandomi nel disegno, che allora aveva la stessa funzione catartica della mia passione per le piante. Malgrado non sia in grado di dare un giudizio sulle mie capacità artistiche, a forza di disegnare cominciai ad affinare la tecnica, attirando l'attenzione di alcuni compagni di classe. Fra questi c'era Cornelio, che amava molto il disegno e mi guardava con uno sguardo colmo di meraviglia cui non ero abituato.

- Come sei bravo. - mi disse un giorno, mentre sbirciava da sopra la mia spalla.

Era da parecchio tempo che qualcuno non mi si rivolgeva in tono tanto cortese e restai basito. Quasi non sapevo cosa fare. Era difficile riconoscere un gesto gentile, dopo essere stato preso in giro tanto a lungo. Lo osservai con occhi sgranati, mentre mi sfilava il disegno dalle mani per guardarlo meglio. Diverse emozioni si alternarono sul suo viso: sorpresa, rammarico, un pizzico di invidia.

- Anche io vorrei essere bravo come te. - disse, restituendomi il foglio con aria mesta. Si illuminò e mi rivolse un ampio sorriso. - Perché non mi insegni?

- Io? - farfugliai, gli occhi sbarrati. Mi trattenni a stento dal controllare se non stesse parlando con qualcuno che si trovava alle mie spalle.

Cornelio annuì e corse a prendere un foglio a quadretti da sotto il suo banco, sedendosi di fronte a me. Con le labbra ridotte ad una linea per la concentrazione, cercò di copiare il supereroe che io avevo appena terminato di delineare. Una volta finito, confrontò i due disegni ed emise un gemito colmo di scorno.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora