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Il mondo scorreva rapidamente oltre il finestrino. Luci e colori saettavano sfocandosi man mano che Keaton premeva sull'acceleratore. Si vedeva che gli piaceva molto guidare macchine di lusso, così come amava circondarsi di vestiti di pregiata fattura. Era un animale da salotto. Si sarebbe trovato molto bene a fare due chiacchiere con Oscar Wilde, entrambi seduti su morbidi divani di seta, mentre sorseggiavano the esotici, accompagnati da qualche sorso di fatina verde.

Il borbottio della radio si confondeva con quello della discussione fra il direttore ed Etienne, che stavano conversando sommessamente su un argomento che ignoravo. La mia mente era altrove, e tutto era un semplice sottofondo, un mormorio lontano e confuso, distante dalle vie in cui si stava disperdendo il mio pensiero.

Nel flusso della mia coscienza si alternavano immagini del volto di Lucy, la barba biondiccia di Larry e i dipinti del Black Cat. Agli occhi del gatto si sostituivano quelli di Wendy, che sorrideva, mandandomi un bacio. Facevo una smorfia, cercando di scacciarle, ma ritornavano con più prepotenza di prima. A esse si univano quelle dei volti di Sumiko, Etienne, Hlovatt, Keira e Otello.

E poi, c'erano Cornelio e Trevor.

I miei conti in sospeso.

Ero come un fantasma, che doveva lasciare il porto ma non ci riusciva. Mi incatenavano qui.

Quello fra me e Lucy era stato un addio, eppure avvertivo ancora la sua catenella stretta attorno al cuore, che mi teneva ben saldo a questo mondo. La saggiavo mentalmente, chiedendomi come sarebbe stato reciderla del tutto. Se fosse stato possibile.

Sì.

Sì, avrei potuto farlo.

Sarebbe stato doloroso, ma dovevo, per il bene di entrambi, e anche lei si sarebbe sforzata di fare lo stesso. Non eravamo riusciti a dirci addio, tuttavia era stato implicito nelle nostre parole e le nostre azioni.

L'amore non può finire all'improvviso, non si può smettere di amare qualcuno così, con uno schiocco di dita. Però, un po' alla volta, il ricordo di lei avrebbe cominciato a fare meno male, avrebbe smesso di essere una corda attorno alla mia gola, che mi graffiava la pelle. Si sarebbe trasformata prima in una fascia sottile e poi in una corona di fiori, che mi avrebbero allietato col loro profumo nei momenti in cui avrei pensato a lei, rammentando solo le cose belle.

Il vero problema erano due altri tipi di catene che mi bloccavano. Una era quella di Trevor, qualcosa di profondo, viscerale, dovuto al fatto che eravamo consanguinei, nonostante tutte le nostre differenze, e ci legasse qualcosa che andava oltre lo scegliersi un amico. Era mio fratello, e questo non sarebbe mai potuto cambiare, avessi anche messo milioni di anni luce fra noi.

La seconda era quella di Cornelio, la più dolorosa. Per quanto mi divincolassi, per quanto tempo potesse passare, non si sarebbe mai né indebolita né allentata. Affondava i suoi aculei nelle mie costole, era un tormento costante. Non c'era giorno in cui il mio pensiero, almeno una volta, deviasse in sua direzione. A volte era più dura riuscire a liberarsi, altre più facile, quasi immediato mettere a tacere i miei sensi di colpa, ma era sempre lì.

Dovevo provvedere a liberarmene.

Sumiko aveva avuto ragione: non avevo mai pensato di poter fare qualcosa di buono con le mie capacità, ma la mia parte umana, quella debole, quella incapace di controllare l'energia e la sua forza, era morta nei sotterranei del GOPEP. Anzi, no, non era morta. Era semplicemente diventata qualcos'altro. Qualcosa di più forte, che si solidificava ogni secondo che passava, come la goccia calcarea che si deposita sulla stalagmite, formandovi un sottile strato di materia. Non ci si accorgeva subito dell'effetto che aveva, ma, dopo anni e anni, si guardava il risultato e all'improvviso ci si rendeva conto di quanta strada si aveva fatto, anche inconsapevolmente.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora