19

283 53 54
                                    




Sebbene non fossi più costretto in quella minuscola stanza, al centro della parte sotterranea dell'edificio del GOPEP, ero comunque loro prigioniero. Mi avevano dato quella che avrebbe potuto essere una suite d'albergo, con tutti i comfort immaginabili: il loro scopo era quello di ammansirmi, ma, sebbene tutto quel lusso fosse affascinante, puzzava di gabbia. A nulla servivano il servizio in camera e i cinquemila canali del digitale terrestre che avevo a disposizione - che poi, possibile che con tanta scelta non ci fosse nulla di interessante da vedere? Una volta in più, avevo capito perché avevo fatto bene ad evitare i media, finora.

C'erano anche dei libri, ma fra essi non figurava Delitto e Castigo, uno dei pilastri delle mie confortevoli abitudini, quindi preferivo lasciarli perdere. Ero già abbastanza fragile senza dover cercare di sovvertire l'ordine cui mi aggrappavo disperatamente per non perdere me stesso. L'unico fatto positivo era che mi avevano portato un bonsai di cui prendermi cura. Era la mia sola gioia, rinchiuso in quella prigione dorata. Lo contemplavo per ore, con le forbici da potatura in mano, valutando quale foglia dovessi tagliare e quale tenere. Era l'unico hobby che mi rimanesse, quindi dovevo godermelo a fondo. Credevo che ci fosse lo zampino di Yates, in tutto ciò. Sapeva quanto tenessi alle piante e, dato che lui e la sua squadra ne avevano fatto scempio mentre perquisivano casa mia, aveva pensato di farsi perdonare in questo modo. Però nulla avrebbe riportato in vita le mie piccoline. Il solo immaginarle sparse sul pavimento dell'interno 7, con radici e foglie spezzate, mi faceva salire le lacrime agli occhi. Pensavo molto anche a Trevor e Lucy, chiedendomi se stessero bene. Il fatto che Yates avesse insinuato che io dovessi uccidere l'Esper assassino mi aveva sconvolto a tal punto che mi ero dimenticato di chiedergli come stessero. Mi mancavano molto, e ancora non mi era permesso telefonargli. Mi mancava anche Julius e confidavo che se ne prendesse cura Trevor. Dunque aspettavo con ansia la prossima visita di Yates, nonostante fossi furibondo con lui per avermi messo in una posizione tanto difficile.

Trassi un profondo respiro e abbandonai le forbici sul comodino accanto al lussurioso letto a baldacchino sul quale ero seduto a gambe incrociate, il bonsai adagiato sulle ginocchia. Ero stufo di fare ciò che gli altri si aspettavano da me. Per tanto tempo mi avevano creduto un demonio e ora, invece, pensavano a me come una sorta di supereroe che avrebbe sconfitto il malvagio. La verità era che io e colui che speravano uccidessi non eravamo molto diversi. Anzi, lui era più vicino a comprendermi di quanto avrebbe potuto fare chiunque altro, a parte Sumiko. Nessuna delle persone che io conoscevo avrebbe mai potuto sapere quanto fosse grande il dolore che provavo nell'essere un diverso. C'è chi dice che sia bello essere diversi e, forse, essere così mi ha reso capace di sentire cose che nessun altro potrà mai provare, ma c'è anche un rovescio della medaglia. Dopo tanto tempo che si soffre, ci si ritrova a pensare che sia intrinseco all'esistenza stessa, e non si riesce ad immaginare che le cose potrebbero migliorare. La cosa peggiore era che, questa volta, non mi sarei potuto tirare indietro, restando rinchiuso nelle mie piccole sicurezze. La mia vita non era bella, ma era tutto ciò che avevo.

Ero stato messo all'angolo. Nulla mi avrebbe salvato. Una volta che mi fossi trovato di fronte all'Esper assassino, sarebbe stata una mera questione di sopravvivenza. O lui o io. E, conoscendomi, non sarei stato in grado di finirlo volontariamente. Forse, se fossi riuscito ad arrabbiarmi a sufficienza... ma non ero l'incredibile Hulk. La mia rabbia si sarebbe sgonfiata, proprio com'era accaduto con Keaton. Ogni volta in cui arrivava il momento di farsi valere, io mi tiravo indietro. Dunque, se non potevo ricorrere all'omicidio, cos'avrei fatto? L'unica via rimanente era quella della diplomazia.

Diplomazia! Molto divertente, Gene. Cosa farai, sentiamo? Andrai da quel pazzoide e gli dirai "Oh, per favore, signor serial killer, uccidere è una brutta cosa. Non lo fare più."? Ti ammazzerà non appena ti vedrà.

Già. Le probabilità che il mostro mi desse retta erano irrisorie, ma, forse, se si fosse trovato di fronte ad uno come lui, avrebbe ragionato. Doveva trattarsi del mio dannatissimo sesto senso: cominciavo a credere che l'assassino avesse in qualche modo stima di me. Altrimenti, perché avrebbe dovuto tornare ad uccidere? Era troppo intelligente per abbandonarsi alla frenesia omicida, checché ne dicessero Yates o Keaton. Quella era una creatura a sangue freddo e il suo piano, almeno all'inizio, era stato quello di incastrarmi e farmi finire in carcere al posto suo. Poi, chissà perché, aveva ripreso ad uccidere. Avrebbe potuto trasferirsi in un altro continente e continuare indisturbato la sua opera dove nessuno l'avrebbe collegato alle morti avvenute a Londra e dintorni - ciò nonostante aveva preferito ammazzare in modo che la polizia lo venisse a sapere e mi scagionasse. L'assassinio di Samantha, quello che mi aveva reso libero, era stato diverso dagli altri. Mi chiedevo se quella donna fosse stata davvero una Esper e non una persona comune, uccisa in modo simile solo per fare scena.

Trassi un sospiro denso di frustrazione, passandomi le mani fra i capelli. Anche se così fosse stato, per me non avrebbe fatto molta differenza. Ciò che contava era la mia abilità di convincerlo e sapevo di non avere molte possibilità per riuscirci. Se l'assassino mi teneva in buona considerazione, sarei dovuto stare attento a non perderla, proponendogli la via del pacifismo.

Suona ancor più ridicolo, detto in questo modo., osservò la solita, dannata vocina della ragione.

Lo sapevo, ma chi se ne importava. Qualsiasi cosa pur di non lordarmi le mani.

Solo se la situazione si fosse messa male sarei ricorso alla violenza. Non avevo in mente di uscire vivo dall'esperienza dell'omicidio. Al mostro che giaceva sotto la mia pelle sarebbe potuto piacere succhiare la vita ad un altro essere vivente, e non avrei permesso che altri morissero, specie se a causa mia.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora