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La mattina del 10 marzo mi svegliai verso le undici del mattino. Al GOPEP non entrava la luce del sole; ne avevano creato un surrogato grazie a una finestra tecnologica, che dava l'illusione di offrire uno sguardo sul mondo esterno.

In quel momento, i pallidi raggi di un'alba registrata nello Yorkshire, la mia sveglia, mi riportarono dolcemente nel mondo di tutti i giorni.

Avevo passato una notte di sonno profondo, come non mi capitava dall'infanzia, e mi sentivo riposato e felice. Non avevo avuto alcun incubo, alcun sogno distorto. Doveva essere così che le persone normali dormivano.

Mi misi seduto, godendo del calduccio delle coperte.

Non appena avevo cominciato a stare meglio, Etienne mi aveva fatto trasferire dall'infermeria in una camera tutta mia. Si trattava di una stanza di sei metri per sei, con un armadio di metallo ricolmo di divise del GOPEP, una scrivania dello stesso materiale e una piccola mensola in cui riposavano alcuni libri. C'era anche Delitto e Castigo, ma - e non riuscivo a crederci nemmeno io - non lo stavo rileggendo per l'ennesima volta. Sotto consiglio di Etienne ero passato a qualcosa di assai più leggero e dolce, Il Mago di Oz. Era confortante, specie se paragonato al tormento interiore di Raskolnikov.

Etienne sosteneva che dovessi provare ad abbandonare gli aspetti peggiori delle mie abitudini, che rasentavano quasi un disturbo ossessivo, fatta eccezione per la cura delle piante, importante per il mio equilibrio. Accudire delle piccole vite dava un senso alla mia, e mi faceva sentire fiducioso.

Anche la compagnia di Etienne, Sumiko e Otello mi faceva sentire così. Persino quella di Keira.

Loro mi aiutavano ogni giorno e rendevano tutto più facile.

In poco tempo, avevo stretto un profondo legame con quelle creature, che andava ben oltre l'amicizia. Era qualcosa di molto più simile all'idea di famiglia, che non avevo mai nemmeno considerato finora. I miei genitori non erano stati l'esempio della mamma e il papà ideali. Volevo molto bene a mio fratello, ma nemmeno lui mi aveva fatto sentire compreso.

Invece, era così che mi sentivo con loro. Al posto giusto.

Etienne mi trattava come se fossi una specie di figlio surrogato, Otello come un fratello maggiore da ammirare, Sumiko come quello minore un po' tonto e Keira... beh, non avevo ancora capito se mi vedesse anche lei come un fratello o avesse intenzione di diventare la mia compagna, viste le sue continue occhiate lascive. Io cercavo di ignorarla quando insisteva troppo: Etienne diceva che era il suo modo di dare il benvenuto, e che presto le sarebbe passata.

Mi dispiaceva respingerla, non avrei mai voluto ferirla, ma avevo il cuore già occupato da Lucy e non me la sentivo di provarci con Keira, nonostante fossi certo che lei avrebbe apprezzato molto le mie attenzioni.

Di nuovo, pensai a Trevor, e sospirai, mentre la mia gioia veniva offuscata dalla malinconia di fondo che, nonostante tutto, aveva accompagnato ogni mio giorno, qui.

Quanto avrei voluto poter avere mio fratello e Lucy con me. Lo scenario ideale sarebbe stato riavere la libertà, e portare loro e gli Esper a vivere tutti assieme in una grande casa. Si sarebbero fatte feste ogni giorno, sicuramente. Forse anche quella bisbetica della madre di Lucy sarebbe stata contenta.

Ma nulla di tutto questo sarebbe successo.

Smisi di sognare a occhi aperti e mi alzai, andando a lavarmi.

Una volta uscito dal piccolo bagno in dotazione, contenente una vasca da bagno, un water e un lavandino - il tutto rigorosamente in metallo... sembrava che Keaton avesse un feticismo per le superfici metalliche, che erano ovunque -, mi vestii e andai in mensa.

Esper (da revisionare) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora