- Gene! Gene! Ti prego, svegliati!
Aprii gli occhi di mezzo centimetro, mettendo a fuoco. Avevo la vista annebbiata e le orecchie mi fischiavano. Avvertivo una sostanza calda scendere lungo la mia nuca, radunandosi sul colletto del maglione. Facevo fatica a respirare, come se qualcosa mi stesse schiacciando il petto.
- Leva... leva il peso... - rantolai, cercando invano di scostare l'incudine che mi schiacciava le costole, impedendomi di respirare.
Ad ogni inspirazione seguiva una fitta dolorosa alle costole, talmente intensa da darmi l'impressione di svenire.
Realizzai che davanti a me c'era Lucy, che mi guardava con gli occhi sgranati. Le sue labbra si muovevano, articolando parole che io non potevo capire. Faceva tutto troppo male affinché la mia mente potesse funzionare in modo coerente, ma ero abbastanza lucido per potermi rendere conto di una cosa: Lucy stringeva il braccio destro contro il petto e tremava dalla testa ai piedi per il dolore. Il suo polso era ripiegato in un'angolazione innaturale e il suo giubbotto intriso di sangue.
- Gene, ti prego, resta sveglio. - mi supplicò, mentre digitava il più velocemente possibile il numero del pronto intervento, il 118.
- Scu... sami... - riuscii a rantolare, fra un singhiozzo e l'altro.
Lei non comprese quello che le avevo detto, ma, prima di svenire, non potei fare a meno di pensare che era davvero tutta colpa mia. Non mi importava di me stesso, finché ero io a farmi male andava bene, perché Gene Sanders non sarebbe stato una grande perdita. Ma Lucy, che non aveva mai fatto niente di male ed era appena riuscita a risollevarsi dalla sua vita precedente, non meritava di finire male. Un attimo prima di sprofondare nel buio dell'incoscienza, pregai un dio, qualsiasi dio, che le sue ferite non fossero troppo gravi e se la cavasse. Poco importava se, per salvarla, avrebbe dovuto pretendere un pagamento da me.
Un soffitto bianco intervallato da luci al neon scorreva sopra di me. Non ero cosciente di me stesso, l'unica cosa di cui fossi davvero certo fu che mi stavano trasportando ad una grande velocità. Accanto a me c'era un uomo con una mascherina di stoffa verde, che mi osservava con due ampi occhi azzurri. Pensai che fossero molto belli e mi chiesi se non fossero quelli dell'angelo della morte, finalmente venuto a prendermi.
L'avevo invocato per tanto tempo e in quel momento sarebbe stata una liberazione disfarmi del mio corpo. Faceva talmente male che mi sembrava fosse ripieno di grosse schegge di vetro, che laceravano e tagliavano ad ogni minimo movimento. Erano sparse ovunque, ma in modo particolare sul retro della mia testa e una zona che andava dalla mia spalla sinistra all'anca.
Delle porte scattarono al nostro passaggio e mi introdussero in un'ampia stanza. L'angelo dagli occhi azzurri prese una siringa e raccolse una delle mie braccia inerti, tastandone con delicatezza l'incavo. Disse qualcosa attraverso la mascherina, ma io non compresi. L'ultima cosa che sentii prima di sprofondare una seconda volta fu un lieve bruciore al braccio, seguito da una sensazione di frescura. Fu come essere investiti da un'enorme onda, che mi trascinò via come una conchiglia abbandonata sulla riva della spiaggia.
La seconda volta in cui tornai in me, fu come se fossi avvolto da una nuvola. Il dolore era lontano, sepolto sotto la sabbia, e mi sentivo leggero e pesante allo stesso tempo. Battei le palpebre, che sembravano incollate le une alle altre, e cercai di capire dove mi trovassi. Ero in una stanza dalle pareti verde medicina, piuttosto spoglia. Gli unici elementi che la contraddistinguevano erano una finestra a scorrimento sulla sinistra, un lavandino poco lontano, un armadio ed una porta che dava su un bagno microscopico. Abbassai lo sguardo e osservai il mio corpo come se appartenesse ad un estraneo. Un piccolo cavo sporgeva dalle mie costole, collegato ad un contenitore di plastica a terra, all'interno del quale c'erano tracce di rosso e giallastro. Mi sentivo insensibile e riuscivo a stento a muovere la punta delle dita. Inclinai leggermente il capo a destra e mi resi conto di avere la testa avvolta nelle bende. Avevo l'impressione che il mio cranio fosse fragile e che non fosse una mossa saggia compiere movimenti bruschi, quindi restai immobile, anche perché provavo un'intensa nausea nel farlo. Tuttavia quello spostamento, seppur insignificante, mi permise di ampliare il mio campo visivo; seduto nella poltrona accanto al mio letto c'era un uomo sui quarant'anni, dai capelli brizzolati, che indossava uno smoking strapazzato. Teneva la testa incassata fra le spalle e le mani incrociate dietro la nuca. Il suo respiro era pesante e rapido.
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Esper (da revisionare)
Science FictionUna serie di suicidi inspiegabili piaga Londra e dintorni. Attraverso atmosfere goth, le vie caotiche di Camden Town e i cieli plumbei e pesanti della città, Gene Sanders cercherà di scoprire chi è l'assassino. Dove si trova? Fuori o dentro di lui...